Cè una ‘candida rosa nellEmpireo, il cielo infinito di
Dio, e di questo immenso fiore i petali sono i beati stessi che Dante raduna ideando per il suo paradiso
poetico una figura che sostituisce quella della città celeste, presente
nella tradizione biblica e dottrinale. Non sembri esagerato richiamarsi
addirittura alla Divina
Commedia per parlare di uno
spettacolo e dei suoi interpreti, il San Francisco Ballet, perché spesso la
letteratura offre degli esempi che si prestano a meraviglia a rendere lidea di
quello che si vuol dire.
Ebbene vedere il San Francisco Ballet al Teatro
Romano di Spoleto nella sezione del Festival
dei Due Mondi curata da Alessandra Ferri, è capire il
significato dellessere un ‘petalo tra i ‘petali appartenenti alla “candida
rosa” dei più importanti ed eccelsi corpi di ballo del nostro tempo.
Unoccasione doro per apprezzare, dopo più di trentanni
dalla sua prima apparizione nella città umbra, la compagnia statunitense
definita dal New York Times “tesoro nazionale”, conosciutissima negli Stati
Uniti e a livello internazionale ma poco presente in Italia. Una lacuna colmata
dal Festival spoletino e dalla sensibilità artistica della Ferri che
arricchisce la proposta della danza destate nel ‘bel paese offrendo al
pubblico un ‘petalo di questa ‘candida rosa dellEmpireo coreutico.
Foto di AGF/ML Antonelli
Fondato nel 1933 e dunque prima dellAmerican Ballet
Theatre che debuttò nel 1940 e New York City Ballet che risale al 1948, il San
Francisco Ballet è una delle formazioni storiche del ‘Nuovo Mondo e da
trentanni è diretto dallislandese Helgi
Tomasson. Tomasson, scoperto da Jerome
Robbins e diventato poi per
anni Principal Dancer del New York City Ballet, ha
avuto un imprinting balanchiniano che ha riversato nel
‘suo San Francisco Ballet. Un magistero che lo ha portato ad ispirarsi al
neoclassicismo di “Mister B” mantenendo il virtuosismo e la spettacolarità
della danse décole ma
rinnovandola con il dinamismo atletico della tecnica contemporanea e una cura
tutta particolare per la resa stilistica del dettato coreografico. Una filosofia del movimento visibile in Tomasson come
autore, ha creato oltre quaranta coreografie, e nella preparazione dei suoi
ballerini forgiati con un metodo basato sullallungamento, la verticalità, la
leggerezza, la estrema mobilità del bacino e degli arti superiori e inferiori,
la rapidità del lavoro dei piedi e della testa, lequilibrio di forze
centripete e centrifughe che rendono i corpi morbidi e al tempo stesso
sostenuti da una visibile tensione muscolare. Una sorta di iperuranio della perfezione accademica
subito evidente nel primo pezzo dellapplauditissima serata 7 for Eight firmato da
Tomasson nel 2004 su Concerti di Bach. Presentato in prima italiana e costruito su sette
movimenti per otto interpreti, 7
for Eight è composto da
passi due, passi a tre, passi a quattro, un solo variation e un ensemble finale in cui il neoclassicismo
diventa ‘iperneoclassicismo andando oltre il modello e scegliendo la mise en noir di Sandra
Woodall, là dove George
Balanchine prediligeva il
bianco.
Illuminati da David
Finn gli otto superlativi
ballerini sciorinano una serie di virtuosismi a catena e nel modularli passano
dal lirismo adamantino al dinamismo frizzante, accentuando la geometricità
degli enchaînements. Una performance in cui non passa inosservata la
splendida Yuan Yuan Tan con le sue bellissime gambe, le linee
infinite, gli incredibili developpés,
le sinuosissime braccia.
Foto di AGF/ML Antonelli
Una sofistichated
Lady della danza
perfettamente a suo agio ne duetti del 1° e 6° movimento con il partner, il danseur noble Tiit Helimets. Un
coppia a cui fanno eco gli altri protagonisti e in particolare Pascal Molat che nel 5° movimento coglie il destro
offerto dalla musica barocca per inanellare strabilianti batterie e prodigiosi manèges. Variations for Two Couples di Hans van Manen, creato nel 2012
per Dutch National Ballet da un maestro del secondo Novecento e vincitore nello
stesso anno del Premio Benois, è un esempio di resa coreutica in cui il
linguaggio classico mantiene il suo rigore e per certi versi la sua albagia ma
poi ‘si scioglie perseguendo una dinamica moderna nella vorticosità dei
passaggi, nel taglio netto e preciso dellesecuzione che evita la cantabilità
accademica.
Su musiche di Britten,
Rautavaara, Kovacs Tickmayer e Astor Piazzolla il superbo quartetto composto da Sofiane Sylve e Sarah
Van Patten in tuta blu e Luke
Ingham e Carlos Quenedit in tuta violacea, ideate da Keso Dekker, rendono
sapientemente lo stile Hans
van Manen e confermano
leccellenza del San Francisco Ballet.
Foto di AGF/ML Antonelli
La stessa eccellenza che si ripresenta con Voices of Spring che Frederick Ashton ideò per il Roysl Ballet nel 1977 sul
valzer del Pipistrello di Strauss. Un prezioso
‘elzeviro di stampo super classico in cui risplende la frizzante e deliziosa Maria Kochetkova, affiancata da
un ineccepibile Davit
Karapetyan. Apparsa in un nuvola di petali di rosa che lei stessa sparge,
la ravissant Maria mostra una tecnica portentosa
nelle velocità con cui esegue i piccanti piquées e i briosi jetés, uniti ad un radioso sorriso e ad una
elegante nonchalance come eleganti sono i costumi di Julia Trevelyan Oman.
In chiusura di serata From
Foreign Lands di Alexei Ratmansky, un lavoro
nato per il San Francisco Ballett nel 2013 e ora in prima italiana a Spoleto, è
come dice il New York Time “un viaggio poetico attraverso lEuropa” su musica
di Moszkowski. Il
coreografo russo, artista residente allAmerican Ballet Theatre di New York,
rende omaggio allo stile e al carattere della danza russa, italiana, tedesca,
spagnola, polacca e ungherese, mettendo in scena quattro quartetti, un
ottetto e un ensemble. Una
sorta di “centone” coreografico che ‘strizza locchio alla letteratura
ballettistica con una voluta e palese citazione di tutto un repertorio di
stilemi ottocenteschi e tardo ottocenteschi. Anche se un po manieristico
e lezioso perfino nei ricchi costumi disegnati da Colleen Atwood, From Foreign Lands ha tutta laria di un puro divertissement che sprigiona allegria e chiude alla
grande una magnifica serata in cui i ‘petali californiani della “candida rosa”
emanano un intenso e inebriante profumo.
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