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Lubitsch reloaded

di Raffaele Pavoni
  Frantz
Data di pubblicazione su web 04/09/2016  

Dopo The Light Between Oceans (link), arriva al Lido un altro film ambientato nel primo Dopoguerra: Frantz, ultima fatica del francese François Ozon, tratto da una pièce teatrale di Maurice Rostand già adattata per il grande schermo da Lubitsch nel poco noto Broken Lullaby (1932). In una piccola cittadina tedesca la giovane Anna (Paula Beer) piange la perdita del suo amato Frantz (Anton von Lucke), morto in trincea. Un giorno alla sua tomba incontra un giovane francese di nome Adrien (Pierre Niney), anch’esso afflitto dalla morte dell’uomo. Nonostante la ritrosia del padre di Frantz (Ernst Stötzner), la cui rabbia per la morte del figlio è sfociata in un sentimento antifrancese, Adrian viene bene integrato nel nucleo familiare, almeno fino a quando il suo reale legame con l’amico morto verrà allo scoperto…

«Per favore evitate di rivelare il segreto di Adrien al pubblico»: così si legge nel pressbook messo a disposizione dei giornalisti alla Mostra, e ovviamente non possiamo che accogliere questa richiesta. In realtà non è facilissimo raccontare Frantz senza accennare minimamente al colpo di scena che avviene poco prima della metà del film, e che dà una sferzata a tutta la vicenda. Da sempre, d’altronde, quello di Ozon è un cinema che poggia su un solidissimo sistema di dialoghi; ancora una volta bisogna riconoscere al cineasta parigino che la sceneggiatura, frutto di un lavoro a quattro mani con Philippe Piazzo, è di pregevolissima fattura. 



Una scena del film

I due sceneggiatori hanno il grande merito di riuscire a integrare nella Storia (che qui gioca un ruolo da protagonista) le costanti poetiche ozoniane: oltre all’ambiguità sessuale, il dolore per la perdita della persona amata e il desiderio inteso come superamento degli ostacoli. La commedia sentimentale sembra fornire, in questo senso, gli strumenti necessari all’interpretazione della realtà storica, trasponendo il conflitto su un piano privato per trovarvi, nell’intimità dei protagonisti, una soluzione. La tradizionale dinamica di ordine-disordine acquista profondità storica: il disordine è quello della difficile eredità materiale e morale della Prima guerra mondiale, ma anche di un amore spezzato per sempre; l’ordine è quello, precario, di un irrigidimento delle parti, che sfocia a sua volta in un nuovo disordine, ma anche quello di un amore, altrettanto precario, che rinasce.

Nell’adattamento del dramma storico agli schemi narrativi della commedia sofisticata si riconosce il “Lubitsch touch”. Tuttavia, a differenza del citato Broken Lullaby, qui il punto di vista non è quello di Adrien, ma di Anna, donna tipicamente ozoniana: “giovane e bella”, per citare un altro dei suoi film, divenuta adulta troppo presto, con un percorso di crescita sessuale e sentimentale ancora da compiere. Frantz è un soggetto che calza a pennello a un regista come Ozon: una storia d’amore elegante e raffinata, nei contenuti come nello stile, che è al contempo un potente affresco storico sulla furiosa e cieca rivalità tra le confinanti Francia e Germania. «Noi brindavamo alla morte dei loro soldati, loro alla morte dei nostri: siamo padri che brindano alla morte dei loro figli!» dice il padre di Frantz ai suoi colleghi, che in tutta risposta lo emarginano, rimproverandogli di dividere i pasti con un soldato francese. L’aspetto forse più compiuto del film sta proprio in questo pacifismo sentimentale, splendidamente naïf, che mostra le ragioni di entrambe le parti nella loro specularità.



Una scena del film

Una specularità che si estende alla sfera privata, nella ambigua relazione tra i due protagonisti. È qui che Ozon si dimostra in gran forma, costruendo un dramma basato sulle bugie, sui non detti, sul più classico degli “io so che lui non sa che loro non sanno”. È un’impostazione che, oltre a Lubtitsch, guarda a Rohmer, ma anche al cinema cosiddetto “gender”, rielaborato in assoluta libertà. Tutta la prima parte del film si regge sull’attesa di un eventuale coming out da parte di Adrien, in un meccanismo di suspense che il regista ben conosce. Abbonda il citazionismo, postmoderno fuori tempo massimo, che tuttavia non è mai gratuito, mai banalmente “cinefilo”. Numerosi i riferimenti felliniani, soprattutto alla Giulietta Masina di Le Notti di Cabiria (1957), alla quale Paula Beer sembra ispirarsi (soprattutto nel finale); esplicito il riferimento a Casablanca (1942) di Michael Curtiz, nella scena dell’osteria di Parigi in cui Anna si ritrova circondata da persone che cantano a gran voce La Marsigliese, contraltare necessario al Deutschland über Alles intonato dai colleghi del padre di Frantz. 

Due, tuttavia, le note dolenti. Innanzitutto il colore: la quasi totalità del film è in bianco e nero, a parte alcune scene in cui, almeno secondo la volontà del regista, dovrebbe sprigionarsi la felicità dei protagonisti (ad esempio, nei flashback del racconto di Adrien). In questa prospettiva Ozon pilota le sensazioni del pubblico in maniera fin troppo pleonastica. La seconda pecca riguarda il finale: se la struttura del film è rigidamente bipartita e speculare, la quadratura del cerchio non arriva, e il regista si rifugia in un finale aperto che ha il sapore di una facile scappatoia.



Una scena del film

Ma è proprio in questo duplice gioco di contrasti, cromatici e narrativi, che Ozon trova le leve con le quali articolare la sua visione del mondo e della Storia. Nella splendida scena in cui Anna prende il treno per Parigi vediamo l’unica inquadratura sugli effetti della guerra: le rovine di una città viste attraverso gli occhi della giovane viaggiatrice; nient’altro che un semplice riflesso sul vetro che si sovrappone al primo piano della ragazza, il cui pensiero è altrove, e la cui psiche arriva a tollerare il peso di una bugia, per quanto grossa, pur di lasciarsi alle spalle quel passato di morte e distruzione.

Pur promuovendo un cinema autoriale e caratterizzato da fitti rimandi interni, Ozon riesce, senza mai scadere nel narcisismo o nell’autoindulgenza, a coniugare una profonda e personale conoscenza cinematografica con un’attenzione rivolta prioritariamente al grande pubblico. Ancora una volta si dimostra abilissimo nel creare e deludere le sue aspettative, in un gioco di spiazzamento continuo che si fonda su una continua messa in questione di ciò che viene detto e mostrato.



Frantz
cast cast & credits
 

La locandina del film
La locandina
 
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