Dopo
The Light Between Oceans ( link), arriva al Lido un altro film ambientato nel primo Dopoguerra: Frantz, ultima fatica del francese François Ozon, tratto da una pièce
teatrale di Maurice Rostand già adattata
per il grande schermo da Lubitsch nel
poco noto Broken Lullaby (1932). In
una piccola cittadina tedesca la giovane Anna ( Paula Beer) piange la perdita del suo amato Frantz ( Anton von Lucke), morto in trincea. Un
giorno alla sua tomba incontra un giovane francese di nome Adrien ( Pierre Niney), anchesso afflitto dalla
morte delluomo. Nonostante la ritrosia del padre di Frantz ( Ernst Stötzner), la cui rabbia per la
morte del figlio è sfociata in un sentimento antifrancese, Adrian viene bene integrato
nel nucleo familiare, almeno fino a quando il suo reale legame con lamico
morto verrà allo scoperto…
«Per
favore evitate di rivelare il segreto di Adrien al pubblico»: così si legge nel
pressbook messo a disposizione dei
giornalisti alla Mostra, e ovviamente non possiamo che accogliere questa richiesta. In
realtà non è facilissimo raccontare Frantz
senza accennare minimamente al colpo di scena che avviene poco prima della metà
del film, e che dà una sferzata a tutta la vicenda. Da sempre, daltronde, quello
di Ozon è un cinema che poggia su un solidissimo sistema di dialoghi; ancora
una volta bisogna riconoscere al cineasta parigino che la sceneggiatura, frutto
di un lavoro a quattro mani con Philippe
Piazzo, è di pregevolissima fattura.
Una scena del film I
due sceneggiatori hanno il grande merito di riuscire a integrare nella Storia (che
qui gioca un ruolo da protagonista) le costanti poetiche ozoniane: oltre allambiguità
sessuale, il dolore per la perdita della persona amata e il desiderio inteso come
superamento degli ostacoli. La commedia sentimentale sembra fornire, in questo
senso, gli strumenti necessari allinterpretazione della realtà storica,
trasponendo il conflitto su un piano privato per trovarvi, nellintimità dei
protagonisti, una soluzione. La tradizionale dinamica di ordine-disordine acquista
profondità storica: il disordine è quello della difficile eredità materiale e
morale della Prima guerra mondiale, ma anche di un amore spezzato per sempre;
lordine è quello, precario, di un irrigidimento delle parti, che sfocia a sua
volta in un nuovo disordine, ma anche quello di un amore, altrettanto precario,
che rinasce.
Nelladattamento
del dramma storico agli schemi narrativi della commedia sofisticata si
riconosce il “Lubitsch touch”. Tuttavia, a differenza del citato Broken Lullaby, qui il punto di vista
non è quello di Adrien, ma di Anna, donna tipicamente ozoniana: “giovane e
bella”, per citare un altro dei suoi film, divenuta adulta troppo presto, con un
percorso di crescita sessuale e sentimentale ancora da compiere. Frantz è un soggetto che calza a
pennello a un regista come Ozon: una storia damore elegante e raffinata, nei
contenuti come nello stile, che è al contempo un potente affresco storico sulla
furiosa e cieca rivalità tra le confinanti Francia e Germania. «Noi brindavamo
alla morte dei loro soldati, loro alla morte dei nostri: siamo padri che brindano
alla morte dei loro figli!» dice il padre di Frantz ai suoi colleghi, che in
tutta risposta lo emarginano, rimproverandogli di dividere i pasti con un
soldato francese. Laspetto forse più compiuto del film sta proprio in questo pacifismo
sentimentale, splendidamente naïf,
che mostra le ragioni di entrambe le parti nella loro specularità.
Una scena del film
Una specularità che si estende alla sfera privata, nella ambigua relazione tra i due protagonisti. È qui che Ozon si dimostra in gran forma, costruendo un dramma basato sulle bugie, sui non detti, sul più classico degli “io so che lui non sa che loro non sanno”. È unimpostazione che, oltre a Lubtitsch, guarda a Rohmer, ma anche al cinema cosiddetto “gender”, rielaborato in assoluta libertà. Tutta la prima parte del film si regge sullattesa di un eventuale coming out da parte di Adrien, in un meccanismo di suspense che il regista ben conosce. Abbonda il citazionismo, postmoderno fuori tempo massimo, che tuttavia non è mai gratuito, mai banalmente “cinefilo”. Numerosi i riferimenti felliniani, soprattutto alla Giulietta Masina di Le Notti di Cabiria (1957), alla quale Paula Beer sembra ispirarsi (soprattutto nel finale); esplicito il riferimento a Casablanca (1942) di Michael Curtiz, nella scena dellosteria di Parigi in cui Anna si ritrova circondata da persone che cantano a gran voce La Marsigliese, contraltare necessario al Deutschland über Alles intonato dai colleghi del padre di Frantz. Due,
tuttavia, le note dolenti. Innanzitutto il colore: la quasi totalità del film è
in bianco e nero, a parte alcune scene in cui, almeno secondo la volontà del regista, dovrebbe sprigionarsi la felicità
dei protagonisti (ad esempio, nei flashback del racconto di Adrien). In questa prospettiva
Ozon pilota le sensazioni del pubblico in maniera fin troppo pleonastica. La
seconda pecca riguarda il finale: se la struttura del film è rigidamente
bipartita e speculare, la quadratura del cerchio non arriva, e il regista si
rifugia in un finale aperto che ha il sapore di una facile scappatoia.
Ma è proprio in questo duplice gioco di contrasti, cromatici e narrativi, che Ozon trova le leve con le quali articolare la sua visione del mondo e della Storia. Nella splendida scena in cui Anna prende il treno per Parigi vediamo lunica inquadratura sugli effetti della guerra: le rovine di una città viste attraverso gli occhi della giovane viaggiatrice; nientaltro che un semplice riflesso sul vetro che si sovrappone al primo piano della ragazza, il cui pensiero è altrove, e la cui psiche arriva a tollerare il peso di una bugia, per quanto grossa, pur di lasciarsi alle spalle quel passato di morte e distruzione.
Pur promuovendo un cinema autoriale e
caratterizzato da fitti rimandi interni, Ozon riesce, senza mai scadere nel
narcisismo o nellautoindulgenza, a coniugare una profonda e personale
conoscenza cinematografica con unattenzione rivolta prioritariamente al grande
pubblico. Ancora una volta si dimostra abilissimo nel creare e deludere le sue
aspettative, in un gioco di spiazzamento continuo che si fonda su una continua
messa in questione di ciò che viene detto e mostrato.
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