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La vita è ancora un miracolo

di Raffaele Pavoni
  Na mlijecnom putu
Data di pubblicazione su web 12/09/2016  

Tra i grandi nomi inclusi nella competizione ufficiale di quest’edizione della Mostra, la presenza di Emir Kusturica è una delle sorprese più piacevoli. Lo avevamo lasciato, otto anni fa, per le strade di Buenos Aires, in compagnia di Diego Armando Maradona e Manu Chao. Poi più niente, a parte un contributo al film collettivo Words with Gods (2014), che è anche un’anticipazione di questo nuovo, ambizioso progetto. Logico che su Na mlijecnom putu (On the Milky Road), primo lungometraggio di finzione dai tempi di Promettilo! (2008), fossero riposte grandi aspettative, sia da parte dei fan (che si auguravano un ritorno ai vecchi fasti), sia da parte di chi, deluso dalle sue ultime prove non proprio eccelse, sperava nell’inizio di un nuovo corso.

Torna a raccontare la guerra, Kusturica. Siamo in Erzegovina, nel pieno degli ultimi fuochi delle guerre balcaniche. Kosta (interpretato dal regista stesso) è un taciturno lattaio la cui famiglia è stata devastata dalla guerra. Sta per sposare Milena, donna folle e focosa (Sloboda Mićalović). Il rapporto tra i due sembra incrinarsi quando arriva in paese una bella italiana, chiamata “la Sposa” (Monica Bellucci), ultima conquista del combattente ed eroe di guerra Žaga Bojović (un irriconoscibile Predrag Manojlović). Tra Kosta e “la Sposa” nasce un improvviso quanto impossibile amore, e la prospettiva iniziale del doppio matrimonio si fa sempre più incerta. La situazione si sblocca quando le truppe serbo-bosniache, tradendo la tregua da loro stesse annunciata, entrano nel villaggio con i lanciafiamme, carbonizzando qualunque cosa si muova. Di fronte alla follia omicida dei soldati i due amanti, unici superstiti, non hanno altra scelta che lanciarsi in una disperata fuga.


Una scena del film
Una scena del film

Resurrezione di un autore dato per perso, la cui parabola sembrava essere oramai giunta al termine, o stanca ripetizione di strategie espressive ampiamente collaudate? La risposta dipende, in parte, dal legame affettivo che ciascuno spettatore ha con il cinema di Kusturica. Sul fatto che il regista serbo ripeta sovente sé stesso, non vi sono dubbi. L’incipit riprende esplicitamente quello di Underground (1995): come lì si racconta la guerra attraverso l’indifferenza di coloro che ne sono estranei, ossia gli animali. La sequenza successiva, le peripezie di Milena e di sua madre contro una vecchia e minacciosa pendola assassina, aprono in uno stile inconfondibile le danze dell’“Unza Unza Time”: un carosello continuo, dal montaggio ritmicamente serrato, di musica balcanica, balli frenetici, alcool, vetri rotti, spari di guerra e di festa, facce da galera, malviventi obesi, ragazze disinibite, animali di ogni tipo. È Kusturica allo stato puro, elettrizzante o soporifero, a seconda dei punti di vista: una clownerie incessante in cui la guerra rimane sullo sfondo, presente eppure costantemente ignorata, banalizzata, esorcizzata. 

È solo nella seconda parte che il film sembra segnare una svolta, con l’ingresso dei militari in città: figure volutamente senza spessore, incarnazione del male assoluto, rispetto ai quali la coppia intraprende una fuga romantica che la conduce verso un inaspettato epilogo. Il registro dell’opera si sposta su un piano surrealista e la contrapposizione tra il cieco odio delle guardie e l’altrettanto cieco amore della coppia travalica le circostanze storiche e geografiche per farsi discorso universale, fiaba sul potere dell’amore che non disdegna qualche incursione nel cinema di avventura (si vedano le scene della fuga nel canneto e del tuffo nelle cascate). È qui che Kusturica indugia in qualche leziosità di troppo, e la visionarietà di certe sequenze, frutto forse di una mal gestita sintesi di tre anni di lavoro, appare (come d’altronde in gran parte del suo cinema) fuori controllo. Eppure è impossibile non parteggiare per i due amanti, rimanere col fiato sospeso per le loro peripezie, indignarsi di fronte all’ostinazione, irragionevole e proprio per questo simbolica, dei soldati. Tutto il film gioca sul brusco stacco tra la guerra percepita nella sua quotidianità (in cui persino la perdita di un orecchio per colpa di un cecchino viene derubricata come incidente di routine) e l’orrore, improvviso, che il conflitto bellico acquista nella vita della coppia.


Una scena del film
Una scena del film

Un contrasto che genera, nella seconda parte del film, scene di forte pathos: su tutte quella del gregge di pecore (in mezzo al quale i due si nascondono), che trova riparo in un campo minato, col risultato di una tanto atroce quanto coreografica mattanza. Oppure si pensi all’intervento del boa constrictor, che pur nel suo aspetto minaccioso salva la vita alla Sposa, come già aveva fatto con Kosta. Perché la natura è amica della coppia, è amica dell’amore, facendo emergere, per contrasto, l’innaturalezza del conflitto. È questo il risvolto politico della poetica di Kusturica, forse un po’ naïf ma sinceramente pacifista. Na mlijecnom putu è probabilmente l’opera più antimilitarista del regista serbo, quasi un manifesto romantico appeso a un’ideale di amore come unica alternativa alla barbarie della guerra.

Kusturica firma sì un’opera che non si allontana troppo dai vecchi schemi, e che tuttavia nasce da un’ambizione elevata e da un lavoro meticoloso, soprattutto in fase di scenografia e di montaggio. Del resto sarebbe forse troppo chiedere al sessantaduenne regista serbo un rinnovamento radicale: vederlo calcare ancora una volta il red carpet, in t-shirt, in splendida forma, è come incontrare un amico che non vedi da tempo. Peccato solo per qualche eccesso visivo, che spesso va a detrimento del racconto, rischiando di trasformare ciò che è dolce in stucchevole. Perché “la vita è un miracolo”, Emir, ma questo ce lo hai già detto.




Na mlijecnom putu
cast cast & credits
 
In concorso

La locandina del film
La locandina



 
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