Draghi
marini, pulci gi ganti, vampiri mostruosi, re, regine,
principesse, orchi e saltimbanchi. È fantasy
limmaginario che anima Il racconto
dei racconti, ultima opera di Matteo
Garrone. Ma quello del regista è davvero un omaggio a uno dei più fortunati
filoni letterari e cinematografici? Il fascino per gli animali, per i corpi in
trasformazione, per la deformità, era già presente, in filigrana, nei precedenti
lavori di Garrone, da Limbalsamatore
(2002) a Primo amore (2004).
Alla
base del film ci sono i racconti di Giambattista
Basile, scrittore napoletano barocco vissuto tra Cinquecento e Seicento,
autore di una cinquantina di favole popolari raccolte sotto il titolo di Lo cunto de li cunti. La fortuna del
volume, pubblicato postumo, fu tale da ispirare Perrault e i fratelli Grimm.
Garrone sceglie tre racconti – La cerva
fatata, La pulce e La vecchia scorticata – e li rielabora
con ampia libertà creativa.
Nella
prima novella si narra di una regina (Salma
Hayek) che non riesce ad avere figli e che realizza il suo desiderio mangiando
il cuore di un drago. Il destino le riserva un figlio albino. Questi è tale e
quale al figlio di una popolana, e ciò scatena la gelosia della sovrana. Nella
seconda storia un re entomologo (Toby
Jones), molto più interessato ai suoi studi che alla figlia (Bebe Cave), si innamora di una pulce e
la nutre fino a farla diventare gigante. Nellultima favola un re libertino (Vincent Cassell) si invaghisce della
voce di una vecchia, ignorando la sua vera età. Con laiuto della sorella del
sovrano, lanziana donna riuscirà a finire nel suo letto ingannandolo
attraverso un artigianale lifting ante
litteram, per poi trasformarsi in una giovane e bellissima fanciulla (Stacy Martin).
Il
fantasy sembra per Garrone un mero
pretesto per una struttura narrativa che intreccia tre storie come in Gomorra (2008), sia pure con risultati
meno omogenei. Il regista mescola audacemente suggestioni horror e fiabesche ed echi di racconti morali nel suo melting pot visivo. Il ritmo è molto
alto, con frequenti climax di sangue e di violenza, e insieme di erotismo e di tenerezza.
Più che alla serie TV Il trono di spade
(più volte citata nelle interviste come principale fonte di ispirazione),
Garrone sembra guardare ai film gotici di Mario
Bava o al filone storico-fantastico degli anni Ottanta di pellicole come Excalibur di John Boorman (1981). Per non parlare delle suggestioni figurative:
da Goya a Velasquez.
Una scena del film
Lartigianalità
del glorioso cinema italiano di un tempo si può ritrovare negli effetti
speciali che, soprattutto nella resa delle creature fantastiche, alternano
sapientemente trucchi analogici alla computer
graphic. Esemplare a questo proposito è lenorme cuore di drago pulsante
divorato dalla regina in una delle scene più gore, debitrice degli effetti “casarecci” ma efficaci di film come La maschera del demonio dello stesso
Bava (1960).
Garrone
non costruisce pedissequamente unopera di revisionismo ma privilegia unottica
dautore personalissima, non rinunciando mai al suo stile. Locchio del regista
è sempre presente in ogni inquadratura, forte di quella capacità di isolare il
campo visivo con carrellate, spostamenti leggeri e fluttuanti della macchina da
presa, creando atmosfere claustrofobiche sia negli spazi aperti della foresta
sia negli anfratti delle caverne. La fotografia digitale di Peter Suschitzky crea ombre dalle quali
emergono le principali insidie per i protagonisti, generando un senso di
minaccia invisibile e misteriosa che ricorda il primo Alien (si pensi alla scena del vampiro con i gemelli albini). Nelle
sequenze dominate dalla luce, liconografia fantastica ne risente e si perde
nella chiarezza del troppo visibile, rivelando lartificiosità di molte scene.
Una scena del film
Non tutto funziona nel film: le ellissi temporali, che in Gomorra erano funzionali al racconto criminale, qui si perdono tra le pieghe delle storie, impedendo limmedesimazione degli spettatori con i personaggi. Gli attori non vengono aiutati dai dialoghi, spesso ermetici e abbozzati (la sceneggiatura è firmata dallo stesso Garrone, con Edorado Albinati, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso), inseriti tra le numerose scene dazione, ben congegnate e calate al momento giusto per tenere alta lattenzione. Se limprevedibilità è uno dei maggiori pregi del film, il montaggio è fin troppo affrettato (Marco Spoletini), ostacolando il giusto mix delle tre linee narrative. Sicuramente
quella di Garrone è unopera di grande generosità, più di pancia che di testa, dalla
quale trasuda una spudorata voglia di fare cinema. Una pellicola che rischia da
un lato di non accontentare i puristi del genere fantasy, che si immergeranno con fatica nel mondo di Basile; dallaltra
di sollevare le critiche dei puristi, che non troveranno tra le suggestioni
visive la ricostruzione filologica del periodo barocco.
|
|