Strana annata questo 2015. Il cinema
italiano sta attraversando quella che è probabilmente la sua crisi più profonda
(che lo investe a tutti i livelli: politico, economico, produttivo e anche
creativo, Oscar di Sorrentino
permettendo), eppure, tra il festival di Cannes e la Mostra di Venezia, schiera
ben sette film nei concorsi principali facendo emergere un paradosso che,
purtroppo, risulta essere più superficiale che sostanziale. Non volendo
discutere sulla “triade” autoriale di Cannes (possiamo definire un caso la loro
uscita in contemporanea), qualche perplessità in più si è avuta alluscita
delle opere selezionate per il Lido e, sfortunatamente, alcune di queste
perplessità si stanno rivelando ben riposte a partire proprio da A Bigger Splash di Luca Guadagnino. Il regista siciliano non è certo una figura
“conciliante”: i suoi film sono quasi ignorati in Italia, mentre allestero
sono spesso veri e propri oggetti di culto (anche negli “impenetrabili” Stati
Uniti) e lo stesso si può dire per quanto riguarda la critica, costantemente
divisa tra convinti entusiasti e decisi detrattori. Un trend che questo film non sembra certo cambiare.
Una scena del film.
Lasciate alle spalle le atmosfere
insopportabilmente viscontiane di Io sono
lamore, questa volta Guadagnino mette in scena un remake, neanche troppo infedele, de La piscina, film edonista di Jacques
Deray, in cui la coppia Alain Delon
e Romy Schneider si separava sia
nella finzione che nella vita. Scegliendo di mantenere la struttura e i nomi
originali A Bigger Splash mostra la
storia della rockstar Marianne
(linevitabile musa del regista Tilda
Swinton, che sul palco appare come un clone di Chrissie Hynde dei Pretenders) che, momentaneamente afona in seguito a unoperazione alle corde vocali,
sta trascorrendo la convalescenza nella sua villa a Pantelleria in compagnia
del fidanzato Paul, regista di videoclip (un fin troppo misurato Matthias Schoenaerts). La loro
tranquilla, nuda armonia viene sconvolta dallarrivo dellex produttore ed ex
compagno di Marianne Harry (un ipercinetico e logorroico Ralph Fiennes) e della sedicente figlia Penelope (Dakota Johnson). Il piano di Harry è
subito chiaro: riconquistare Marianne ed estromettere Paul, anche servendosi
della figlia per sedurlo. Come accade nelloriginale le cose precipitano fino
allinevitabile omicidio nella piscina, che, inaspettatamente, diventa uno
snodo non solo drammaturgico, ma soprattutto formale; linizio delle indagini segna
infatti un clamoroso cambiamento di registro e il film vira decisamente verso
la commedia, grazie anche allentrata in scena di un grande Corrado Guzzanti nel ruolo del
maresciallo dei carabinieri La Mattina che dirige linchiesta.
«Stratificazione di significati» è la
parola dordine che Guadagnino vorrebbe attribuire al suo film (una frase ribadita
in diverse interviste e anche alla conferenza stampa del Lido), ma A Bigger Splash, più che per stratificazione
di significati, sembra procedere per stratificazione di riferimenti, spesso fin
troppo esibiti e, purtroppo, fine a se stessi, a partire proprio dal titolo e
dai tanti tuffi in piscina che rimandano direttamente al famoso quadro pop di David Hockney e al relativo film di Jack Hazan che ne racconta la storia. Quindi,
oltre ovviamente al citato film di Deray, Guadagnino vorrebbe riproporre le
dinamiche amorose del primo Godard
allinterno di un contesto di citazioni rosselliniane (da Viaggio in Italia a Stromboli)
dove la Johnson è costretta a loliteggiare come la Sue Lyon di Kubrick,
mentre a Fiennes tocca imitare addirittura Mick
Jagger per poi finire come Brian
Jones. Il tutto culmina in una farsa finale da commedia allitaliana, che nelle
intenzioni dello stesso regista dovrebbe rimandare al Falstaff verdiano.
Una scena del film.
Sembra evidente che il risultato non può
che essere un pastiche estremamente
difficile da tenere insieme, con personaggi monolitici e privi di spessore, oppure
estremamente schematici come Marianne, la cui doppia personalità è del tutto
priva di sfumature: da un lato la nera rockstar
drogata e ninfomane (che “il diavolo” Harry continua a tentare con le sue
pastiglie), e dallaltro leterea convalescente premurosa e fedele (che
“langelo” Paul accudisce con le sue pillole). A tutto ciò Guadagnino aggiunge,
sprecandole, le suggestioni del paesaggio di Pantelleria (confine di due mondi
anchessi antitetici) e la questione dei profughi, tutta sospesa a una
fulminante battuta del “maresciallo” Guzzanti che, dopo aver dimostrato di aver
capito tutto, lascia cadere la cosa affermando di doversi occupare di
“annegamenti ben più importanti”, cosa che fa addirittura pensare che sia
proprio quello il bigger splash a cui
vuole alludere il titolo.
Alla fine si ha limpressione di aver
visto troppa carne su un fuoco troppo piccolo senza che venga risolto il dubbio
se Guadagnino sia davvero un regista sopravvalutato oppure un genio difficile
da comprendere. Quello che è certo è che questanno a Venezia è in buona
compagnia.