Nellambito della
produzione di film danimazione della
Dreamworks, Mr. Peabody e Sherman rappresenta un felice compromesso tra
un cartoon spudoratamente commerciale (i vari Madagascar e Shrek)
e sperimentazioni dallanima autoriale che
hanno sì incantato, come Dragon
Trainer e Le 5 leggende, ma che hanno anche riscontrato meno
consensi al botteghino, tanto che Le 5 leggende ha causato alla società fondata nel 1994 da
Steven Spielberg insieme a Jeffrey Katzenberg e David Geffren
ingenti perdite.
Mr. Peabody e
Sherman
è la riduzione
cinematografica dellomonima serie tv
trasmessa sulle reti televisive americane tra la fine degli anni 50 e gli anni 60. La serie,
composta da episodi della durata di cinque minuti ciascuno, raccontava le
bizzarre avventure a spasso nel tempo del cane laureato Peabody e di suo figlio
adottivo Sherman. Ogni puntata vedeva padre e figlio tornare indietro nel tempo
- grazie a una speciale macchina inventata dallo stesso Peabody - per fare la
conoscenza di un personaggio storico (ma vi sono incontri anche con personaggi
di fantasia, per esempio Robinson Crusoe). Lintento
della serie era quello di coniugare il divertimento a un tentativo intelligente
di apprendimento rivolto a un pubblico di bambini.
Mr. Peabody e
Sherman
(il film) prende le mosse direttamente dalla serie tv (lincipit è il medesimo),
aggiungendo però elementi nuovi e più adulti. Il cane
Peabody deve affrontare un ostacolo estremamente complicato, quello della
paternità. Viene alla mente
un verso della canzone Papaoutai del cantante belga Stromae: «Tutto il mondo sa
come si fanno i bambini/Ma nessuno sa come si fanno i papà». Di questo se ne
accorge anche Mr. Peabody, dapprima piuttosto sicuro che un cane con le sue
qualità non potrà trovare difficoltà nel fare il
genitore, ma che di colpo si ritrova in casa un ragazzino ormai cresciuto e
prossimo ad andare a scuola. Proprio tra le mura scolastiche avviene il fatto
che costituisce il punto di svolta della storia: schernito da una compagna che
lo definisce “cane”, Sherman laggredisce
mordendole il braccio. Minacciato dai servizi sociali, decisi a toglierli la
custodia del bambino, Peabody cerca di sistemare le cose invitando a una cena
di chiarimento la ragazzina e i suoi genitori, scelta che però risulta poco felice
e generatrice di guai nel momento in cui Sherman porta indietro la compagna del
tempo perdendola. Comincia così unavventura che
condurrà padre e figlio
dalla Firenze rinascimentale fin allinterno
del cavallo di Troia.
Su un plot
piuttosto misero il regista Rob Minkoff (già regista del
classico Disney Il Re Leone) e lo sceneggiatore Craig Wright
costruiscono una narrazione volutamente disarticolata che tende allaccumulo - di
situazione e gag - per convergere in un pirotecnico finale in cui il passato
confluisce letteralmente nel presente, in una New York presa dassalto da edifici
antichi e personaggi storici. Dietro però alla
componente spettacolare, si cela lanima
di un film anticonformista che se da un parte riflette sul rapporto
padre/figlio e sulle responsabilità che
il ruolo paterno comporta, dallaltro diviene un
inno alla diversità, proponendo una
morale che viene esplicitata fin dallinizio
del film, quando, nel momento in cui il tribunale si esprime a favore delladozione di Sherman
da parte di Mr. Peabody, il giudice incaricato del verdetto chiude la sentenza
con una frase a effetto (già presente nel primo
episodio della serie tv): «Se un bambino può adottare un cane,
non vedo perché un cane non possa
adottare un bambino».
Attraverso la
figura di Mr. Peabody, il “diverso” che si è sempre sentito tale
- anche tra i suoi simili, trovando più piacere
a immergersi nella lettura di Platone che non nel comportarsi da cane - Minkoff
affronta il tema della diversità riuscendo a parlare
al “suo pubblico”, ovvero ai
bambini, con una semplicità disarmante senza
cadere preda di quel moralismo posticcio, e francamente irritante, che fa
capolino alla fine di certi film. Sicuramente Mr. Peabody e Sherman non è un capolavoro
paragonabile a opere certamente ancora più complesse
e poetiche (i già citati Dragon
Trainer e Le 5 leggende, per rimanere nellambito Dreamworks),
ma è comunque un cartoon
intelligente nel quale il regista, cresciuto allinterno delluniverso Disney,
dimostra di avere introiettato bene gli insegnamenti di Walt Disney, non
solo riprendendo la tematica presente nella maggior parte dei film del “papà” di Topolino (tutti
devono qualcosa a Walt Disney, larte
del suo studio ha influito su quasi tutta la storia del cinema danimazione, anche
su quei film che per tutta risposta ne vogliono prendere le distanze), ma
sopratutto nella convinzione di guardare ai bambini in quanto soggetti pensati,
e non macchine a cui impartire concetti già dati,
stimolando in loro la riflessione e il confronto con situazioni che possono
essere facilmente trasportate anche nel quotidiano. E questo non è certo poco.
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