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Le difficoltà di essere padre (anche se sei un cane da Nobel)

di Diego Battistini
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Data di pubblicazione su web 08/05/2014  

Nell’ambito della produzione di film d’animazione della Dreamworks, Mr. Peabody e Sherman rappresenta un felice compromesso tra un cartoon spudoratamente commerciale (i vari Madagascar e Shrek) e sperimentazioni dall’anima autoriale che hanno sì incantato, come Dragon Trainer e Le 5 leggende, ma che hanno anche riscontrato meno consensi al botteghino, tanto che Le 5 leggende ha causato alla società fondata nel 1994 da Steven Spielberg insieme a Jeffrey Katzenberg e David Geffren ingenti perdite.

Mr. Peabody e Sherman è la riduzione cinematografica dell’omonima serie tv trasmessa sulle reti televisive americane tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60. La serie, composta da episodi della durata di cinque minuti ciascuno, raccontava le bizzarre avventure a spasso nel tempo del cane laureato Peabody e di suo figlio adottivo Sherman. Ogni puntata vedeva padre e figlio tornare indietro nel tempo - grazie a una speciale macchina inventata dallo stesso Peabody - per fare la conoscenza di un personaggio storico (ma vi sono incontri anche con personaggi di fantasia, per esempio Robinson Crusoe). L’intento della serie era quello di coniugare il divertimento a un tentativo intelligente di apprendimento rivolto a un pubblico di bambini.

Mr. Peabody e Sherman (il film) prende le mosse direttamente dalla serie tv (l’incipit è il medesimo), aggiungendo però elementi nuovi e più adulti. Il cane Peabody deve affrontare un ostacolo estremamente complicato, quello della paternità. Viene alla mente un verso della canzone Papaoutai del cantante belga Stromae: «Tutto il mondo sa come si fanno i bambini/Ma nessuno sa come si fanno i papà». Di questo se ne accorge anche Mr. Peabody, dapprima piuttosto sicuro che un cane con le sue qualità non potrà trovare difficoltà nel fare il genitore, ma che di colpo si ritrova in casa un ragazzino ormai cresciuto e prossimo ad andare a scuola. Proprio tra le mura scolastiche avviene il fatto che costituisce il punto di svolta della storia: schernito da una compagna che lo definisce “cane”, Sherman l’aggredisce mordendole il braccio. Minacciato dai servizi sociali, decisi a toglierli la custodia del bambino, Peabody cerca di sistemare le cose invitando a una cena di chiarimento la ragazzina e i suoi genitori, scelta che però risulta poco felice e generatrice di guai nel momento in cui Sherman porta indietro la compagna del tempo perdendola. Comincia così un’avventura che condurrà padre e figlio dalla Firenze rinascimentale fin all’interno del cavallo di Troia.

Su un plot piuttosto misero il regista Rob Minkoff (già regista del classico Disney Il Re Leone) e lo sceneggiatore Craig Wright costruiscono una narrazione volutamente disarticolata che tende all’accumulo - di situazione e gag - per convergere in un pirotecnico finale in cui il passato confluisce letteralmente nel presente, in una New York presa d’assalto da edifici antichi e personaggi storici. Dietro però alla componente spettacolare, si cela l’anima di un film anticonformista che se da un parte riflette sul rapporto padre/figlio e sulle responsabilità che il ruolo paterno comporta, dall’altro diviene un inno alla diversità, proponendo una morale che viene esplicitata fin dall’inizio del film, quando, nel momento in cui il tribunale si esprime a favore dell’adozione di Sherman da parte di Mr. Peabody, il giudice incaricato del verdetto chiude la sentenza con una frase a effetto (già presente nel primo episodio della serie tv): «Se un bambino può adottare un cane, non vedo perché un cane non possa adottare un bambino».

Attraverso la figura di Mr. Peabody, il “diverso” che si è sempre sentito tale - anche tra i suoi simili, trovando più piacere a immergersi nella lettura di Platone che non nel comportarsi da cane - Minkoff affronta il tema della diversità riuscendo a parlare al “suo pubblico”, ovvero ai bambini, con una semplicità disarmante senza cadere preda di quel moralismo posticcio, e francamente irritante, che fa capolino alla fine di certi film. Sicuramente Mr. Peabody e Sherman non è un capolavoro paragonabile a opere certamente ancora più complesse e poetiche (i già citati Dragon Trainer e Le 5 leggende, per rimanere nell’ambito Dreamworks), ma è comunque un cartoon intelligente nel quale il regista, cresciuto all’interno dell’universo Disney, dimostra di avere introiettato bene gli insegnamenti di Walt Disney, non solo riprendendo la tematica presente nella maggior parte dei film del “papà” di Topolino (tutti devono qualcosa a Walt Disney, l’arte del suo studio ha influito su quasi tutta la storia del cinema d’animazione, anche su quei film che per tutta risposta ne vogliono prendere le distanze), ma sopratutto nella convinzione di guardare ai bambini in quanto soggetti pensati, e non macchine a cui impartire concetti già dati, stimolando in loro la riflessione e il confronto con situazioni che possono essere facilmente trasportate anche nel quotidiano. E questo non è certo poco.


Mr. Peabody e Sherman
cast cast & credits
 

la locandina
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