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Daphne alla Semperoper di Dresda

di Riccardo Cenci
  Daphne
Data di pubblicazione su web 13/11/2014  


Il teatro senile di Richard Strauss devia sovente verso la rilettura del mito, condividendo nel contempo una fascinazione ossessiva per il tema della metamorfosi. Nell’istante in cui Daphne, protagonista dell’opera omonima, subisce la propria trasformazione vegetale, il tempo sembra cristallizzarsi con lei, il divenire si blocca in un’eterna permanenza. Il compositore elude il ciclico ripetersi delle vicende umane, esorcizzando nel contempo i fantasmi della storia. Nel suo fondamentale volume dedicato a Richard Strauss, Quirino Principe contesta apertamente l’immagine del compositore imperturbabile, estraneo alla propria epoca, indifferente agli orrori che la caratterizzano. Strauss piuttosto «si servì dell’arte per correggere la storia», opponendo una forte resistenza «all’irrazionalità degli eventi in nome della limpida ragione». Dietro l’idillica apparenza di Daphne si cela infatti il dramma, e non a caso i rapporti fra Strauss e il Reich erano all’epoca irrimediabilmente deteriorati.

In quest’ottica va letto lo spettacolo confezionato da Torsten Fischer e presentato alla Semperoper di Dresda. Immergere l’astrattezza del mito nel caos dell’umana temporalità significa infatti guardare la questione da un altro punto di vista, condividendo il progressivo svelarsi del reale in tutta la sua crudeltà. Il personaggio di Daphne diviene una sorta di utopica agitatrice popolare, vicina alla figura di quella Sophie Scholl che fu militante antifascista ed emblema della ribellione non violenta contro il Reich. In questa maniera il regista vuole scalfire l’aura di freddo distacco conferitale dal librettista Gregor, restituendole quei caratteri umani e appassionati che il musicista aveva più volte auspicato senza riuscire ad ottenerli. Apollo incarna la figura messianica tanto attesa, dietro il cui alone luminoso si celano l’oppressione e la violenza. In tutto questo Leukippos è la vittima sacrificale destinata a soccombere, e insieme a lui la massa dei dissidenti e dei perseguitati. 


Un momento dello spettacolo 
Foto di Matthias Creutziger

Il parallelismo con la dittatura nazista non è certo una novità in ambito operistico, ma la realizzazione è architettata con efficace senso del teatro. In particolare commuove il finale dove i coristi, con lentezza rituale, salgono uno ad uno la grande scalinata avviandosi verso il martirio. Un enorme specchio riflette dapprima la sala, a coinvolgere il pubblico in un rito collettivo, e in seguito i loro corpi stesi l’uno accanto all’altro. Mentre Daphne sta perdendo la propria forma umana per trasformarsi in albero, le figure riflesse agitano le braccia a formare una chioma simbolica che ondeggia al vento in maniera spettrale. Il prodigio della metamorfosi diviene un balbettio nostalgico nei confronti di una realtà che corre verso il proprio annientamento, un azzeramento della parola che solo può preludere alla nascita di un mondo nuovo. Indubbiamente nell’insieme emergono anche alcune incongruenze. Ad esempio il commiato del Dio, nel quale questi esprime il proprio rammarico per l’uccisione dell’innocente Leukippos, perde di significato. 


Un momento dello spettacolo 
Foto di Matthias Creutziger

L’esecuzione musicale è diretta con rara finezza e dovizia di colori da Omer Meir Wellber, coadiuvato da una compagine strumentale in gran forma.  Magnifico il finale, con il tremolo degli archi ad indicare lo stormire delle foglie al vento, e l’orchestra a diffondere una luce lunare e sovrannaturale sul tessuto sonoro. Marjorie Owens risulta vocalmente impeccabile, anche se il personaggio di Daphne richiederebbe maggiori sottigliezze e sfumature. Inoltre non appare scenicamente a proprio agio nel ruolo della giovane ribelle impostole dal regista. Christa Mayer dona al ruolo di Gaea tutto il fascino del suo bel timbro, mentre Georg Zeppenfeld è un Peneios solido e vigoroso come si conviene. Bravo Ladislav Elgr, un Leukippos davvero ben cantato. Lance Ryan non ha certo un timbro apollineo, il che potrebbe anche essere in linea con l’impostazione registica. I problemi maggiori comunque sono altrove. Ryan ha dalla sua una buona dose di fiato, il che gli permette di giungere in fondo alla massacrante scrittura, ma la voce è sovente forzata, fissa e priva di vibrazioni. Contrariamente a quanto di solito avviene dalle nostre parti, il pubblico della Semperoper non ha remore nell' esprimere il proprio disappunto, e lo fa con cognizione di causa. Qualche sporadico dissenso al calar del sipario potrebbe essere rivolto al regista, ma la disapprovazione più evidente colpisce il tenore che sosteneva il ruolo di Apollo. Tutti gli altri ricevono invece il meritato plauso.

 

Daphne



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