È raro imbattersi in spettacoli che facciano sinceramente divertire. Il Teatro del Giglio di Lucca ha scovato leccezione e lha proposta al suo pubblico. Sarto per Signora di George Feydeau è uno spettacolo divertentissimo. Lefficacia della sua vis comica è certo merito della traduzione e delladattamento del regista Valerio Binasco, ma già in Feydeau, questo Molière pre-contemporaneo, a torto sottovalutato, il meccanismo del comico è sapientemente calibrato. Sarto per signora è un testo, come a dire, “chiavi in mano”. A Binasco, dal punto di vista testuale, spetta il diletto di aggiornare la prosa, semplificandola in un italiano colloquiale.
Loperazione registica è unaltra storia. Sullo sfondo dei riferimenti rivolti dai personaggi a una Parigi belle époque (lOperà, Rue de Milan, i loro stessi nomi), intravediamo unitalietta borghese e dialettale. In casa del Dott. Molineaux, Emilio Solfrizzi in frac scomposto, sempre in disequilibrio (anche fisico) su pretesti e scuse poco solide, si fa ritorno dallOperà ma ci si esprime in bolognese, calabrese, romanesco… a voler simboleggiare con linflessione dialettale alcuni “tipi”, puntualmente rovesciati.
Un momento dello spettacolo.Foto di Mario D'Angelo.
Lazione è costruita partendo dal centro dei due interni che ospitano i fatti (le scene sono di Carlo De Marino): latrio di casa Molineaux, sul quale si aprono quattro porte più il corridoio delluscio e il mezzanino della vecchia sarta, teatro dello sciagurato intrigo. Eppure il ritmo che la recitazione mantiene dà come limpressione che spazio scenico, arredi, entrate e uscite, fino agli stessi personaggi, siano tutti regolati da una carica da carillon che una volta azionata non può essere bloccata. Ecco, sono proprio le continue invasioni di questi spazi da parte dei personaggi a imporre il ritmo allintera pièce.
La scena iniziale si articola intorno al passo felpato e allungato del filiforme maggiordomo di casa Entienne-Cristiano Dessì, animatore di straordinarie gags, che colora il suo personaggio con un pizzico di omosessualità, delicata e comicissima. Il domestico è intento a servire il caffè quando si accorge che il Signore ha passato la notte fuori. M.me Ivonne, Giulia Weber, stralunata moglie del dottore, dal fiato corto tanto che sembra esalare lultimo respiro ad ogni parola, non tarda a scoprire il misfatto e lentrata di Sofrizzi-Molinaux avviene sotto il segno dellimbarazzo di un incapace libertino. Questo lantefatto che muove il sospetto.
Un momento dello spettacolo.Foto di Mario D'Angelo.
Rispondendo alla legge assoluta di questo spettacolo per la quale nessun trucco andrà a buon fine, seguono a ruota le entrate degli altri personaggi: il vecchio Bassinet, apparente rimbambito e rabdomantico Fabrizio Contri (che avevamo già apprezzato nei panni dello spiritello della Tempesta di Binasco), poi laspirante amante Suzanne, Lisa Galantini, formosa chanteuse dal sensuale accento bolognese, il marito di lei, Monsieur Aubin, impacciato cornificatore-cornificato, improbabile maschio calabrese interpretato, fuori da ogni possibile fisique du rôle, da Simone Luglio (anche lui reduce dalla Tempesta). Chiude rumorosamente la sfilata la signora suocera, M.me Airgreville, Anita Bartolucci, paladina grottesca della figlia ingannata.
Il sipario si chiude giusto il tempo di mutare la scena: siamo adesso nel mezzanino di Rue de Milan, avanguardistico locale per scambisti. Qui si consuma latto mancato, e più che di ménage à trois viene fatto di parlare di scambio di coppie: sono tre infatti le formazioni che si scompaginano in una complicata serie di equivoci. Il proposito iniziale per cui si era affittato il localino, quello di favorire la tresca del dottore con Suzanne, sortisce invece un risultato indesiderato: ha infatti il potere di “svelare gli altarini”. Il climax della scena è raggiunto con lentrata di unulteriore pedina: Rosa, ex-prostituta del Quartiere Latino (ma se avessero detto Trastevere sarebbe stato uguale), una Fabrizia Sacchi biondissima, eccessiva, astuta approfittatrice in un mondo di dubbia ma preservata morale.
Un momento dello spettacolo.Foto di Mario D'Angelo.
Proprio alla faccia della morale, nel finale il quieto vivere è messo insieme con la colla, ma regge come la cartapesta di cui è fatto il teatro. Lanacronismo del titolo diventa un tormentone che i personaggi si scambiano senza saper neppure pronunciare la difficile parola e lungi dallintuirne il significato. Ma in fondo cosa cè di più anacronistico di una pièce costruita sul tentativo di salvare le apparenze in un mondo, il nostro, in cui la morale è diventata un anacronismo?
Dopo gli applausi, Anita Bartolucci, attrice ronconiana, a nome della compagnia intera rivolge un pensiero affettuoso al regista Luca Ronconi scomparso proprio la sera precedente alla recita.
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