Sotto le austere arcate
del Teatro Olimpico di Vicenza un drappo di velluto rosso si distende fino a ricoprire
interamente il proscenio, dispiegandosi in basso verso lorchestra, dove si scorge
una gigantografia della Venere dormiente
di Urbino di Tiziano; sul
palcoscenico sono disposte in disordine le travi di legno scuro che compongono
un crocifisso. Sopra larcata centrale, mentre si riflette una foto ovale del
criminale Charles Manson in catene,
si legge lepigrafe: «La fede è come
amare qualcuno che è lì fuori, nella nebbia, e non si rivela mai per quanto
forte lo si chiami», come recita la Lettera
di Marta a Tomas, il pastore che ha smarrito la fede, nel film Luci dinverno di Ingmar Bergman.
Frattanto, una giovane fanciulla entra nello spazio del sacrificio,
seguita di lì a poco dalla figura di un Cristo denudato, sulla cui pelle brilla
una patina di color aureo. Tra loro si compie un rito di seduzione,
antisimbolico e apparentemente iniziatico, utilizzando una valigetta-altare da
cui traggono fuori il calice e il corporale. È questo lavvio della graffiante
rappresentazione scritta, diretta e interpretata da Angelica Liddell, Prima lettera
di San Paolo ai Corinzi - Cantata BWV 4, Christ lag in Todesbanden. Oh,
Charles!, che ha inaugurato con successo, in prima nazionale, al di là di
qualche flebile e insignificante polemica, la 68a stagione degli
spettacoli classici dellOlimpico, curata da Emma Dante.
Un momento dello spettacolo
© Francesco Dalla Pozza - Colorfoto Artigiana
Rimanendo fedele alla
propria caparbietà creativa, la regista catalana negli ultimi anni si è dedicata
al progetto denominato il Ciclo delle
Resurrezioni, che comprende tre passaggi: You Are my Destiny, Tandy
e Primera Carta de San Pablo a los Corintios. Si tratta di lavori
contrassegnati, come ha dichiarato lei stessa, dall«eresia» del ritorno alla
vita dopo la morte, sebbene ciò non coincida sempre con una resurrezione del
corpo. Al centro dello schema drammaturgico si colloca lesaltazione spasmodica
e totale dellamore, inteso come il fervore radicale dellumano che straripa
oltre la sfera carnale fino alla dimensione del sacro. Nel primo testo, ad
esempio, ispirandosi al poemetto shakespeariano Lo stupro di Lucrezia, a Tito Livio e alla Lucrezia di Händel,
Angelica recupera il tema della violenza che travolge la castità femminile e
conduce allannullamento di sé mediante uninterminabile danza, proiettata
oltre i confini del tempo. In Tandy, invece, emerge il tormento interiore di colei che cerca
spasmodicamente il senso della pena amorosa; stavolta, sulla scia del Lamento della ninfa di Claudio Monteverdi,
lartista tende a definire uno stato di sofferenza inquieta e velata.
La Prima lettera di San
Paolo ai Corinzi, che costituisce il terzo atto del Ciclo, offre agli spettatori la
concezione di una teologia laica, tanto sofferta quanto assoluta, che insegue
la trama di una personale liturgia dellincarnazione lungo la traccia del caos,
della disperazione e del tormento. Nella lunga tirata centrale, detta la Lettera
della Regina del Calvario al Grande Amante, lattrice Angelica grida fino allo stremo il tormento del
desiderio di essere posseduta da un tramite maschile, perché solamente per
questa via è possibile congiungersi, attraverso il sacrificio di Cristo,
allidea di Dio. La febbre damore si traduce in un fiume di parole, scandite
da un ritmo crescente fino a assumere i toni striduli e implosivi della
crudeltà artaudiana: Emma Dante ha definito la Liddell un Artaud al femminile.
Alla base dellamore e della fede la protagonista scorge la coesistenza della
molla della follia; è pazzo chi ama, è folle chi crede. Si rivela, a poco a
poco, unautoanalisi che traspira dai ricordi infantili, dalla morbosità dei
sogni religiosi, dalla ribellione verso le convenzioni, dalle proibizioni che
distorcono listintiva tensione sessuale delle creature verso il loro creatore.
Lo scritto di San Paolo dichiara la difficoltà che prova l«uomo naturale»
nellintendere lenigma dello spirito santo; per la regista occorre, allora,
sovvertire il processo morte-resurrezione, esaltando limpulso irrazionale
(«pre-razionale») dellumanità, traducendo il percorso verso lestasi in un
atto amoroso impuro, alla stregua di Dante
che ha trasformato il legame con Beatrice in una catarsi religiosa.
Un momento dello spettacolo
© Francesco Dalla Pozza - Colorfoto Artigiana
Lo spettacolo risulta
complesso, non offre soluzioni, ma accosta lintensità della preghiera
allazione blasfema (secondo lidea di Grotowski):
la nudità di Cristo, un tratto simbolico che annulla il vuoto dello spazio
scenico, fissa un itinerario che conduce al martirio sulla croce: i sei
frammenti di legno, caduti dal Golgota, si sommano alle tracce del sangue che
il figlio di Dio, interpretato da Sindo
Puche, si fa prelevare realmente in scena e che distilla in parte sul telo
della sindone, mentre assume su di sé il peso dei peccati; è il grave fardello
di quella malvagità sintetizzata dalla foto di Manson, che riaffiora alla fine
come un contrappunto necessario al trionfo del bene. La presenza della
Maddalena, recitata da Victoria Aime,
è un ulteriore snodo nel conflitto che contrappone il sentimento alla violenza:
la donna accusata di essere peccatrice accetta di sottoporsi al taglio
effettivo dei capelli come un gesto in grado di annullare la propria sessualità
nelladorazione dellamato salvatore. La relazione passione/morte/resurrezione
si amplifica quando appare il coro delle cinque Maddalene nude e rasate, che
recano teschi di cervo ramificati e che, sconfinando nel culto pagano di
Venere, sinebriano del vino che proviene dal sangue e si sfamano con un morso
vorace sulla mano del corpo immolato. Un capro sacrificale pende sotto larcata
centrale del teatro, mentre sinnalza la ben regolata coralità della Cantata di Bach.
Un elogio convinto è da
rivolgere, anzitutto, allenergia espressiva di Angelica Liddell, artefice
assoluta che conosce larte di amalgamare una quantità di suggestioni musicali
e figurative, di influssi cinematografici (oltre a Bergman, cè il respiro del Tarkovskij di Nostalghia), di letture poetiche e saggistiche, da Freud a Barthes e alla scienza, per una messinscena che sfida lincoerenza
delle fedi mediante un procedimento arcaico e, insieme, razionale, e che esalta
la forza travolgente dellamore al pari di una sfida rivolta allineluttabile
incongruenza della morte.
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