La
72a Mostra Internazionale dArte Cinematografica di Venezia sceglie
subito di giocarsi in apertura uno dei pochi film davvero attesi questanno: Beasts of No Nation, che segna da un
lato il ritorno al cinema di Cary Joji Fukunaga
(dopo la parentesi televisiva di True
Detective), dallaltro lesordio nella settima arte del nuovo colosso
produttivo americano di contenuti internet e tv Netflix. La storia, tratta dal
romanzo del nigeriano Uzodinma Iweala,
è quella tuttaltro che facile del piccolo Agu costretto a diventare un bambino
soldato in una delle tante guerre che stanno dilaniando il cuore dellAfrica, guerre
che sono il vero motore di tutti quei viaggi della disperazione che stanno
attraversando il Mediterraneo e lEuropa.
Linizio
del film è sostanzialmente una geniale promozione della mission della sua casa produttrice: vediamo Agu (un incredibilmente
bravo Abraham Attah) e i suoi amici
andare in giro per un villaggio africano con la cornice di uno schermo
televisivo, tentando di venderla ai militari come Ğla televisione
dellimmaginazioneğ o Ğla televisione che vuoi tuğ, allinterno della quale
sono gli stessi bambini a mimare i vari tipi di programmi. Finita questa
piacevole parentesi ecco che, la tranquilla vita del villaggio, viene
totalmente e improvvisamente sconvolta dallarrivo della guerra civile. Gli uomini,
disattendendo lordine di evacuazione, decidono di rimanere a presidiare le
loro case, mandando via solo le donne e i bambini, ma Agu è già “troppo grande”
per cui lautista si rifiuta di portarlo con sé lasciandolo con il padre e il
fratello maggiore. Allarrivo in città il nuovo esercito governativo rastrella
tutti i civili trattandoli come ribelli e giustiziandoli sommariamente nella
piazza principale. Solo Agu riesce a fuggire nella giungla, dove viene raccolto
più che catturato da un manipolo di ribelli agli ordini del fantomatico “Comandante”
(interpretato da un gigantesco Idris
Elba) che risparmia la vita ad Agu, per precipitarlo nella folle spirale hobbesiana
della guerra, con tutto il corollario di possibili e terribili iniziazioni: alla
morte, allomicidio, alla droga, al sesso...
Una scena del film Senza
alcuna cautela Fukunaga decide di far precipitare lintero film nella pazzia
che vuole rappresentare, facendolo diventare un crescendo di atrocità al limite
dellhorror, il tutto allinterno di un delirio cromaticamente virato di
esplicite citazioni kubrickiane (Orizzonti
di gloria è praticamente saccheggiato) e di continui rimandi ai personaggi
coppoliani di Apocalypse Now. Il
risultato è una favola nera, un nuovo “cuore di tenebra” senza precisi
riferimenti geografici, che però risulta permeato da una sorta di primordiale idea
antropologica tutta occidentale in cui il “cattivo selvaggio” uccide, violenta,
squarta, dilania solo per il desiderio di farlo, quasi fosse nella sua natura
più intima e irrefrenabile. Insomma sono loro le bestie che ti aspetti, oltretutto
allinterno di un conflitto fatto di sigle, partiti, gruppi e interessi totalmente
africani, in un contesto fin troppo assolutorio del ruolo dellOccidente in
questo tipo di crisi, aggravato, se così si può dire, dalla funzione salvifica
ed etimologicamente luciferina riservata alle forze di intervento dellONU.
Non si possono negare al
regista tutte le migliori intenzioni, né il merito di voler finalmente portare
sotto i riflettori le tragedie delle guerre dAfrica e dei loro bambini
soldato, rappresentazione vivente di quellinnocenza negata, violata,
cristianamente “scandalizzata”; ma lo stesso Fukunaga dovrebbe sapere che tanto
più è delicato il tema che si vuole trattare tanto più questo è difficile e
pericoloso da maneggiare. Le soluzioni stilistiche e narrative, i viraggi
creativi della fotografia e persino i campi e i controcampi con la macchina da
presa che letteralmente oscilla davanti ai personaggi, possono funzionare per i
detective della Louisiana o per Jane Eyre,
ma possono lasciare più di un dubbio alla fine di un film come questo a cui
certo non giova un finale decisamente troppo politicamente corretto.
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