Un testo elaborato, dal 1937 al
1958, in unesperienza che partendo da mozioni filosofiche, inglobava esigenze vivamente
esistenziali, in un linguaggio spesso poetico. Caligola, di Albert Camus,
è apparso sulle scene italiane sporadicamente, in versioni spesso probanti
delle sue qualità drammatiche, oltre che filosofiche, a partire dalle prove di Giorgio Strehler (1946) e di Carmelo Bene (1959) fino a quelle di Maurizio Scaparro (con Pino Micol, 1983) e di Elio de Capitani (con Ferdinando Bruni, 1997). Lallestimento
del Teatro della Tosse sinserisce nel programma triennale di indagine
drammaturgica sulle problematiche del potere. Nel discutere sulle aberrazioni
della tirannia – come ci perviene dalla storia e dalla leggenda sullimperatore
romano, esempio di trasgressione e arbitrio fino alla crudeltà gratuita –
lautore denuncia i suoi dubbi sulle diverse soluzioni ipotizzabili per sanare
il male storico ricorrente e tanto presente nella sua attualità. Quanto alla
tragicità della condizione umana, neppure il sollievo della poesia può nutrire un
umanesimo vittorioso sulla disperazione.
Dalla rappresentazione genovese, con
la regia di Emanuele Conte, ho
riportato impressioni positive, sia per lorganizzazione spaziale del dramma, sia
per distribuzione corale dei ruoli e per la recitazione, che trova soprattutto nel
giovane protagonista (ha letà del ruolo), Gianmaria
Martini, un interprete di sorprendente maturità e rara forza comunicativa,
nella disciplina dei mezzi vocali e gestuali. Nella sua presenza, agli eccessi
del personaggio corrisponde il controllo sicuro dellattore. Nella sua voce, il
dolore viene filtrato e depurato. Pare sublimarsi in idea il sentimento
originario dellautore, poeta prima che filosofo, giovane scrittore e attore,
che componeva per recitarla personalmente la figura dellImperatore.
Un momento dello spettacolo
©Donato Acquaro
Conte ha inteso avvalorare la
critica rivolta da Camus-Caligola al capitalismo, sostegno e frutto duna
politica orientata dal denaro. Ecco anche perché ha scelto lultima edizione
(1958), qui in una nuova traduzione molto rispettosa delloriginale. Ma è
riuscito a virare in emozione la logica tortuosa del pensiero camusiano, suggerendo
analogie visive e gestuali alle idee dibattute in scena. Così Cherea incarna il
tentativo di un antagonismo illuminato, se non affettuoso, nel contrastare i
delitti del sovrano; conscio dei limiti della sua azione mediatrice. Così, pure
non violento, si trova a guidare la congiura contro il dittatore. Enrico Campanati lo interpreta con
registro pacato e deciso, con una rassegnazione che include la propria
sconfitta, nellazione di forza risolutiva. «Non posso amarti. – confessa – Ti
giudico ma non ti odio»; mentre affermando «Voglio vivere», presume la
legittima difesa, nella scelta dellopposizione, da cittadino che aspira alla giustizia
e alla normalità. Altri interlocutori sono Elicone e Scipione. Giovanni Serratore enfatizza la rabbia distruttiva
del servo verso una gerarchia di privilegi basata su falsi valori, finanziari
ed economici in particolare. Il giovane Scipione (Luca Terracciano) è il poeta, orfano del patrizio assassinato, che coinvolto
nel dialogo sulla poesia, cede al potente e finisce per subirne il fascino (lo
abbraccia) mentre ne riconosce la coerenza nellindifferenza al male. In Cesonia,
una ritrovata amante del passato, Caligola riassume anche lassenza della morta
Drusilla, vero compianto amore e tenta un confronto col femminile, un prezioso
rapporto personale, tuttavia irraggiungibile. Così, anche la Luna, invocata e
pretesa dal folle esploratore dassoluto, è un altro emblema
dellirraggiungibile, dellimpossibile meta. Impersona Cesonia Viviana Altieri, con sollecite ambiguità
di seduttrice e di innamorata; forse (troppo) più devota che cinica, più fedele
che lucida, nel misurare il rischio della propria passione, che la destina a
morire.
Ho apprezzato inoltre la scenografia, elementare nei pochi semplici componenti:
una porta-finestra a vetri, mobili da ufficio e un grande specchio centrale; il
palcoscenico raccordato alla platea con una passerella, gettata al momento in
cui Caligola invita i patrizi a banchetto. E in sala limperatore scende, spettatore
giudice del certame poetico da lui bandito. I costumi moderni rivestono una lugubre
atemporalità, nel bianco e nero dei vestiti, nelle maschere grigie deformanti
dei notabili, burocrati abbrutiti; nella tunica, inizialmente rossa, poi nera,
di Cesonia. Le scene più riuscite e avvincenti mi sono parse quella
dellingresso di Caligola, in tuta e casco da automobilista, reduce da una
corsa in cui sfogare il dolore per la morte della sorella-amante Drusilla.
Allora pone la constatazione fondamentale a un Elicone sconcertato: «Gli uomini
muoiono e non sono felici». Quando, intuito il complotto, Caligola invita a
banchetto i congiurati, diffondendo terrore, abusando della moglie duno di
loro, indi avvelenandolo per sospetto infondato di sfiducia. Quando, allinizio
dellAtto III, nella celebrazione del «miracolo» inteso a screditare limmagine
degli dei, Caligola appare in sembianze di Venere. Nudo, con parrucca, aggredisce
i suoi spettatori, beffeggiando al microfono la laida inconsistenza del mito.
Quellimmagine inventata dallautore, appare, oggi ancora, duna ritualità eversiva
efficace. Come fu sottolineata nelledizione milanese (1997), ambientata in un
circo, qui sintona alla clownerie
inscenata dal tiranno con lo stile duna rock-star
smaliziata. Infine, la complicità fra Caligola e lultima compagna, conclusa per
la donna da un abbraccio fatale che la strangola, testimonianza dabbandono (o
disperazione) svolto in immagine di crudezza elisabettiana. E Caligola, davanti
allo specchio, si riconosce colpevole della vanità duna rivolta solitaria che
postula necessaria una superiore solidarietà. Massacrato dai carnefici, ai
quali si consegna, come suicida, riappare un istante da morto, proclamando la
sua utopica vitalità, precaria, fragile, poeticamente sconsolata.
Le foto di scena dello spettacolo sono di Donato Acquaro.
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