Arriva in sala a due anni di distanza
dalla presentazione ufficiale alla 31ª edizione
del Torino Film Festival The Repairman di Paolo Mitton,
curiosa coproduzione italo-britannica interamente girata in provincia di Cuneo.
Il film ha come protagonista Scanio
Libertetti (Daniele Savoca), nerd trentenne che ha abbandonato gli
studi di ingegneria per darsi alla riparazione di macchinette da caffè. Dopo aver subito un
furto in casa, Scanio perde tutto, lavoro compreso, e accetta di andare a
convivere con Helena (Hanna Croft), graziosa
sociologa inglese incontrata in un supermercato. La passione tra i due giovani
amanti non basterà, tuttavia, a superare lincompatibilità caratteriale, e la mancanza
di un impiego stabile non farà che esacerbare il carattere anaffettivo e
solitario di Scanio portando i due verso la rottura.
Mitton, classe 1974 e curriculum di tutto
rispetto (ha lavorato a Hollywood come effettista per film come Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Alien vs. Predator e La fabbrica di cioccolato), debutta come regista con unopera
personale e coraggiosa. Costruito come un flashback, il racconto inizia in unautoscuola dove, durante un
corso di recupero punti, listruttrice chiede al protagonista perché gli
abbiano ritirato la patente. Scanio si rivela da subito imbranato, abulico,
ingenuo e prolisso, rispondendo allistruttrice con un discorso pieno di
subordinate spesso fuori tema, in una non-logica discorsiva che è la stessa del
film.
Una scena del film Scanio è un inedito nel cinema italiano: un
anti-eroe complesso e introverso, perdente ma senza complessi di inferiorità, tenero
e generoso ma drammaticamente incapace di intrattenere rapporti sociali. La
fonte di ispirazione più diretta di Mitton sembra essere il cinema del
conterraneo Davide Ferrario e in
particolare il Martino di Dopo Mezzanotte
(interpretato da Giorgio Pasotti),
solitario guardiano notturno del Museo del Cinema di Torino. Tuttavia, se
entrambi i registi esaltano linadeguatezza dei rispettivi personaggi affiancandoli
a due figure di segno opposto (il maschio “tamarro” in Dopo Mezzanotte e la ragazza emancipata in The Repairman), la drammaturgia
segue due direzioni, in parte, divergenti.
Mentre Ferrario trova in Martino la chiave
per esaltare lallegra caoticità dellesistenza, rifacendosi esplicitamente
agli stilemi del burlesque degli anni
30, Mitton riprende lattitudine burlesque
per svuotarla della sua componente critica, dissacrante, sovversiva. Ciò che
resta è un umorismo sinistro, sospeso nel vuoto, che spesso si tinge di non-sense e che non affievolisce ma
semmai mette a nudo la drammaticità del personaggio di Scanio: il suo passare,
cioè, attraverso gli eventi, le situazioni, le scene, i personaggi, senza mai
imparare niente, senza che a un disordine iniziale segua un nuovo ordine.
Significativo, in questo senso, il suo
progetto di un “misurometro” per monitorare e schermare le radiazioni dei
vicini cavi ad alta tensione, metafora di un desiderio ossessivo di un pieno
controllo sulla realtà. Lapproccio alla vita di Scanio, come il suo lavoro, è
tutto allinsegna del bricolage: di
un bricolage inutile, leggermente
autistico, in cui, più che il risultato finale, importa il processo di
costruzione.
Una scena del film La divisione tra un io e un loro è netta ed è
centrale in tutto il film. Non è un caso che loggetto degli studi sociologici
di Helena (perfetto contrappunto del protagonista) siano i metodi adottati
dalle aziende locali per licenziare i propri dipendenti. La stessa Helena, daltronde,
si trova in piena sintonia con Fabrizio (Paolo
Giangrasso), imprenditore con il quale Scanio effettuerà un colloquio di
lavoro dallesito disastroso. Abbandonato dal resto del mondo, il protagonista
rimarrà solo con le sue idiosincrasie, le sue fissazioni, le sue idee
strampalate. A livello di composizione dellinquadratura egli risulta sempre
più spesso isolato, in posizione perfettamente centrale; talvolta invade lo
schermo con un primo piano, ma sempre a una certa distanza, quasi con un senso
di disagio.
A questa indeterminatezza esistenziale
corrisponde, e qui sta laspetto più interessante del film, una indeterminatezza
narrativa totale: la confusione, programmatica e calcolata, sembra essere la
cifra stilistica di una pellicola che intreccia, sia pure con risultati non
sempre convincenti, dramma sentimentale e gags brillanti, con punte di paranoia urbana. La fotografia, caratterizzata da forti
chiaroscuri, entra in conflitto con il registro comico. E se il finale, coerentemente
sottotono, tende a rivalutare linettitudine di Scanio – sorta di Zeno Cosini
del terzo millennio – le immagini spingono la nostra interpretazione in
direzione opposta.
The Repairman riesce a
ritagliarsi in maniera originale e mai didascalica uno spazio nellambito del “cinema
della crisi”, sottocategoria che attraversa trasversalmente buona parte della
produzione italiana contemporanea. Se film come Smetto quando voglio di Sydney
Sibilia o Tutta la vita davanti
di Paolo Virzì tendono a inquadrare,
in chiave più o meno comica, la precarietà del singolo allinterno di un
contesto sociale più ampio, nel film di Mitton la collettività non esiste: la
disoccupazione è interiorizzata, individualizzata, vissuta nei termini di
unalienazione.
Quella di Scanio è una condizione patologica
ma mai realmente disperata. The Repairman
è un racconto che si aliena da sé per farsi altro ed è proprio in questa alienazione
che sta la chiave interpretativa non solo della pellicola ma anche e
soprattutto della condizione di precarietà di molti giovani italiani. Il
regista, in questo senso, confeziona un film magari non perfetto, ma che
propone e porta avanti una visione del mondo autentica e consapevole. Per
unopera prima, non è cosa da poco.
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