«Ho girato senza sapere mai esattamente cosa avrei fatto sul set». La frase compiaciuta di Christian Bale alla conferenza stampa di presentazione del film di Terrence Malick Knight of cups rende bene la mancanza, all’interno dell’opera, di  un vero senso. Si tratta, infatti, di una riflessione presuntuosa e velleitaria sul senso della vita, che purtroppo trascolora anche sul precedente e comunque grandioso, a modo suo, The Tree of life. Niente da discutere sulla maestria tecnica, né sulla grandiosità del cast super-hollywoodiano, e niente da recriminare neppure sulla scelta dei selezionatori di Berlino (come si fa a rifiutare un film di Malick, probabilmente ancora in corso d’opera al momento della selezione stessa?). D’altronde il regista, accortissimo venditore di se stesso con la più planetaria ed esibita delle asocialità, rappresenta sempre un ottimo catalizzatore di interesse mediatico.

Una scena del film

Oltre al lanciatissimo Bale, fanno da inutile corona a questo «itinerario alla ricerca di se stesso e del senso più profondo dell’esistenza» Freida Pinto, Cate Blanchet e Natalie Portman. Le tre attrici sono in parte, probabilmente, incolpevoli, verosimilmente coinvolte come il protagonista, senza sapere esattamente cosa avrebbero fatto. E cosa fanno? Fanno compagnia a questo Cavaliere di Coppe bello, ricco, di successo, ma profondamente insoddisfatto; lo accompagnano in varie fasi della sua vita, seducendolo ma lasciandogli un gusto amaro, facendo l’amore con lui, camminando con lui sulla spiaggia ma, di preferenza, nuotando in piscina in uno sfolgorio di luminescenze amniotiche. Non mancano un padre anziano e un fratello fragile, il tutto frullato in altalenanti flashback accompagnati da meditabonde considerazioni di filosofia da asporto. Gli ammiratori di Malick ci scusino (ma riflettano).