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Piccola storia ignobile

di Raffaele Pavoni
  Hjartasteinn
Data di pubblicazione su web 09/09/2016  

In un piccolo paesino islandese di pescatori Thor (Baldur Einarsson) e il suo migliore amico Kristjan (Blaer Hinriksson) affrontano come possono l’apatia delle vacanze estive: vanno a pesca, si accaniscono sui rottami di macchine abbandonate, corteggiano ragazze locali. Il desiderio di libertà dei due si scontra però con situazioni familiari complesse: dalla parte di Thor, i genitori sono divorziati e la madre cerca invano di rifarsi una vita, contro il volere del ragazzo e delle due sorelle; più problematica la situazione di Kristjan il cui padre, un alcolista violento, manifesta insofferenza verso i suoi atteggiamenti effemminati. Poco a poco Kristjan perde la testa per Thor. Quando, durante un’uscita in tenda, quest’ultimo bacerà la sua prima ragazza, il già fragile equilibrio tra i due verrà definitivamente infranto.


Una scena del film.
Una scena del film

Quello di Gudmundur Arnar Gudmundsson, classe 1982, qui suo al primo lungometraggio, è il primo film islandese ad approdare al Lido, nelle Giornate degli Autori, rassegna autonoma modellata sulla Quinzaine des Réalisateurs del festival di Cannes. È difficile distinguere il valore dell’opera dal fascino naturale di uno dei luoghi più “esotici” del continente europeo. Ci si appassiona alle memorie adolescenziali del regista in parte perché incuriositi dalla vita e dalle usanze islandesi. Da qui il sospetto iniziale che dietro la presenza del film di Gudmundsson alla Mostra vi sia la convergenza tra un interesse etnologico, quello del pubblico, e uno promozionale, quello della produzione: considerando la commistione, particolarmente rodata nei paesi nordici, tra industria cinematografica, film commissions e finanziamenti pubblici, l’ipotesi è tutt’altro che peregrina. 

Ma è un sospetto fallace, che si sgretola già dalle prime battute del film. Certo, gli elementi folkloristrici non mancano, e nell’adolescenza dei due ragazzini si pescano trote selvagge, si scalano scogliere, ci si sposta a cavallo, si ascolta Björk e il buio non cala mai; tuttavia a contare, più che le differenze culturali, sembrano essere le analogie. Quello descritto da Gudmundsson è uno spaccato adolescenziale qualunque, in tutta la sua bellezza e la sua miseria. Alcune soluzioni espressive sono ispirate dal cinema di Lerry Clark, seppur epurate dai suoi eccessi “scabrosi”. Si guarda anche al primo Ken Loach: si pensi alla somiglianza, somatica e caratteriale, tra Thor e il Billy di Kes (1969). A differenza dei due modelli evocati, tuttavia, Gudmundsson non cerca né lo scandalo, né la denuncia sociale, ma solo il ricordo, al contempo nostalgico e doloroso, del passaggio dall’infanzia all’età adulta. È dalla contemplazione del ricordo, più che dalla sua sofferenza, che scaturisce un’opera come Hjartasteinn.


Una scena del film
Una scena del film

Coerentemente la scansione degli eventi è quella tipica del memoriale, appesa agli stati d’animo di un ragazzino nella fase della pubertà. Ne risulta un pastiche visivo puramente emotivo, in cui si alternano scene topiche dell’adolescenza (il primo bacio, la prima sbronza, la sorella di Thor che aspira ad essere una poetessa maledetta) a microdrammi dipinti con poche, leggerissime pennellate: la madre single che si scontra con lo stigma familiare e sociale, le vessazioni del bullo di quartiere e, soprattutto, il dramma di Kristjan, il cui desiderio non corrisposto per Thor conquista lentamente il centro della scena. 

L’omosessualità, non più repressa, di Kristjan viene schernita dai coetanei e osteggiata dal padre. Quest’ultimo rappresenta il machismo dilagante nelle aree più periferiche del paese e al tempo stesso la cristallizzazione di una dinamica tipica del disagio adolescenziale:, destinato a rimanere inascoltato, a meno che non sfoci in gesti irreparabili. Lo sguardo di Gudmundsson è sensibile alla psicologia dei personaggi (nota di merito per il casting): ne esamina i volti, i gesti, le posture, ma anche e soprattutto le relazioni, dipanando un tessuto sociale che verrà strappato solo nel finale, con la fuga verso Reykjavik e la rinascita. 


Una scena del film.
Una scena del film

Bravissimo nell’alternare primi piani a campi lunghi, in un gioco continuo di inserimento e isolamento dal contesto, il regista islandese propone un lavoro sofferto, autenticamente personale, e proprio per questo universale. Riprendendo il topos, mai abusato, della fuga dalla campagna alla città, il film è un potente spaccato di vita di un paese che è al contempo un luogo interiore, da cui a un certo momento è necessario distaccarsi. L’autenticità della provincia islandese, forse, sta proprio qui, nel suo essere banalmente uguale a qualsiasi altra provincia.




Hjartasteinn
cast cast & credits
 
Giornate degli Autori

Guğmundur Arnar Guğmundsson
Il regista islandese
Guğmundur Arnar Guğmundsson



 
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