I grandi autori sanno
sempre sorprendere lo spettatore, spiazzare il suo orizzonte di attesa e
spingerlo verso immagini, suoni, mondi nuovi e imprevisti pur rimanendo fedeli
a una precisa idea di cinema. Tra questi Terrence
Malick è sicuramente quello che più ha estremizzato questo concetto. A
partire da The Tree of Life (benché
espliciti segnali fossero presenti anche nei film precedenti e soprattutto in The New World) il regista texano ha
liberato il proprio cinema dalle sue sovrastrutture narrative per riconsegnarlo
alla potenza poetica delle immagini e della parola. Un percorso, quello di
Malick, che non si arresta neanche davanti a opere che potremmo quasi definire “su
commissione”, come questo “documentario” Voyage
of Time: Lifes Journey, prodotto dal National Geographic per il circuito Imax
in due versioni: quella breve (quaranta minuti) per gli schermi Imax e quella
per le sale presentata in concorso alla 73a Mostra del Cinema.
Una scena del film A
un approccio superficiale potrebbe sembrare che Voyage of Time sia una semplice variazione su un tema già
affrontato in The Tree of Life,
ovvero lorigine delluniverso e della vita sulla terra. In verità si tratta di
un ribaltamento completo di quel punto di vista. Se The Tree of Life si apriva con la didascalia di un versetto dal
libro di Giobbe (38, 4-7) in cui Dio chiede alluomo «Doveri tu quando io
fondavo la terra?», qui è la voce ruvida e sensuale di Cate Blanchett che, sullo schermo nero, ci dice: «Madre. Camminavi
con me nel silenzio prima che cominciasse il mondo». È il “verbo” della vita
stessa che si interroga (e ci interroga) sulle sue origini, invocando la
“Madre”, in modo quasi ossessivo, lungo tutto il film. Non a caso le prime
immagini che rompono il nero mostrano poveri, homeless e “matti” per le strade dAmerica, seguiti dal degrado
delle periferie africane. Sono immagini digitali, sporche, sovraesposte, in
bassa definizione, che rappresentano già una forte presa di posizione morale ed
estetica, ponendosi ad anni luce di distanza dallimmaginario del National
Geographic e trasformando il dubbio della voce narrante («Madre dove sei? Dove
sei andata?») da ontologico a concreto, reale, quasi scatologico.
Una scena del film Da
qui inizia il viaggio del tempo che con effetti ed elaborazioni digitali ci
porta al Big Bang, allorigine della materia, dello spazio, del tempo e di
tutte le sue domande “vitali”, dove i corpi celesti si espandono e le eclissi
diventano giganteschi occhi che interrogano lo spettatore. Alla formazione dei
pianeti la macchina da presa va alla ricerca dei segni primigeni ancora
presenti in natura, vagando tra le gole dellAntelope Canyon in Arizona, sulle
acque che spengono la lava dei vulcani hawaiani, intorno alla forza esplosiva
dei geyser islandesi, nel profondo
delle barriere coralline australiane, in mezzo al vento dei deserti africani. Il
film affronta levoluzione della vita attraverso la contraddizione evidente e
lintrinseca circolarità dellossimoro che troviamo nelle immagini, nelle
parole («Madre abisso di luce onnivedente»), nello stile e persino nellesile
traccia narrativa, in questa disperata ricerca della soluzione al paradosso di
una forza vitale madre di sé stessa, quale unico, possibile ed eterno noumeno
necessariamente femminile. Come accade anche “nellinvisibile” (perché ancora
non distribuito) Knight of Cups (film
damore e sullamore ancora più dilaniato di To the Wonder), anche qui ritroviamo il Malick intransigente che
non concede tregua allo spettatore, immergendolo in unesperienza sensoriale
completa dove la colonna sonora diventa una componente fondamentale, come
testimoniano i lunghissimi crediti musicali nei titoli di coda: unimmersione
che solo il formato Imax può rendere completa.
Una scena del film
Insomma
Voyage of Time: Lifes Journey non è
destinato a recuperare chi si è “perso” dopo The Tree of Life (e qualche rumoroso disappunto, nella proiezione
veneziana per la stampa, sta lì a ricordarlo), ma certamente continuerà ad
affascinare chi ne raccoglie le improvvise aperture di senso e le infinite
suggestioni che riaccendono imprevisti riferimenti, come quando arriva
inaspettatamente alla memoria il libro undicesimo de Le confessioni di SantAgostino e la sua “trinità del presente” che
trova posto allinterno dellanima, dove «il presente di ciò che è passato è la memoria, di ciò
che è presente la percezione, di ciò che è futuro laspettativa» e per questo «in
te, anima mia, misuro il tempo». Il tempo diventa così lestensione dellanima,
proprio come il cinema di Malick.
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