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Duse

di Gabriella Gori
  Duse
Data di pubblicazione su web 12/01/2016  

L’applauditissima fantasia coreografica intorno a Eleonora Duse, o più sinteticamente Duse, del coreografo-regista John Neumeier in prima assoluta alla Staatsoper di Amburgo, non è un semplice balletto ma qualcosa di più. Una pièce in cui il registro metateatrale si intreccia con quello metabiografico e metaletterario contribuendo a rendere epica la vita e l’arte della grande attrice italiana ed eloquente l’afasia della danza.

Una fisica “loquacità” a cui fanno eco l’appropriata scelta della musica di Benjamin Britten e Arvo Pärt, eseguita dall’Orchestra Filarmonica dell’Opera di Amburgo diretta dall’inappuntabile Simon Hewett, l’elegante allestimento scenografico e costumistico dello stesso Neumeier, curatore anche delle luci, gli eccezionali ballerini dell’Hamburg Ballet diretto da Neumeier e Alessandra Ferri.

Una lirica “tragedienne” ma anche una “danzatrice” moderna che con Chérie di Martha Clarke nel 2013, Woolf Works di Wayne MaGregor a maggio e Duse di Neumeier a dicembre 2015 assume il ruolo di “mattatrice” della scena coreutica internazionale per quel piglio attoriale capace di dare “voce” al linguaggio del corpo. Alessandra in virtù della sua maturità artistica, e del felice ritorno alla danza dopo l’addio del 2007 con La Dame aux Camélias di Neumeier, riporta in vita i sentimenti, i drammi e le passioni di una donna e di un personaggio che hanno segnato la storia del teatro, dell’arte e della cultura del Novecento.

Una figura che ha sempre affascinato Neumeier, autore non nuovo a “fantasie coreografiche” su personalità carismatiche come ad esempio Nijinsky nell’omonimo balletto, e ora spintosi a celebrare colei che seppe – come professava Gabriele D’Annunzio – «fare della propria vita un’opera d’arte».

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo
© Holger Badekow

John Neumeier nella messinscena di Duse non tralascia questo principio dell’Estetismo dannunziano presentando la divina Eleonora quale mostro sacro della scena teatrale, ma con sensibilità poetica coglie la sofferta psicologia di un’attrice all’apice del successo, i suoi tormentati amori, la vita travagliata, segnata anche dal dolore della guerra, la rivalità con Sarah Bernhardt, l’amicizia con Isadora Duncan, per poi “transumanare”. Ovvero oltrepassare la sfera umana e virare a trecentosessanta gradi immaginando un iperuranio di bellezza, pace e armonia in cui Eleonora, dopo la morte, rivede gli uomini della sua vita e balla insieme a loro, puro spirito tra amorosi spiriti.

La pièce, divisa in due parti di cui la prima in dieci quadri, parte da una impostazione metateatrale con una fila di sedie di legno tipiche dei cinema di un tempo poste in tralice a sinistra del palcoscenico. Muovendosi in blocco le sedie scandiscono il tempo e accolgono i ballerini, nelle vesti di spettatori dell’epoca, intenti ad appropriarsi della vita pubblica e privata della Duse, diventata oggetto di un soffocante divismo.

Alla destra dei sedili un grande schermo proietta le immagini di Cenere, il film con cui l’attrice nel 1916, ormai non più giovane, ritornò sulla scena, mentre una figura vestita di nero assiste alla proiezione. Si alza, è la Duse, alias Alessandra Ferri, che da lì viene trascinata in un vortice di ricordi grazie all’incontro con il giovane soldato Luciano Nicastro che le dona un bouquet di rose e la proietta nel suo passato.

Eccola allora nel ruolo shakespeariano di Giulietta con Luciano trasfigurato in Romeo. In un transfert tra arte e vita la tragedia dei due amanti di Verona diventa la tragedia della prima guerra mondiale in cui Eleonora vaga terrorizzata in mezzo alle bombe e ai morti.

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo
© Holger Badekow

Nel terzo quadro l’atmosfera cambia. La Duse ammira la rivale e idolo Sarah Bernhardt che spopola con La Signora delle camelie di Dumas figlio e la omaggia con un fascio di fiori ma non nasconde la distanza che la separa dalla diva francese per uno stile di recitazione più ponderato e introspettivo, che inconsapevolmente anticipa il metodo Stanislavskij. Tanto basta per dividere il pubblico tra “filodusiani” e “filobernhardtiani”.

Una rivalità che spinge la Duse, spronata da Arrigo Boito, con cui ha una relazione, a interpretare Antonio e Cleopatra di Shakespeare che il librettista padovano traduce per lei. Un trionfo cancellato nel quinto quadro dal dolore per l’amica Isadora Duncan, la prima grande danzatrice moderna che perse i figli in un tragico incidente e che trova conforto nell’attrice.

Intanto la fama di Eleonora è inarrestabile per l’interpretazione di Margherita Gautier, che oscura quella della Bernhardt, e Luciano, che arriva dal fronte per farle visita, agli occhi della Duse diventa Armand.

E metaletteratura e metabiografia si intrecciano indissolubilmente nel settimo quadro quando appare il giovane e aitante D’Annunzio. Affascinato dalla donna, il poeta fa della Duse la sua musa ispiratrice ma al tempo stesso rivela il suo sfacciato opportunismo sfruttandone l’immagine e la popolarità. Una popolarità bene rappresentata dagli innumerevoli scatti fotografici che travolgono la loro storia fatta di amore e odio, lussuria e pudicizia.

Un dolore per la matura attrice acuito dall’arrivo di un telegramma da cui apprende che Luciano Nicastro sta morendo. Lei lo stringe a sé un’ultima volta in ospedale. L’unico suo conforto resta il palcoscenico che la vede osannata ne La Signora delle camelie, La Locandiera, La Gioconda, La Donna del mare, fino all’ultima tournée a New York e a Pittsburgh dove il 21 aprile 1924 muore.

La salma, dopo i funerali a New York, arriva via mare a Napoli e poi ad Asolo per l’ultimo commosso addio immortalato dalle immagini proiettate sul grande schermo, che chiudono “a cornice cinematografica” la prima parte dello spettacolo.

Una parte contrassegnata da travolgenti duetti neoclassici tra Eleonora/Alessandra e i suoi uomini: dolcissimo e filiale quello con Luciano Nicastro, il bravissimo Alexander Trusch; potente e maschio quello con Arrigo Boito, il possente Carsten Jung; appassionato ed erotico quello con Gabriele D’Annunzio, il sensuale Karen Azatyan; originale e ricorrente quello con Marc Jubete, personificazione del pubblico onnipresente nella vita della Divina.

Drammaticamente intense sono anche le compresenze con la rivale Sarah Bernhardt, la stupenda Silvia Azzoni; l’amica Isadora Duncan, la liricissima Anne Laudere; e d’effetto le reazioni degli spettatori fittizi, interpretati dall’ottimo Hamburg Ballet.

E se nella prima parte di Duse la coreografia è realistica e narrativa, è nella breve seconda parte che diventa astratta e adamantina in una visione celestiale e impalpabile in cui Eleonora incontra gli uomini della sua vita (Nicastro, Boito, D’Annunzio, il Pubblico personificato).

Neumeier, sulla musica di Frates e Cantus in Memory of Benjamin Britten di Arvo Pärt, lascia spazio alla danza pura “intonando” un canto per la Duse e i suoi amorosi Drudi (amanti) che fa volare il pensiero ad Apollo Musagète di Balanchine e lascia gli astanti ammaliati e partecipi di una messinscena che supera le classificazioni di genere e ricorda il grande “teatro di regia” di Strehler.



Duse
cast cast & credits
 

Il coreografo John Neumeier
Il coreografo John Neumeier



 
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