Nel
giorno di apertura della Mostra, mentre il cosiddetto circo mediatico si
accalca intorno al red carpet, nella semivuota
Sala Casinò viene inaugurata la sezione Orizzonti
dedicata alle nuove correnti del cinema mondiale. Ad aprire le danze è un film profondamente
cupo e antispettacolare, politico nel senso più nobile del termine.
È
ambientato in una Lisbona che non è quella dei panorami da cartolina dei miradouros o dei rioni moreschi di
Alfama o Castelo. Siamo negli anni 2010-2014 segnati dallintervento della “troika”,
il Fondo Salva-Stati dellUnione Europea: un quinquennio di controllo dei conti
che ha prodotto drammatiche conseguenze: licenziamenti, abbassamento dei
salari, famiglie sfrattate. Laumento vertiginoso dei debiti privati ha
favorito il moltiplicarsi delle agenzie di debt
collecting, compagnie il cui scopo primario è quello di comprare legalmente
tali debiti per poi riscuoterli a tassi di interesse esosi. Un settore che
necessita di un apparato di riscossione in grado di garantire il saldo dei
conti, secondo una dinamica usuraria dai tratti paramafiosi.
Una scena del film
Per
raccontare questa realtà il regista Marco
Martins adotta un taglio documentaristico ibridato con dinamiche tipiche
del thriller (tra tutti Anima e Corpo
di Robert Rossen, da cui si riprende
il tema della boxe) e con una sensibilità noir
palese nei forti giochi di luce e ombra che caratterizzano la fotografia di Carlos Lopes. Jorge (Nuno Lopes) è un disoccupato
abbandonato dalla compagna Susana (Maria
Nunes), immigrata brasiliana anchessa stretta nella morsa dei debiti, la
quale vorrebbe far ritorno alla terra natia insieme al figlio Nelson (David Semedo). Per far fronte alle
spese e cercare di ricomporre il nucleo familiare Jorge si presta a sporadici combattimenti
di boxe, che lo vedono umiliato sul ring. Lunica possibilità di riscatto è quella
di accettare un lavoro come picchiatore per unagenzia di raccolta debiti, scelta
da cui scaturisce un conflitto morale irrisolvibile.
Alla
base del film sta una ricerca antropologica di due anni; il che emerge dalla
conoscenza dei temi trattati e dalla credibilità delle reazioni dei personaggi.
Il regista riesce a coniugare la volontà di denuncia con le esigenze
drammaturgiche interpolando scene di finzione a sequenze documentaristiche in
cui attori non-professionisti parlano della situazione sociale e finanziaria del
loro Paese. Se nella prima parte questalternanza di registri rischia di
appesantire la visione, è con il susseguirsi degli eventi che essa si rivela necessaria
per conferire credibilità alla denuncia e raccontare la complessità del protagonista.
Una scena del film
Questultimo
è interpretato da un intenso Nuno Lopes, il quale, per entrare nella parte, è
ingrassato di venti chili e ha frequentato per mesi società di debt collecting e palestre di pugilato
della capitale portoghese. Il suo Jorge è un pugile che non vuole tirare pugni,
innamorato di un amore non corrisposto, un debitore che per pagare i propri
debiti è costretto a farli pagare agli altri debitori, nei confronti dei quali prova
un misto di rabbia e compassione. Jorge è tutte le storie in cui il regista e
lattore si sono imbattuti nella loro ricerca. La macchina da presa di Martins lo
segue, attraverso un pedinamento quasi zavattiniano, fatto di piani sequenza in
steadicam che sembrano voler
sospendere il flusso narrativo per scavare nel personaggio, esplorarne le
pieghe del viso (magistrale, in questo senso, il lavoro sulla mimica facciale).
Un pedinamento ossessivo la cui funzione primaria è quella di enucleare il
personaggio dal contesto; non è un caso che il fuori campo acquisti in molte
scene un ruolo chiave, così come lo spazio sonoro, che arriva talvolta a “invadere”
quello visivo.
Più
interessato agli effetti della crisi che alle sue reali cause, São Jorge è un film non impeccabile a
livello di economia narrativa, ma guidato da una sana urgenza espressiva e da
una solida visione della società. Tutto ruota intorno al denaro: si parla di
denaro, si mostra il denaro, si ama e si muore per denaro. È nellidentificazione
dello spettatore col protagonista che il regista gioca le sue carte migliori e la
figura della vittima costretta a diventare carnefice riflette la situazione del
Portogallo contemporaneo.