Dalla Calabria, Luigi (Marco Leonardi) e Rocco (Peppino Mazzotta) cercano fortuna a modo loro nella grigia Milano. Il business che trovano - luno più scopertamente dellaltro - è quello della droga, mentre il legame che mantengono con la terra dorigine è quello della ‘ndrangheta.
Rimasto nella terra natia, Luciano (Fabrizio Ferracane) alleva le capre e cerca di strappare il figlio alla malavita.
Liberamente tratto dallomonimo romanzo di Gioacchino Criaco, Anime Nere, il film di Francesco Munzi sembra fare eco, se non nella trama, qui prettamente incentrata sul motivo mafioso, al Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti: per lidea di una famiglia tutta al maschile visceralmente legata alla propria terra e coesa al suo interno. Qui i fratelli sono tre, cui idealmente si aggiunge Leo, il figlio di Luciano, a fungere da quarto e rafforzare così il raffronto con il film di Visconti, anche quello notoriamente tratto da un romanzo (Il ponte della Ghisolfa, di Giovanni Testori).
Una scena del film
Eppure, a cinquantaquattro anni dal capolavoro viscontiano, il film di Francesco Munzi manca di equivalente eloquenza e forza visiva. Certo il termine di paragone metterebbe in difficoltà la maggior parte dei cineasti, ma quello che deve far riflettere è il perché a fronte di ingredienti di partenza tutto sommato consimili, luno fallisca, dove laltro vinceva.
Le ragioni vanno ricercate nella scarsa costruzione emotiva e psicologica non tanto dei personaggi in sé, quanto dei legami profondi tra di essi: che Luciano, Luigi e Rocco sono fratelli ci viene detto, ma tali legami risultano presenti più nelle parole che nella “realtà” dello schermo.
Quello che rimane è lennesimo film su una storia di mafia, un aspetto ancora tristemente attuale e che certo pertanto necessita (anche) di film di denuncia. Ma mancando di sostanza umana ed emotiva, le tradizioni popolari ridotte alla dimensione bozzettistica, il film di Munzi finisce per essere lennesima variazione sul tema, un film di genere.
Una scena del film
Registicamente apprezzabile il “dialogo” tra paesaggio e personaggi, dove i campi lunghi sulle vette dellAspromonte fanno da contraltare a quelli della stazione di Milano, efficace traduzione visiva del contrasto tra i fratelli e, a un livello più profondo, di quello tra lutopistica Calabria preindustriale che invano Luciano tenta di tenere in vita e la Milano simbolo dellItalia industrializzata.
Spicca nel cast Fabrizio Ferracane, la cui interpretazione da sola restituisce al film un po della dimensione emotiva che gli manca.
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