Siamo alla prima. Il teatro è gremito. La
platea arriva fino ai bordi di una piscina. Sul fondo della vasca è nascosta
lorchestra. In scena unatmosfera balneare, elegante e glamour, anni Cinquanta. Lambientazione partenopea è stata
mantenuta ma trasportata sulla bellissima terrazza di una villa nobiliare:
potremmo trovarci a Capri, a Ravello o a Positano. Dalle scalette della piscina,
in successione, salgono i personaggi con indosso i loro costumi da pin-up e accappatoi bianchi, scandendo
con esercizi ginnici i dialoghi cantati.
Comincia così il dramma giocoso delle
simmetrie in cui le coppie originali composte da Fiordiligi e Guglielmo e da
Dorabella e Ferrando sono perfettamente speculari con le voci soprano-baritono e
mezzosoprano-tenore che in uno scambio di coppie si rimescolano dando vita al
canone armonico soprano-tenore e mezzoprano-baritono. Don Alfonso e Despina,
eccellentemente interpretati da Omar Montanari e Giulia Semenzato, come
maliziosi e disincantati registi in sintonia con le geometrie musicali tirano
le fila della vicenda incitando i protagonisti a tentare nuove unioni in nome
di regole sociali meno rigorose.
Esemplari le interpretazioni dei protagonisti,
a partire da Carmela Remigio,
Fiordiligi sul palcoscenico, la quale già dallaria Come scoglio immoto resta lascia intravvedere un carattere deciso e
una virtù ben più salda rispetto allanimo giocoso della sorella, impersonata
da Anna Goryachova. Altrettanto
intense le prove dei giovani ufficiali Juan Francisco Gatell (Ferrando) e Simone Alberighi (Guglielmo) i quali, a partire dallaria Soave sia il vento, compiono un vero e proprio viaggio dentro loro
stessi, liberandosi di tutte le costrizioni formali e dando il via a una sorta
di introspezione che coinvolgerà – e trasformerà – anche le altre due
protagoniste.
Un momento dello spettacolo © Pietro Paolini
Gli uomini scommettono sulla fedeltà
delle loro amate e, complici Don Alfonso e Despina, espongono le loro idee sulla
devozione, esortando le future spose a «divertirsi un poco, e non morire di
malinconia». Il risultato è uno scambio delle coppie con tanto di finto
matrimonio e colorato banchetto. Un volta scoperto linganno gli accoppiamenti
tornano a essere quelli iniziali, ma alla fine dei due atti nessuno dei quattro
personaggi avrà unidea chiara del proprio futuro, non evidenziandosi una
risposta definitiva al drammatico quesito che è stato loro posto: è vero che
così fan tutte? O sarebbe meglio dire così fan tutti? La maestria di Lorenzo da Ponte sta nel nascondere al
pubblico chi inganna e chi viene ingannato; solo la musica, in questa edizione diretta
da Roland Böer, suggerisce squarci
di verità, assecondando attraverso la vena mozartiana lo stato danimo dei
personaggi, soprattutto di quelli femminili. Tuttavia è proprio lambiguità del
libretto a rendere lopera di una sorprendente attualità, una vera e propria
indagine su sé stessi capace di far riflettere sul mistero dei sentimenti.
Un momento dello spettacolo © Pietro Paolini
Lorenzo
Mariani torna nella
città in cui è professionalmente nato e firma lallestimento del gioiello
settecentesco di Mozart
trasportandolo – come evidenziato allinizio della recensione – al nostro
secolo, con bicchieri di Martini e sigarette in scena: un ritratto della
società chic allestito quale naturale
prosieguo della trilogia buffa. Se infatti il Don Giovanni era stato da lui ambientato negli anni Venti del Novecento,
Così fan tutte è stato spostato nel
secondo dopoguerra, in attesa delle Nozze
di Figaro che verranno trasposte al giorno doggi. La modernità di questo
allestimento è quasi interamente agganciata allaspetto comico della vicenda,
infarcita di gaffes dogni tipo, come
la trovata, originale ed estremamente buffa, di trasformare i nobili
corteggiatori albanesi in dondolanti maragià indiani, resa per altro magnificamente
dai costumi di Silvia Aymonino.
Altrettanto divertenti le coloratissime scene del banchetto finale, proposto
alla maniera di una Bollywood caotica e kitsch,
supportato dal coro che irrompe in platea al suono della marcia militare prendendo parte alla festa.
La nuova produzione dellOpera di Firenze
è stata accolta complessivamente bene, anche se il regista ha ricevuto qualche
contestazione dal pubblico alla fine del primo atto; probabilmente perché il
suo lavoro si colloca nel filone delle regie contemporanee in cui talvolta
risulta difficile collegare ciò che viene cantato con quanto si inscena sul
palco. Ma alla fine lallestimento rispetta il libretto di Da Ponte che si
prende gioco dei costumi e dei moralismi dellepoca, mettendo in evidenza le debolezze
della carne e il doloroso apprendistato delle ragioni umane attraverso una
buona dose di cinismo e un pessimismo niente
affatto celato.
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