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Il “grande attore” Lavia e il suo Galileo

di Piero Meucci
  Siro Ferrone
Data di pubblicazione su web 16/11/2015  

Intervista realizzata in occasione della prima rappresentazione (13 novembre 2015) della Vita di Galileo di Brecht al Teatro della Pergola di Firenze.

Quattro ore di spettacolo, fino all’una di notte, mettono alla prova un pubblico chiamato non solo a provare emozioni, ma anche a esercitare il ragionamento. La Pergola dovrebbe fare come i teatri d’opera quando arriva Wagner: cominciare alle 19 e non alle 21.

Sì, non si capisce perché non adottino un orario diverso. Le abitudini del pubblico possono essere cambiate…

Beh, non è stato facile, ma certamente ne è valsa la pena. È raro assistere a spettacoli di questa potenza e di questo impegno. Mi domando però se la sensibilità di oggi possa apprezzarne fino in fondo significato e tematica. 

Lo spettacolo funziona perché la carica energica, vitale e appassionata del regista-attore Lavia è tale che riscalda e colora tutto. Mentre l’operazione registica di Strehler era governata da un grande maestro che si sostituiva all’autore. Qui c’è un fuoco diverso. Il teatro di Lavia è prima di tutto un teatro che si basa su un impianto registico solido che viene riscaldato dalla presenza attoriale. Lavia è uno dei più grandi attori che abbiamo mai avuto. Un grandissimo talento che si è sottoposto a una disciplina rilevante per poter esprimere a pieno non solo sé stesso, ma l’opera nel complesso. Anche questa volta è ammirevole lo sforzo che ha fatto. Soprattutto perché si sottopone a un esame comparativo: fare il Galileo dopo avere visto Strehler è una grossa sfida. E devo dire comunque che ha avuto la forza di frenare il suo prorompente protagonismo. 

Il paragone è inevitabile. Intanto mi pare che, sul piano storico, il Galileo di Buazzelli, tutto sommato, era un po’ più credibile. Buazzelli aveva quella naturale bonomia, quel modo tipico toscano di intuire l’animo e di cogliere le situazioni. 

La vera domanda è: il regista deve darci un’immagine credibile di Galileo o deve darci una interpretazione corretta di quello che ha voluto dire Brecht? 

Quale risposta dà Lavia alla domanda “chi era il Galileo storico?”.

Tutto sommato la questione gli interessa limitatamente. Lavia segue una via riconducibile al grande attore ottocentesco perché è il più appassionato e attento continuatore di quella tradizione: più che Ruggeri, i grandi interpreti dell’Ottocento, ZacconiModena e anche le grandi attrici come Adelaide Ristori. Così qui alla Pergola non vai a vedere il Galileo di Brecht, vai a vedere il Galileo di Lavia. Cosa che ovviamente non piace a chi è un cultore della cosiddetta regia critica. 

Forse qui cogliamo un primo limite di questo spettacolo. Con la sua prorompente personalità Lavia ha azzerato tutto quello che gli sta intorno.

Vedere in scena Lavia è come ascoltare un cantante d’opera senza preoccuparsi del libretto e della trama. Lavia è affascinante. Con lui, come dicevo, hai i bagliori di quello che doveva essere il teatro dell’Ottocento. Lo scintillare di un teatro dove l’attore-mattatore domina tutto il resto. Immersione nel passato.

Bene, così possiamo dare una prima risposta alle nostre domande. Il Galileo di Lavia è assai poco brechtiano e assai poco legato alla tradizione del personaggio storico che rappresenta.

Sicuramente non è brechtiano. Lo straniamento, il distacco razionale dal pubblico, non c’è mai. Lavia inghiotte il testo e lo fa suo. In questo senso uno stravolgimento, ma a noi interessa che ci sia uno spettacolo intenso ricco di suggestioni. Certo si perde molto dell’impianto sociale, storico e politico di quella drammaturgia.

Dunque, sei d’accordo con il titolo che «Stamp» ha dato alla recensione dello spettacolo: Quel Galileo assomiglia troppo a Lavia?

Ma anche il Galileo di Strehler assomigliava molto a Strehler. Per il regista del Piccolo, lo scienziato era l’uomo contrastato dalla società e dal sistema. Un martire e anche Strehler amava rappresentarsi così, martire incompreso. Lavia è molto più sereno. Nella sua interpretazione non è evidente l’antagonismo fra Galileo e la Chiesa. Ma guarda come ha trattato i cardinali, come figurine grottesche. Li ha messi in un ridicolo tale che sono spazzati via. Esiste solo l’eroe.

Manca completamente l’approccio ideologico di Brecht. Alla fine non ci sono dei veri avversari.

Galileo è il classico eroe buono che viene punito dai cattivi. Il Galileo di Lavia tuttavia non cede mai. Affronta coraggiosamente il destino anche se talvolta mostra debolezza e fragilità. La sua è una lettura da grande attore. Tutto l’impianto è molto energico. Il regista-attore trascura però la vena di malinconia e il chiaroscuro del personaggio. La vitalità teatrale di Lavia trionfa. È finita l’epoca della grande regia. Prevale l’eccellenza degli ottimi attori.




 



 
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