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Serata Ratmansky

di Gabriella Gori
  Serata Ratmansky
Data di pubblicazione su web 21/01/2014  


Di fronte all’opera coreografica di Alexei Ratmansky, ricca di citazioni e spunti allusivi, viene spontaneo pensare all’antica eppure moderna prassi dellamellificatio (mellificazione). Non un’imitazione passiva e meccanica, ma un’imitazione-emulazione che si ispira al paziente e fruttuoso lavoro dell’ape che coglie il nettare di fiore in fiore per produrre il miele. Allo stesso modo deve fare l’artista nei confronti dei suoi modelli per raggiungere poi un’autonomia, in questo caso coreografica, tale da consentirgli di essere interamente se stesso. Ebbene Ratmansky dimostra di conoscere appieno il procedimento della mellificatioimitando e assimilando i modelli, prendendo da ciascuno il meglio di quanto offre e ricomponendo gli sparsi elementi in una cifra personale e originale. Cifra che gli permette di raggiungere risultati a dir poco eccezionali nell’ottenimento della purezza adamantina della danza accademica e nella conquista dell’eleganza compositiva del genere balletto, entrambi all’insegna di una perfetta sintesi di spirito russo e americano.

Questo il senso di Serata Ratmansky, il trittico monografico dedicato al coreografo di San Pietroburgo, andato in scena al Teatro alla Scala di Milano con i più che bravi ballerini scaligeri,  capitanati da un Roberto Bolle in forma smagliante. Uno spettacolo con i fiocchi accompagnato dall’ottima Orchestra scaligera, diretta con piglio scuro da Mikhail Tatarnikov, e salutato da meritati e calorosi applausi.  

La Seratacomposta dal debutto di Russian Seasons, dalla ripresa di Concerto DSCH e dalla prima assoluta di Opera, è stata l’occasione per apprezzare l’estro dell’artista russo, “Benois de la danse” nel 2005 e oggi considerato uno dei nomi più accreditati del firmamento coreutico internazionale.

 

Ratmansky, dopo la preparazione rigorosamente accademica avuta in patria, inizia la carriera di ballerino in blasonati organici come il Bol’šoj, il Balletto Reale Danese, il Royal Winnipeg Ballet, e approfondisce la conoscenza del repertorio classico, neoclassico e moderno. Una preparazione professionale che gli consente di fare il salto di qualità con la nomina a direttore del Balletto del Bol’šoj di Mosca dal 2004 al 2008. Quattro anni che portano la celeberrima compagnia a rinascere riappropriandosi della propria identità russo-sovietica e ad aprirsi al nuovo. Un’importante esperienza seguita nel 2009 dal trasferimento a New York come 'artista in residenza' dell’American Ballet Theatre, grazie al quale Alexei guarda al suo paese da una prospettiva diversa per – come dice lui – “riflettere sui tempi sovietici” senza nostalgia e nel contempo “entrare nella modernità”. Ovvero impossessarsi di quanto la cultura e la arte occidentali hanno prodotto nei settanta anni del regime dei Soviet. Una weltanshauung subito evidente in Russian Seasons, “un moderno capolavoro neoclassico” su musica di  Leond Desyatanikov, creato per il New York City Ballet nel 2006 e ora messo in scena per la prima volta dal Corpo di Ballo della Scala. 

  

Russian
Seasons  Di Lanno- Massimi- Licitra -Fagetti
Russian Seasons
(Di Lanno, Massimi, Licitra e Fagetti)
© Brescia & Amisano 


Nel balletto il folklore russo dei canti popolari ispirati alle stagioni del calendario russo ortodosso e la tradizione de Balletti Russi di Diaghilev, richiamata dalle stravinskyane Les Noces di Bronislava Nijinska, si sposano con il neoclassicismo di Balanchine e l’astrattismo di Robbins.

La coralità del gruppo e al tempo stesso il protagonismo dei solisti diventano per Ratmansky l’occasione di ricordare i modelli ma al tempo stesso farli suoi. Ecco allora strutturare la coreografia per sezioni ‘alla balanchine’ ma caratterizzarla in base ad una precisa idea di genere con uomini e donne che hanno il loro spazio sia ballando insieme che singolarmente. E gli stessi virtuosismi neoclassici non sono mai ripetitivi e mostrano una dinamica  contemporanea che imprime al movimento un respiro tale da rifuggire ogni rigida ossatura accademica, dando la sensazione che possa continuare all’infinito. ‘Alla Robbins’ è poi la scelta di rappresentare le sei coppie con precisi colori, l’arancio, il rosso, il verde, il blu, il viola e il bordeaux, che in modo astratto segnano lo scorrere del tempo, il passare delle stagioni, il mutare dei sentimenti, raffigurando una varia umanità con un tocco di pensosa ironia. Dettagli che Ratmansky reinterpreta prediligendo la leggerezza e accentuando il lirismo dei passaggi. Perfino la linea morbida dei costumi di taglio moderno si amalgama con la tradizione russa dei copricapo femminili, mentre il matrimonio contadino delle Noces si trasforma nell’unione insoddisfatta di un giovane donna con un uomo più grande di lei. Una mellificazione di estrema raffinatezza rispecchiata nell’eleganza dei costumi di Galina Solovyeva, nelle luci carezzevoli di Mark Stanley, nella potente voce del soprano Alisa Zinovjeva, nella melodia del violino di Laura Marzadori, nella presenza delle sei coppie con in testa Mick Zeni (Premio Danza&Danza 2013) e Marta Romagna, seguiti dai sorprendenti  Christian Fagetti, Marco Messina, Stefania Ballone, Federico Fresi, Maurizio Licitra, Virna Toppi, Valeria Valerio, Carlo Di Lanno, Nicoletta Manni, Denise Gazzo.


Concerto DSCH - Nicoletta Manni-Carlo Di
Lanno
Concerto DSCH 
(Nicoletta Manni e Carlo Di Lanno) 
© Brescia & Amisano 


E la mellificazione si ripresenta anche in Concerto DSCH  su musica di Dimitrij Šostakovič. Un omaggio di Ratmansky al grande compositore visibile nello stesso titolo dove la D di DSCH è l’iniziale del nome Dmitrij e SCH allude alle prime lettere del cognome traslitterato in tedesco.

Realizzato per il New York City Ballet nel 2008 sul Secondo Concerto per pianoforte e orchestra e ripreso dal Corpo di Ballo della Scala dopo il debutto del 2012, questo lavoro è di stampo ‘balanchiniano’ ma diventa ‘ratmanskynano’ nella vivacità con cui il coreografo trasforma un serio balletto neoclassico in una creazione atletica. Attraverso lifts, batteries, grandi e piccoli salti, grands jetés, aggraziati e giocosi  epoulements, si dà vita ad una danza d’arte che si richiama allo stile sovietico ma al tempo stesso è esaltata dai variopinti e leggeri costumi ‘american style’ di Holly Hynes e dalle cangianti luci di Mark Stanley. E l’eco dell’astrattismo ‘robbinsiano’ si riempie di sentimentale cameratismo spingendo gli stessi protagonisti ad essere veri compagni di un’avventura coreografica le cui tappe sono scandite dal piano di Davide Cabassi e dalla performance dei convincenti Stefania Ballone, Federico Fresi, Marco Agostino, Nicoletta Manni, Valerio Lunadei, e di tutto il corpo di ballo.  

 

OPERA Roberto Bolle Beatrice Carbone Mick Zeni Emanuela
Montanari
OPERA
(Roberto Bolle, Beatrice Carbone, Mick Zeni ed Emanuela Montanari) © Brescia & Amisano


Come ultimo pezzo della serata è stato presentato l’atteso e riuscito Opera, un balletto creato ad hoc da Ratmansky per l’organico milanese su musica di Leonid Desyatnikov e proposto con successo en  première nella consona cornice del Teatro alla Scala.

Opera  – spiega Desyatnikov nel programma di sala – “è una sorta di divertissement, un catalogo di episodi non legati ad una trama” che, volendo riportare in vita l’atmosfera dell’opera barocca italiana, prende spunto dai recitativi e dalle arie dei libretti di Metastasio e dal cap.28 delle Memoires di Carlo Goldoni, in cui si danno precise indicazioni su come debba essere un’opera seria e quali siano le sue regole. 

Privo di supporto narrativo e animato da una danza astratta, Opera è – come dice Ratmansky – una “stilizzazione dell’opera barocca” in quanto l’artista non usa passi di danza specifici e coglie il destro per riflettere sul ballet de cour e sul ballet d’action. Forme di intrattenimento che avevano ben chiaro come musica, poesia e danza – per usare le parole di Monteverdi - dovessero “incontrarsi in una imitattione unita”.

Ratmansky costruisce la sua rivisitazione all’insegna di un atteggiamento postmoderno che contamina generi e stili, assembla in modo apparentemente indiscriminato materiali, cita da ambiti diversi, tende ad azzerare la dimensione storica in nome di un eterno presente che non riconosce il concetto di inizio e fine.

Inquadrato in questa prospettica si comprende appieno il significato di Opera, la sua apparente ridondanza e al tempo stesso la sua linearità di fondo. “Una fantasia sul tema” che però rispetta l’usanza secentesca di coinvolgere per i ruoli maschili le cristalline voci femminili del soprano Linda Jung e del mezzosoprano Natalia Gavrilan, accanto a quella possente del tenore Jaeyoon Jung, e si sviluppa in una serie di quadri scenografici ispirati all’iconografia dell’epoca.

Guerrieri, amazzoni, battaglie, amori, lamenti, animano una partitura coreografica  neoclassicamente ‘mellificata’ che si avvale delle immagini video di  Wendall Harrington, degli splendidi costumi d’epoca rivisitati dalla modernità di Colleen Atwood e dal gioco delle luci chiaroscurali di Mark Stanley.

Otto coppie accompagnano i quattro protagonisti, l’étoile Roberto Bolle, perfettamente a suo agio nel mostrare la perfezione della sua danza e del suo essere danzatore, i solisti Beatrice Carbone, Emanuela Montanari e Mick Zeni, tecnicamente ineccepibili e dotati di personalità convincente.

Come convincente è il finale di Opera che, raffigurando sullo sfondo l’immagine di un teatro d’epoca stracolmo che osserva lo spettacolo e quindi anche il pubblico vero assiso in sala, portato specularmente a fare la stessa cosa, sottolinea la magica dimensione dell’accadimento teatrale. Una dimensione dove labile e impercettibile è il confine tra l’artificiosità di ciò che si vede e la realtà di cui si fa parte.

Se Alexei si augurava che Opera “fosse più europeo, più artistico” possiamo dire che è riuscito pienamente nell’intento e la mellificatio come ipotesi per interpretare la poetica di Ratmansky è giustificata dalle sue stesse parole“In ogni artista c’è come una sedimentazione di tutto quello che c’è stato prima. Nel mondo del balletto è una pratica corrente, si guarda a quello che è stato fatto prima di te. Decidi di servirtene, ma spingendoti più in là, imprimendo una spinta. Soprattutto nel balletto dove il corpo è memoria, scrittura vivente”.     



Serata Ratmansky


BOX Russian Seasons
cast cast & credits
 


Concerto DSCH
cast cast & credits
 


Opera
cast cast & credits
 

In alto: Roberto Bolle e Beatrice Carbone (foto Brescia & Amisano)

 
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