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Francofonia

di Sara Mamone
  Francofonia
Data di pubblicazione su web 05/09/2015  

Nel suo studio il regista cerca faticosamente di mettersi in contatto via Skype con il capitano di un non ben identificato cargo che trasporta nei suoi containers preziose opere d’arte rubate. L’interruzione sistematica della comunicazione permette l’inserimento di altri piani narrativi tra cui quello di una storia dell’arte europea attraverso l’apparentemente didascalico viaggio attraverso i misteri del Louvre con due guide d’eccezione: un’esaltata Marianna che intona la Marseillaise e scandisce ad ogni passo l’ideale di liberté, egalité, fraternité e un partecipe ma più ironico Napoleone che si compiace delle sue gesta anche di rapina. Ma il cuore del film è ancora più interno ed è la reinvenzione, in una sorta di immaginario docufilm, del rapporto singolare e salvifico che si instaurò durante la seconda guerra mondiale nella Francia divisa in due (il governo collaborazionista del maresciallo Petain al sud, e il Nord occupato dai tedeschi) tra l’occupante conte Franz Wolff-Metternich e il mite e malinconico direttore del Louvre Jacques Jaujard



Una scena del film

Attraverso una ricchissima documentazione d’archivio e una sobria reinvenzione il regista mostra come i due personaggi (quanto deve il primo alla memoria del colonnello von Rauffenstein di Von Stroheim e il secondo al malinconico capitano de Boïeldieu di Pierre Fresnay de La grande illusion di Jean Renoir?) riescano a evitare la dispersione dello straordinario patrimonio nel quale evidentemente riconoscono entrambi il segno distintivo di una comune civiltà. Che va fino a Mosca e San Pietroburgo, anche se, secondo il regista, la paura primaria del bolscevismo ha a lungo negato questa appartenenza anche alla sacra Russia. A restringere la coralità e trasformarla quasi solo in dialogo contribuisce con la sua precisazione riduttiva il titolo, Francofonia, che assegna alla Francia un primato forse dovuto anche alla partnership produttiva col museo del Louvre.

        


Una scena del film

Non è infatti un gran titolo, questo dell’ultimo film di Sokurov, che invece è un gran film, a saperlo vedere, naturalmente, e a volerlo vedere al di là di un rimescolio di tecniche non sempre intriganti e chiare, e anche al di là di qualche epidermico fastidio per la presenza del regista a prima vista non così necessaria. E invece necessarissima perché il film è un atto d’amore individuale, un atto d’amore soggettivo nel quale l’autore grida la sua incondizionata adesione al mondo dell’arte e del bello, quel mondo che individua come la radice, la patria comune dell’Europa. E a quest’Europa cresciuta artisticamente nel corso di almeno cinque secoli e politicamente dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese affida il compito di difendere, attraverso l’arte, i suoi ideali di democrazia e rispetto. E proprio a questa trasmissione dei capolavori di cui il museo (e il Louvre lo è antonomasticamente) è conservatore sacerdotale e massima espressione, affida tutto il senso della conoscenza viva di un passato altrimenti non percepibile. La riflessione sull’arte del ritratto come dono alla capacità di sguardo dei posteri («Come potrei vedere se non vedessi gli occhi di chi ha abitato il passato?») è forse la chiave di lettura di questa elegia che il titolo sposta troppo sulla Francia ma che è ben di più: un omaggio alla bellezza e al miracolo della sua conservazione. Almeno fino ad oggi.  




Francofonia
cast cast & credits
 

La locandina del film
La locandina del film



 
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