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Operette che passione!

di Chiara Schepis
  De revolutionibus
Data di pubblicazione su web 06/11/2015  

Dal monumentale allestimento di Mario Martone di qualche anno fa – cast numeroso e notissimo, scene ed effetti sbalorditivi – allo spettacolo “di strada” o varietà povero – morale e immorale, felice e infelice – di Carullo-Minasi, il cortocircuito tra la fantasia leopardiana delle Operette morali e i mezzi espressivi del teatro riserva piacevoli sorprese.

Il Copernico (“operetta morale per questo infelice”) e Galantuomo e Mondo (“operetta immorale per questo felice”) sono i due dialoghi leopardiani adattati per la scena dalla compagnia. La riduzione teatrale conferma l’aderenza tra le considerazioni del “giovane favoloso” e le inquietudini sottaciute del nostro tempo. Tempo in cui il poeta è servile, la virtù schiava. Secolo che nel clamore di una festa costante ha ucciso la poesia (e fa riflettere come la replica in esame dello spettacolo coincida con le celebrazioni per l’anniversario dalla morte di Pier Paolo Pasolini).

Un momento dello spettacolo 
© Roberto Serena
Un momento dello spettacolo
© Gianmarco Vetrano

De revolutionibus – sulla miseria del genere umano sembra essere un calzino rivoltato di cui ci è mostrato l’esterno lindo e, tolta la scarpa, i fori sulle dita; la prima parte si specchia nella seconda e questa permette connessioni con la prima. È il trionfo del gioco teatrale povero, quello del saltimbanco il cui fine è sempre la “meraviglia”; ma spenti i lumini e staccata la musica, emergono i buchi del calzino: l’assassinio ormai universalmente compiuto della dignità umana, teatrino per i giochi di una natura “mondana”.

I due giovani messinesi Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, reduci di numerosi e recenti successi, lavorano a briglia sciolta e con brio sui testi del poeta, facendo perno sul concetto di “rivoluzione”: rivoluzione dei costumi e del sentire moderno. Giocano con i mezzi del teatro e con lo spettatore, al quale si rivolgono apertamente proponendo gags e momenti di improvvisazione. Qualsivoglia pretesa illusionistica è abolita: gli attori interagiscono con il pubblico e dialogano con le musiche mai “in tempo”. Il loro teatro è infatti un artigianale teatro in azione. A partire dalle scene tutto sembra apparire magicamente davanti al pubblico – come i personaggi delle Operette invadevano la fantasia di Leopardi – attraverso un’operazione di metamorfosi interna alla scena stessa e agli attori, i quali vestono un personaggio, sostano sulla propria biografia, sul proprio dialetto, e diventano altro.


Un momento dello spettacolo 
© Roberto Serena
Un momento dello spettacolo
© Gianmarco Vetrano

I movimenti, evidentemente forgiati da un lungo training nella bottega di Domenico Cucinotta, sono plastici e controllati. I due performers padroneggiano il corpo e la mimica dei volti, molto vicini alla maschera, diventando così materiale di scena al pari degli oggetti e degli arredi. Questi, essenzialissimi, rimandano al carretto dell’attore girovago o del burattinaio. Ogni pezzo del puzzle, attori compresi, è funzionale.

La scena metateatrale di Cinzia Muscolino e Piero Botto viene spostata e montata a vista. La prima lunga sequenza pantomimica comincia con Carullo e Minasi dietro ai loro carretti carichi di oggetti e pezzi di scenografia, intenti a osservare il pubblico aspettando il momento giusto per spostarsi sul fondo e montare la piccola pedana col siparietto azzurro e ottagonale forato al centro, terzo protagonista della messinscena. La pedana posizionata orizzontalmente è la dimora di un Sole/Carullo riluttante alle prese con Copernico/Minasi; la stessa pedana, posta in senso perpendicolare, si fa passerella per le smanie di un Mondo/Minasi che indossa adesso il siparietto, abito rigido che consente all’attrice movimenti spezzati e scattosi. Questo Mondo, fin troppo “culturale”, dà vita a una kermesse didattica rivolta al Galantuomo/Carullo, leopardiano, ma non troppo, nella presa di coscienza finale. «Giuseppe Carullo al servizio di vostra eccellenza», dice l’attore; mentre lo dice, però, sono i riferimenti prossemici a veicolare il significato: Carullo è rivolto verso il pubblico, dietro di lui, e più in alto di lui, il Mondo pare dirigerlo e guidarlo col fare di chi ha acquisito familiarità coi fili.

Non è Leopardi, è la sua parodia: un Leopardi in salsa grottesca che, udite! udite!, corrisponde alle convenzioni sociali di oggi; di quella “società” che uccide il poeta ma che corre verso il domani glorioso. La parodia dell’uomo, dunque, marionetta del grande teatrino umano e sollazzo del burattinaio di turno.




De revolutionibus
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