Cristoph Marthaler mette in scena un
teatro da camera brillante, che non prende vita nellintimità delle mura
domestiche del canonico salotto borghese, bensì in una presunta stanza dalbergo,
elegantissima nel suo raffinato cromatismo tutto floreale, in turchese e in
finiture oro. In questa suite non cè
spazio per la privacy dei quattro
bizzarri abitanti che mettono a nudo i loro pensieri sulla vita e sui
sentimenti in un unico flusso di coscienza musicale dichiaratamente “enarmonico”.
È
allinsegna della complessità, della polisemia dei simboli adottati dal regista
svizzero che si struttura lo spettacolo, prodotto da Theater Basel Svizzera e
approdato in Italia al Festival dei Due Mondi di Spoleto e poi al Teatro Fabbricone di
Prato.
Con
una performance nella performance, suonando e cantando al ritmo di uno scatenato ironico e surreale vaudeville, i quattro protagonisti non
si manifestano nella loro quotidianità fatta di relazioni sociali, accadimenti
e sconvolgimenti delle loro vite più o meno complicate. In King size non cè una trama con uno svolgimento lineare né unespressa
morale (lautrice del testo è Malte
Ubenauf). Troneggia solo un “lettone” formato king size, appunto, intorno al quale gravita uninsolita coppia che
con divertente e divertita imprevedibilità si muove da un lato allaltro della stanza.
Un momento dello spettacolo
© Simon Hallstrom
Allimprovviso,
nel bel mezzo della pièce, sguscia
lei da sotto il letto, prima cantando e poi mangiando una foglia dinsalata
caduta sul pavimento. Quindi sbuca dallarmadio, con effetto sorpresa, un
insolito trio al ritmo swing di uno
spumeggiante “duap duap”. A più riprese tutti sarrampicano sopra una sedia per
raggiungere un cassetto che si rivela uninvitante cella frigo-bar. I
personaggi vanno e vengono dal palcoscenico sostando in un fuori scena che non
è altro che il bagno della stanza, dal quale provengono rumori inconfondibili
che suscitano lilarità del pubblico.
Gli
angoli più reconditi e inusuali della scena corrispondono agli anfratti più
nascosti e misteriosi della mente dei protagonisti: pensieri, desideri, sogni,
paure che prendono vita in maniera disordinata attraverso il canto e le
variazioni su temi precisi; che si palesano agli occhi e alle orecchie
dellattento spettatore nel susseguirsi e nellalternarsi delle canzoni, lungo
il corso di una interminabile e surreale notte.
Il
comodo letto sarebbe lideale per conciliare un sonno che però non sfiora
nemmeno questo eccentrico ensemble composto
da due formidabili cantanti/attori, Tora
Augestad e Michael von der Heide, coppia
separata in albergo (anziché in casa). I due sono
appassionatamente accompagnati dal pianista Bendix Dethleffsen e
da unanziana e misteriosa signora in blu interpretata da Nikola Weisse, lunico personaggio parlante (e non cantante), “il
clown” che estrae e mangia gli spaghetti dalla borsa, che sale sulle sedie e
che attraversa distrattamente il palcoscenico, più volte, come se si trovasse
su un marciapiede cittadino da solcare velocemente e distrattamente.
Un momento dello spettacolo
© Simon Hallstrom
Il
pianista-attore Dethleffsen ha sapientemente curato anche la direzione musicale
dello spettacolo realizzando una originale commistione di repertorio classico e
contemporaneo: dallo Schumann di You could drive a person crazy alle note
di Le nozze di Figaro di Mozart al Tristan und Isolde di Wagner,
passando al Come heavy sleep di
John Dowland fino a I go to sleep dei The Kinks e alle
canzoni di Michel Polnareff. La
casualità del susseguirsi dei brani è solo apparante: non si tratta di una mera
sequenza di canzoni, ma di unopera nella quale paratatticamente ogni momento
musicale acquista senso se messo in relazione ai precedenti e ai successivi. Per
ogni genere (dalla chanson française al
musical) gli attori assumono pose,
indossano abiti e adottano posture differenti.
Attraverso
la drammaturgia musicale Marthaler affronta temi come l“assurdo” e il
“grottesco”, lincomunicabilità nellamore, il senso e il fine ultimo della
vita, lo scorrere inarrestabile del tempo. Le poche parole recitate dalla
signora in blu consegnano allo spettatore la chiave di lettura dello spettacolo
che attinge a piene mani al filone più conosciuto del teatro dellassurdo
contemporaneo.
King size è un altro gioiello di Marthaler. Uno
spettacolo leggero, ma dallironia tagliente, che adotta un linguaggio polisemico
ma allo stesso tempo universale, quindi fruibile da un pubblico internazionale.
Le barriere linguistiche sono abbattute dalla combinazione originale di una
sorta di “filosofar cantando”, marchio di fabbrica della poetica drammaturgica
del regista svizzero.
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