Satana è un angiolone ingenuo e un po geloso rispetto
al reverendo Guy Pearce, vera
incarnazione del male in una indefinita regione degli States, allalba della grande epopea della conquista del West e
della nascita della mitologia dei coloni duri e non puri. Il giovane e
soddisfatto regista olandese Martin
Koolhoven (curriculum impeccabile
di premi prestigiosi e pure grande sbancatore di botteghini in patria e
altrove) teorizza la nascita di un western olandese da affiancare, con
pionieristica umiltà, alla grande epopea, non tanto di quello americano, quanto
della declinazione italiana degli spaghetti western. Non sappiamo bene quanto
lolandesità influisca in questa rivisitazione del genere ma possiamo
senzaltro pronosticare che non dovrebbe aprire un nuovo filone.
Una scena del film
Di
buone intenzioni, si sa, è lastricato linferno ma qui la speranza è che quelle
del regista già in partenza non fossero buone e che la cattiveria gli abbia
preso la mano nellinvenzione di un polpettone storico-biblico di sanguinaria
fattura. La mefiticità delle intenzioni trova una pezza dappoggio non solo
nella divisione del racconto in quattro capitoli biblicamente connotati (Apocalisse,
Esodo, Genesi e Castigo), quanto
nellinversione dei piani temporali acciocché lo spettatore si trovi di fronte
ad un rebus più complesso di quanto non sarebbe la sua lineare disposizione e,
facendo quindi maggior fatica, abbia la sensazione di unopera di grande
complessità.
Buona
anche se ormai usuratissima tecnica (ma si veda come lo slittamento dei piani
temporali possa ancora funzionare se eseguito con impeccabile rigore
stilistico, ad esempio nel pur complesso film di Tom Ford, link), bisognosa però almeno di qualche brivido di
imprevedibilità. Qui invece è tutto prevedibile a partire dalla troppo evidente
intenzione di formulare un “potente” atto daccusa contro lintegralismo
religioso (accentuato fin al sospetto caricaturale nella prosciugata maschera
di Guy Pearce nel ruolo del fanatico
Predicatore) e della forza di reazione (oggi più di moda dire “resilienza”)
della vittima angelicata (lefficacemente inespressiva Dakota Fanning), donna vittima predestinata di tutti gli orrori
della società.
Una scena del film
E
così, neppur troppo lentamente, il film diventa un catalogo horror che si
compiace della sua maestria, un po Dogma e un po Tarantino, inanellando
infamie di tutti i tipi (sgozzamenti di pecore, maschere di ferro sui volti
delle donne, sbudellamenti in serie, frustate, impiccagioni, roghi, lingue
mozzate; aggiungete pure quel che volete, cè). In tutta questa compiaciuta
esibizione di violenza fisica, che non riesce neppur per un momento a diventare
morale o, per lo meno, parodica, possiamo rivelare, senza timore di guastare
sorprese, che il reverendo è il perverso padre della protagonista e che
finalmente brucerà nelle fiamme di un lume a petrolio che leroina gli
scaglierà addosso mentre lui tenta di violentare, come già aveva fatto con lei
adolescente, la di lei adolescente figlia, id
est sua nipote. Et cetera.
Ci
chiediamo perché i selezionatori ci caschino ancora.
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