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La rivincita dei nerds

di Raffaele Pavoni
  The repairman
Data di pubblicazione su web 20/06/2015  

Arriva in sala a due anni di distanza dalla presentazione ufficiale alla 31ª edizione del Torino Film Festival The Repairman di Paolo Mitton, curiosa coproduzione italo-britannica interamente girata in provincia di Cuneo.

Il film ha come protagonista Scanio Libertetti (Daniele Savoca), nerd trentenne che ha abbandonato gli studi di ingegneria per darsi alla riparazione di macchinette da caffè. Dopo aver subito un furto in casa, Scanio perde tutto, lavoro compreso, e accetta di andare a convivere con Helena (Hanna Croft), graziosa sociologa inglese incontrata in un supermercato. La passione tra i due giovani amanti non basterà, tuttavia, a superare l’incompatibilità caratteriale, e la mancanza di un impiego stabile non farà che esacerbare il carattere anaffettivo e solitario di Scanio portando i due verso la rottura.

Mitton, classe 1974 e curriculum di tutto rispetto (ha lavorato a Hollywood come effettista per film come Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Alien vs. Predator e La fabbrica di cioccolato), debutta come regista con un’opera personale e coraggiosa. Costruito come un flashback, il racconto inizia in un’autoscuola dove, durante un corso di recupero punti, l’istruttrice chiede al protagonista perché gli abbiano ritirato la patente. Scanio si rivela da subito imbranato, abulico, ingenuo e prolisso, rispondendo all’istruttrice con un discorso pieno di subordinate spesso fuori tema, in una non-logica discorsiva che è la stessa del film.

Una scena del film
Una scena del film

Scanio è un inedito nel cinema italiano: un anti-eroe complesso e introverso, perdente ma senza complessi di inferiorità, tenero e generoso ma drammaticamente incapace di intrattenere rapporti sociali. La fonte di ispirazione più diretta di Mitton sembra essere il cinema del conterraneo Davide Ferrario e in particolare il Martino di Dopo Mezzanotte (interpretato da Giorgio Pasotti), solitario guardiano notturno del Museo del Cinema di Torino. Tuttavia, se entrambi i registi esaltano l’inadeguatezza dei rispettivi personaggi affiancandoli a due figure di segno opposto (il maschio “tamarro” in Dopo Mezzanotte e la ragazza emancipata in The Repairman), la drammaturgia segue due direzioni, in parte, divergenti.

Mentre Ferrario trova in Martino la chiave per esaltare l’allegra caoticità dell’esistenza, rifacendosi esplicitamente agli stilemi del burlesque degli anni ’30, Mitton riprende l’attitudine burlesque per svuotarla della sua componente critica, dissacrante, sovversiva. Ciò che resta è un umorismo sinistro, sospeso nel vuoto, che spesso si tinge di non-sense e che non affievolisce ma semmai mette a nudo la drammaticità del personaggio di Scanio: il suo passare, cioè, attraverso gli eventi, le situazioni, le scene, i personaggi, senza mai imparare niente, senza che a un disordine iniziale segua un nuovo ordine.

Significativo, in questo senso, il suo progetto di un “misurometro” per monitorare e schermare le radiazioni dei vicini cavi ad alta tensione, metafora di un desiderio ossessivo di un pieno controllo sulla realtà. L’approccio alla vita di Scanio, come il suo lavoro, è tutto all’insegna del bricolage: di un bricolage inutile, leggermente autistico, in cui, più che il risultato finale, importa il processo di costruzione. 


Una scena del film
Una scena del film

La divisione tra un io e un loro è netta ed è centrale in tutto il film. Non è un caso che l’oggetto degli studi sociologici di Helena (perfetto contrappunto del protagonista) siano i metodi adottati dalle aziende locali per licenziare i propri dipendenti. La stessa Helena, d’altronde, si trova in piena sintonia con Fabrizio (Paolo Giangrasso), imprenditore con il quale Scanio effettuerà un colloquio di lavoro dall’esito disastroso. Abbandonato dal resto del mondo, il protagonista rimarrà solo con le sue idiosincrasie, le sue fissazioni, le sue idee strampalate. A livello di composizione dell’inquadratura egli risulta sempre più spesso isolato, in posizione perfettamente centrale; talvolta invade lo schermo con un primo piano, ma sempre a una certa distanza, quasi con un senso di disagio.

A questa indeterminatezza esistenziale corrisponde, e qui sta l’aspetto più interessante del film, una indeterminatezza narrativa totale: la confusione, programmatica e calcolata, sembra essere la cifra stilistica di una pellicola che intreccia, sia pure con risultati non sempre convincenti, dramma sentimentale e gags brillanti, con punte di paranoia urbana. La fotografia, caratterizzata da forti chiaroscuri, entra in conflitto con il registro comico. E se il finale, coerentemente sottotono, tende a rivalutare l’inettitudine di Scanio – sorta di Zeno Cosini del terzo millennio – le immagini spingono la nostra interpretazione in direzione opposta.

The Repairman riesce a ritagliarsi in maniera originale e mai didascalica uno spazio nell’ambito del “cinema della crisi”, sottocategoria che attraversa trasversalmente buona parte della produzione italiana contemporanea. Se film come Smetto quando voglio di Sydney Sibilia o Tutta la vita davanti di Paolo Virzì tendono a inquadrare, in chiave più o meno comica, la precarietà del singolo all’interno di un contesto sociale più ampio, nel film di Mitton la collettività non esiste: la disoccupazione è interiorizzata, individualizzata, vissuta nei termini di un’alienazione.

Quella di Scanio è una condizione patologica ma mai realmente disperata. The Repairman è un racconto che si aliena da sé per farsi altro ed è proprio in questa alienazione che sta la chiave interpretativa non solo della pellicola ma anche e soprattutto della condizione di precarietà di molti giovani italiani. Il regista, in questo senso, confeziona un film magari non perfetto, ma che propone e porta avanti una visione del mondo autentica e consapevole. Per un’opera prima, non è cosa da poco.



The repairman
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La locandina del film
La locandina del film
 
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