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Il mondo fantastico di Garrone

di Nicola Stefani
  Il racconto dei racconti
Data di pubblicazione su web 20/05/2015  

Draghi marini, pulci giganti, vampiri mostruosi, re, regine, principesse, orchi e saltimbanchi. È fantasy l’immaginario che anima Il racconto dei racconti, ultima opera di Matteo Garrone. Ma quello del regista è davvero un omaggio a uno dei più fortunati filoni letterari e cinematografici? Il fascino per gli animali, per i corpi in trasformazione, per la deformità, era già presente, in filigrana, nei precedenti lavori di Garrone, da L’imbalsamatore (2002) a Primo amore (2004).

Alla base del film ci sono i racconti di Giambattista Basile, scrittore napoletano barocco vissuto tra Cinquecento e Seicento, autore di una cinquantina di favole popolari raccolte sotto il titolo di Lo cunto de li cunti. La fortuna del volume, pubblicato postumo, fu tale da ispirare Perrault e i fratelli Grimm. Garrone sceglie tre racconti – La cerva fatata, La pulce e La vecchia scorticata – e li rielabora con ampia libertà creativa.

Nella prima novella si narra di una regina (Salma Hayek) che non riesce ad avere figli e che realizza il suo desiderio mangiando il cuore di un drago. Il destino le riserva un figlio albino. Questi è tale e quale al figlio di una popolana, e ciò scatena la gelosia della sovrana. Nella seconda storia un re entomologo (Toby Jones), molto più interessato ai suoi studi che alla figlia (Bebe Cave), si innamora di una pulce e la nutre fino a farla diventare gigante. Nell’ultima favola un re libertino (Vincent Cassell) si invaghisce della voce di una vecchia, ignorando la sua vera età. Con l’aiuto della sorella del sovrano, l’anziana donna riuscirà a finire nel suo letto ingannandolo attraverso un artigianale lifting ante litteram, per poi trasformarsi in una giovane e bellissima fanciulla (Stacy Martin).

Il fantasy sembra per Garrone un mero pretesto per una struttura narrativa che intreccia tre storie come in Gomorra (2008), sia pure con risultati meno omogenei. Il regista mescola audacemente suggestioni horror e fiabesche ed echi di racconti morali nel suo melting pot visivo. Il ritmo è molto alto, con frequenti climax di sangue e di violenza, e insieme di erotismo e di tenerezza. Più che alla serie TV Il trono di spade (più volte citata nelle interviste come principale fonte di ispirazione), Garrone sembra guardare ai film gotici di Mario Bava o al filone storico-fantastico degli anni Ottanta di pellicole come Excalibur di John Boorman (1981). Per non parlare delle suggestioni figurative: da Goya a Velasquez.



Una scena del film

L’artigianalità del glorioso cinema italiano di un tempo si può ritrovare negli effetti speciali che, soprattutto nella resa delle creature fantastiche, alternano sapientemente trucchi analogici alla computer graphic. Esemplare a questo proposito è l’enorme cuore di drago pulsante divorato dalla regina in una delle scene più gore, debitrice degli effetti “casarecci” ma efficaci di film come La maschera del demonio dello stesso Bava (1960).

Garrone non costruisce pedissequamente un’opera di revisionismo ma privilegia un’ottica d’autore personalissima, non rinunciando mai al suo stile. L’occhio del regista è sempre presente in ogni inquadratura, forte di quella capacità di isolare il campo visivo con carrellate, spostamenti leggeri e fluttuanti della macchina da presa, creando atmosfere claustrofobiche sia negli spazi aperti della foresta sia negli anfratti delle caverne. La fotografia digitale di Peter Suschitzky crea ombre dalle quali emergono le principali insidie per i protagonisti, generando un senso di minaccia invisibile e misteriosa che ricorda il primo Alien (si pensi alla scena del vampiro con i gemelli albini). Nelle sequenze dominate dalla luce, l’iconografia fantastica ne risente e si perde nella chiarezza del troppo visibile, rivelando l’artificiosità di molte scene.



Una scena del film

Non tutto funziona nel film: le ellissi temporali, che in Gomorra erano funzionali al racconto criminale, qui si perdono tra le pieghe delle storie, impedendo l’immedesimazione degli spettatori con i personaggi. Gli attori non vengono aiutati dai dialoghi, spesso ermetici e abbozzati (la sceneggiatura è firmata dallo stesso Garrone, con Edorado Albinati, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso), inseriti tra le numerose scene d’azione, ben congegnate e calate al momento giusto per tenere alta l’attenzione. Se l’imprevedibilità è uno dei maggiori pregi del film, il montaggio è fin troppo affrettato (Marco Spoletini), ostacolando il giusto mix delle tre linee narrative.

Sicuramente quella di Garrone è un’opera di grande generosità, più di pancia che di testa, dalla quale trasuda una spudorata voglia di fare cinema. Una pellicola che rischia da un lato di non accontentare i puristi del genere fantasy, che si immergeranno con fatica nel mondo di Basile; dall’altra di sollevare le critiche dei puristi, che non troveranno tra le suggestioni visive la ricostruzione filologica del periodo barocco.   




Il racconto dei racconti
cast cast & credits
 


La locandina del film



 
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