In teatro il sipario è aperto, gli strumenti sono sistemati sul palco, in alto uno schermo sul quale verranno proiettate immagini e disegni. Un maestro entra con andatura goffa, mostrando uningombrante coda di tacchino che fuoriesce dal frac; i musicisti, anchessi eccentrici, prendono posto. Il Flauto Magico ha inizio.
Lopera di Wolfgang Amadeus Mozart, il viaggio iniziatico del giovane Tamino, intrisa di elementi cari allIlluminismo, come laspirazione delluomo alla saggezza e al rapporto armonico con la natura, diventa qui una di quelle allegre fiabe che si raccontano ai bambini e si tramandano oralmente attraverso le generazioni. Poi inaspettatamente sul palcoscenico la vicenda si modifica, i personaggi si trasfigurano, la musica si allontana dalloriginale e persino lambientazione slitta in una diversa dimensione spazio-temporale: non siamo più nel fantasioso Egitto dellopera originale, ci troviamo paracadutati in un luogo indefinito o non meglio precisato. Immediatamente la partitura mozartiana si mescola al jazz, al reggae, a intrecci ritmici orientali o africani e, benché alcune melodie siano riconoscibili, come accade alla celebre aria della Regina della Notte, altre invece sono solo tratteggiate o troncate delle parti virtuosistiche, sfumando spesso nei brani tipici dellOrchestra di Piazza Vittorio.
Un momento dello spettacolo. Foto di Giulia Callino.
Come se non bastasse, un narratore dallimponente verve scenica, il trombettista Omar Lopez Valle, ci riporta continuamente dal testo scritto al fascino nomade delloralità del cantastorie, introducendo via via i membri dellOrchestra. Questi ultimi assumono il ruolo dei personaggi semplicemente indossando un costume e guadagnando il proscenio, salvo poi, in un movimento a ritroso, tornare al tradizionale ruolo di strumentisti, in una ibrida forma tra messinscena e concerto. Il tutto si svolge mentre gli acquarelli di Lino Fiorito, proiettati sullo schermo sopra lOrchestra, non fanno che accentuare la dinamicità dello spettacolo, destinato a sfociare in una sorta di danza incontenibile. Prende, così, vita un mondo colorato, trascinante e in alcuni casi kitsch: dalla sequenza da “sceneggiata napoletana” che si chiude con il canto del muezzin alle pompose ouverture concertistiche che trascolorano in suonerie da cellulare.
Un momento dello spettacolo. Foto di Giulia Callino.
Lo spettacolo si dispiega su tre livelli. Al centro la musica, con le pagine di Mozart ibridate e aperte al citazionismo; in alto le immagini proiettate sui tre schermi scenografici; sul palcoscenico la favola, che spazia tra scrittura e oralità. Un ensemble tripartito che genera una polifonia di rimandi e sfaccettature, mentre il continuo cambio di stili, epoche, generi e culture trasporta lo spettatore in un vero e proprio viaggio sonoro con le caratteristiche di un work in progress che si rinnova continuamente, suscitando meraviglia nel pubblico e divertimento negli interpreti. Considerando, per di più, che oltre allesplorazione di stili differenti, marcati dalla cultura musicale che ogni concertista apporta, questa rivisitazione del Flauto Magico è cantata in sei lingue diverse (inglese, spagnolo, tedesco, portoghese, wolof, italiano) e si avvale di un numero ancora superiore di strumenti tipici della tradizione dappartenenza: tablas, oud, diembé, kora, flauti andini, chitarre, archi, ottoni e percussioni.
Un momento dello spettacolo. Foto di Giulia Callino.
LOrchestra di Piazza Vittorio, ensemble multietnico messo insieme e diretto da Mario Tronco sotto il segno del métissage di stili e linguaggi musicali diversi, conduce così il pubblico in un paesaggio situato a metà tra la realtà e il sogno. Il direttore ha spiegato come, partendo dal differente background culturale e musicale degli orchestrali, anche i ruoli dei personaggi dellopera siano stati loro affidati in base a una somiglianza di carattere o a una certa affinità di esperienze vissute. Troviamo così Tamino interpretato dal giovane esuberante Ernesto Lopez Marturelli e Pamina incarnata dalla cantante italo-canadese Sarah Jane Ceccarelli, dolce e determinata. Il cantante ecuadoriano Carloz Paz veste i panni del mago Sarastro, in forza delle tradizioni religiose e sciamaniche del suo paese; la Regina della Notte è interpretata da Maria Laura Martorana per la sua filiazione europea e, infine, Pap Yeri Samb, persona semplice e profonda, per assonanza di nomi e carattere non poteva che essere Papageno. Merito della riduzione mozartiana va anche al pianista Leandro Piccioni che, assieme a Mario Tronco, ha composto e arrangiato le musiche, legandole alle varie tradizioni dellorganico, esplorando – come sè già sottolineato – tutti i possibili incontri tra musica etnica, pop, jazz e reggae.
Lo spettatore che si accosti a questa affascinante metamorfosi del Flauto magico assisterà a unopera decisamente trasgressiva che si fonda sul coraggio di escludere quasi tutto il “noto”, aggrappandosi alla leggerezza e alla comicità della creazione mozartiana, quale fulcro principale della sua rivisitazione, fino a che, prima che il sipario cali, limplicito “cera una volta” dellouverture (emblematicamente posta alla fine) apre la strada ad un possibile “ci sarà prossimamente” intriso di pace e di comunicazione tra i popoli.
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