Qual è il confine tra normalità e pazzia? È più folle chi sceglie un (apparentemente) irrazionale isolamento o chi accetta le contraddizioni, le imposizioni, i ruoli dettati dal comune buon senso? Il rifiuto delle convenzioni ci rende pienamente liberi o costruisce intorno a noi una nuova gabbia?
Questi sono solo alcuni spunti di riflessione che il sempre attuale testo del grande scrittore siciliano suggerisce allo spettatore.
Enrico IV è il secondo e ultimo titolo pirandelliano in cartellone per questa stagione al Teatro della Pergola, che aveva proposto, in apertura, Sei personaggi in cerca dautore. I due drammi hanno in comune non solo lanno di composizione, il 1921, ma anche una marcata caratterizzazione metateatrale, sebbene declinata in modo diverso. Se nei Sei personaggi il gioco dellalternanza tra il livello della realtà e quello del teatro è condotto in modo scoperto, in Enrico IV il richiamo alla finzione scenica è forse più sottile, ma non meno costante e mordace: a cominciare dai riferimenti alle «sartorie teatrali», che forniscono i costumi necessari alla messa in scena costruita intorno al presunto pazzo, per arrivare alla figura dello stesso protagonista, definito dal nipote «un attore magnifico e terribile» (Enrico IV con una scelta di atti unici, a cura di Roberto De Monticelli, Milano, Mondadori, 1973, p. 94).
Un momento dello spettacolo. Foto di Umberto Favretto.
Franco Branciaroli, nella duplice veste di protagonista e regista (è, questa, la sua prima regia pirandelliana), avrebbe tutte le carte in regola per dare corpo a uninterpretazione da grande mattatore; invece le sue spiccate doti recitative, allinterno di un impianto piuttosto confuso, caratterizzato da alcune belle intuizioni non del tutto sviluppate, non hanno modo di emergere pienamente.
Le disturbanti scene di Margherita Palli, ricche di elementi geometrici, di (forse troppo insistiti) riferimenti al Medioevo e alla cavalcata storica che origina il dramma, di effetti suggestivi (come lalba lunare che illumina la grande scena del secondo atto), potrebbero essere sfruttate di più. Convincente lidea di truccare a metà il volto del protagonista, che diventa così segno tangibile del labile confine tra ragione e follia. Branciaroli, tuttavia, sembra prediligere il coté ironico e raisonneur del suo personaggio, dando poco spazio agli aspetti paurosi e ambigui, che pure non mancano. Il grande attore appare di quando in quando un po stanco: così la scena risolutiva del secondo atto somiglia quasi alla lezione di un carismatico professore universitario. Unimpostazione che non convince del tutto, perché tende a esaltare gli elementi filosofici del testo, a scapito di quelli più profondi e inquietanti.
Un momento dello spettacolo. Foto di Umberto Favretto.
Anche il resto del cast appare un po sottotono: la cifra distintiva sembra essere unintonazione leggermente distaccata e monocorde, i gesti appaiono convenzionali e a volte dettati più da mere esigenze sceniche che da reali intenzioni interpretative. Su tutto, aleggia un senso di pesantezza: i pensieri e i sentimenti dei personaggi vengono correttamente enunciati, ma riusciamo a percepire davvero poco di quella sferzante carica umana che Pirandello ha magistralmente inserito in un dramma pur così didascalico e filosofico.
Non sappiamo quanto lasetticità della recitazione sia dovuta a precise scelte espressive e quanto invece a veniali “cali di energia”, limitati alla replica cui abbiamo assistito. Sicuramente una maggior tensione emotiva avrebbe giovato almeno nel momento delluccisione di Belcredi, concitato e drammatico preludio al raggelante finale.
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