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Divorzio all'israeliana

di Raffaele Pavoni
  Viviane
Data di pubblicazione su web 24/03/2015  

Presentato nella Quinzaine des réalizateurs della 67° edizione del Festival di Cannes, Viviane è il capitolo finale, dopo Prendere moglie (2004) e I sette giorni (2008), di una trilogia dedicata alle relazioni di coppia, realizzata dall’attrice/regista israeliana Ronit Elkabetz a quattro mani con il fratello Shlomi Elkabetz. Il film ripercorre le tappe del processo di Viviane Ansalem (interpretata dalla stessa Ronit), moglie e madre di quattro figli, che dopo trent’anni di matrimonio chiede al tribunale locale di separarsi dal marito Elisha (Simon Abkarian). La recalcitranza di quest’ultimo, il cui eventuale rifiuto sarebbe secondo la legge rabbinica sufficiente a invalidare l’intera procedura di divorzio, genera un’estenuante guerra di nervi, fatta di continui rinvii, nuovi atti processuali e attese interminabili.

Viviane è un courtroom movie rigoroso e potente, nonché un’efficace illustrazione del funzionamento della macchina statale israeliana, per la quale non esistono matrimoni o divorzi civili, e la legge, interamente ispirata ai mitzvót della Torah, si applica indistintamente ai soggetti religiosi e laici. Il Gett, ossia l’autorizzazione al divorzio concessa dal tribunale rabbinico (nonché il titolo originale del film), non è un semplice atto amministrativo, ma un rituale altamente codificato, con una forte componente recitativa. Una volta ricevuto il Gett, dopo averlo opportunamente piegato, Elisha dovrebbe consegnarlo nelle mani della moglie dichiarandola pubblicamente libera e «permessa a tutti gli uomini», frase che egli non si sente di pronunciare. «Elisha, ridammi la libertà!», grida Viviane dirigendosi verso il marito, e i presenti nell’aula formano una sorta di ragnatela, che la imprigiona e la trascina fuori dalla porta.  

Una scena del film
Una scena del film

Quello degli Elkabetz è un cinema di posture, di sguardi, di gesti, di parole che si contraddicono, si confermano, si reinterpretano. La scelta stilistica, ostinata e coraggiosa, di ambientare quasi tutto il film in una piccola e asettica aula di tribunale ha una duplice funzione: da un lato, quella di incrementare la sensazione di claustrofobia generata dal processo, evidente contrappasso al desiderio di libertà della protagonista (che solo nel finale sarà in grado di guardare fuori dalla finestra, verso l’esterno); dall’altro, impone all’azione una frontalità rigida, tesa al mantenimento dell’ordine visivo, prima ancora che sociale, senza alcuna possibilità di trasgressione.

Figura dominante, quindi, diventa il campo-controcampo, ricerca di una sintesi tra due piani diametralmente opposti che corrisponde, a livello formale, alla ricerca di una sintesi tra il desiderio di rinascita della protagonista e la rigidità degli apparati burocratici statali. Rompono l’unità del tutto solo i pochi primissimi piani, fuori dall’aula, di Viviane e di Elisha, che creano visivamente rari ma necessari spazi dove il privato può emergere (e occupare lo schermo), e si può instaurare un dialogo non più tra due istanze contrapposte, ma tra due esseri umani, ognuno con le proprie paure e debolezze.

La narrazione, scandita dalle singole udienze, in una coazione a ripetere che sembra non avere fine, innesta nel genere giudiziario toni grotteschi e paranoici, dai sapori fortemente kafkiani. Il continuo gioco al rilancio permette alla storia di far emergere sempre nuovi particolari, stratificando la vicenda singola e scavando nella recitazione degli attori. Questi abbandonano progressivamente la loro posa quasi ieratica di imputati, per rivelarsi nella loro umanità, in una sorta di climax che acquista rilevanza proprio nel contrasto sempre maggiore con l’andamento inesorabilmente ciclico dei fatti narrati.

Una scena del film
Una scena del film

La sfera privata si impone, quindi, e di pari passo aumenta l’ambiguità dei personaggi: non capiremo mai veramente le motivazioni che spingono Viviane a chiedere il divorzio, né quelle opposte che spingono Elisha a rifiutarlo, né i reali sentimenti dell’avvocato Carmel Ben Tovim (Menashe Noy) nei confronti della sua cliente. Come in Una Separazione di Asghar Farhadi, a cui il film degli Elkabetz si ispira apertamente, il dramma privato si configura man mano come la cartina di tornasole di un intero sistema. L’istanza politica, in entrambi i casi, non riduce la complessità del vissuto di coppia, bensì, al contrario, la fa emergere in tutta la sua drammaticità, inserendo la singola vicenda in precise coordinate spaziali, temporali e culturali, e lasciando allo spettatore la facoltà di stabilire le connessioni necessarie.

Gli amici e i parenti chiamati a testimoniare, in particolare, intersecano la vicenda narrata con altre sottotrame, che concorrono a contestualizzarla e a far comprendere, ai giudici come agli spettatori, la legittimità del desiderio della protagonista. Nell’aula si alternano donne emancipate (l’esilarante cameo di Rubi Porat-Shoval), sottomesse (la struggente performance di Evelyn, interpretata da Evelyn Hagoel, chiamata a testimoniare ciò che il marito le ha ordinato di fare), nubili (Galia, interpretata da Keren Mor, che sostiene il divorzio di Viviane per entrare nelle grazie di suo marito). Il tribunale si presenta, quindi, come il luogo deputato per l’esibizione del privato, e per lo sviluppo di riflessioni, talvolta in chiave ironica e divertita, su questioni che travalicano l’hic et nunc dello specifico contesto israeliano.

Il contrasto del film, detto altrimenti, non riguarda tanto (o non solo) quello tra religione e laicità, o tra genere maschile e femminile, quanto quello, più ampio, tra desiderio e dovere, tra ordine e disordine, tra individuo e società; più freudianamente, tra Es e Super-io. Non ci può essere vera libertà finché questi contrasti resteranno irrisolti; ossia, finché la protagonista, vero io mediatore, non ricalibrerà la propria modalità di azione all’interno di questi due piani. È in questo senso che va interpretato il gesto di Viviane, la quale, dopo essersi slegata i capelli in aula, se li accarezza, ignorando deliberatamente i perentori richiami al decoro da parte del tribunale rabbinico.



Viviane
cast cast & credits
 

La locandina
La locandina del film



 
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