Dal
monumentale allestimento di Mario Martone di qualche anno fa – cast numeroso e notissimo, scene ed effetti
sbalorditivi – allo spettacolo “di strada” o varietà povero – morale e
immorale, felice e infelice – di Carullo-Minasi, il cortocircuito tra la
fantasia leopardiana delle Operette morali e i mezzi espressivi del teatro
riserva piacevoli sorprese.
Il Copernico (“operetta morale
per questo infelice”) e Galantuomo e
Mondo (“operetta immorale per questo felice”) sono i due dialoghi
leopardiani adattati per la scena dalla compagnia. La riduzione teatrale
conferma laderenza tra le considerazioni del “giovane favoloso” e le
inquietudini sottaciute del nostro tempo. Tempo in cui il poeta è servile, la
virtù schiava. Secolo che nel clamore di una festa costante ha ucciso la poesia
(e fa riflettere come la replica in esame dello spettacolo coincida con le
celebrazioni per lanniversario dalla morte di Pier Paolo Pasolini).
Un momento dello spettacolo
© Gianmarco Vetrano
De revolutionibus
– sulla miseria del genere umano sembra essere un calzino rivoltato di cui
ci è mostrato lesterno lindo e, tolta la scarpa, i fori sulle dita; la prima
parte si specchia nella seconda e questa permette connessioni con la prima. È
il trionfo del gioco teatrale povero, quello del saltimbanco il cui fine è
sempre la “meraviglia”; ma spenti i lumini e staccata la musica, emergono i
buchi del calzino: lassassinio ormai universalmente compiuto della dignità
umana, teatrino per i giochi di una natura “mondana”.
I due giovani messinesi Giuseppe Carullo e Cristiana
Minasi, reduci di numerosi e recenti successi, lavorano a briglia sciolta e con
brio sui testi del poeta, facendo perno sul concetto di “rivoluzione”:
rivoluzione dei costumi e del sentire moderno. Giocano con i mezzi del teatro e
con lo spettatore, al quale si rivolgono apertamente proponendo gags e momenti di improvvisazione.
Qualsivoglia pretesa illusionistica è abolita: gli attori interagiscono con il
pubblico e dialogano con le musiche mai “in tempo”. Il loro teatro è infatti un
artigianale teatro in azione. A partire dalle scene tutto sembra apparire
magicamente davanti al pubblico – come i personaggi delle Operette invadevano la fantasia di Leopardi – attraverso unoperazione di metamorfosi interna alla
scena stessa e agli attori, i quali vestono un personaggio, sostano sulla
propria biografia, sul proprio dialetto, e diventano altro.
Un momento dello spettacolo
© Gianmarco Vetrano
I
movimenti, evidentemente forgiati da un lungo training nella bottega di Domenico
Cucinotta, sono plastici e controllati. I due performers padroneggiano il corpo e la mimica dei volti, molto
vicini alla maschera, diventando così materiale di scena al pari degli oggetti
e degli arredi. Questi, essenzialissimi, rimandano al carretto dellattore
girovago o del burattinaio. Ogni pezzo del puzzle,
attori compresi, è funzionale.
La
scena metateatrale di Cinzia Muscolino e Piero Botto viene spostata e
montata a vista. La prima lunga sequenza pantomimica comincia con Carullo e
Minasi dietro ai loro carretti carichi di oggetti e pezzi di scenografia,
intenti a osservare il pubblico aspettando il momento giusto per spostarsi sul
fondo e montare la piccola pedana col siparietto azzurro e ottagonale forato al
centro, terzo protagonista della messinscena. La pedana posizionata
orizzontalmente è la dimora di un Sole/Carullo riluttante alle prese con
Copernico/Minasi; la stessa pedana, posta in senso perpendicolare, si fa
passerella per le smanie di un Mondo/Minasi che indossa adesso il siparietto,
abito rigido che consente allattrice movimenti spezzati e scattosi. Questo
Mondo, fin troppo “culturale”, dà vita a una kermesse didattica rivolta al Galantuomo/Carullo, leopardiano, ma
non troppo, nella presa di coscienza finale. «Giuseppe Carullo al servizio di
vostra eccellenza», dice lattore; mentre lo dice, però, sono i riferimenti
prossemici a veicolare il significato: Carullo è rivolto verso il pubblico,
dietro di lui, e più in alto di lui, il Mondo pare dirigerlo e guidarlo col
fare di chi ha acquisito familiarità coi fili.
Non
è Leopardi, è la sua parodia: un Leopardi in salsa grottesca che, udite!
udite!, corrisponde alle convenzioni sociali di oggi; di quella “società” che
uccide il poeta ma che corre verso il domani glorioso. La parodia delluomo,
dunque, marionetta del grande teatrino umano e sollazzo del burattinaio di
turno.
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