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Umana mostruosità da salotto per un pubblico di voyeurs!

di Chiara Schepis
  Il ritorno a casa
Data di pubblicazione su web 12/12/2013  

 

Peter Stein mette in scena Il ritorno a casa di Pinter, distribuisce i ruoli fra i suoi attori e obbliga immediatamente il pubblico ad assumere il proprio. Entrando in sala ci si trova di fronte ad un sipario aperto su un salotto di cui si diventa, forzatamente, voyeurs!

 

La scena, che rimarrà fissa per tutto il corso dello spettacolo, è racchiusa in un ring di moquette chiara sulla quale si compone l’ambiente della vicenda: un salotto – che sarà stato già antiquato negli anni sessanta – abbandonato dalle cure materne ed eletto ad habitat ideale per i quattro inquilini della casa: il padre Max, macellaio in pensione (Paolo Graziosi, già Max in un fortunato allestimento di Carlo Cecchi del 1982), il fratello di lui, Sam, «il migliore chauffeur della ditta» (Elia Schilton) e i due figli di Max, Lenny, magnaccio di classe, e Joey, autistico operaio col sogno della boxe (Alessandro Averone e Rosario Lisma). Sul fondo si erige una struttura portante che divide il fondale orizzontalmente attraverso una trave retta da un pilastro e che ricorda, non a caso, l’impianto figurativo dei quadri didattici a tema religioso di fine quattrocento. Si crea così uno sdoppiamento dello spazio tra piano terra e primo piano, collegati dalla presenza di una scala, elemento atto a movimentare il gioco dei personaggi. Se il pianterreno risulta caratterizzato dal prevalere di un verde  muschio-muffa, in cui strisceranno queste larve di uomini, il piano superiore si carica di un senso di angoscia per il rosso intenso della parete. Rosso degli istinti sessuali repressi, rosso del sangue che richiama la macelleria di famiglia, orgoglio di Max, il quale afferma: «Ho cresciuto tre maschi adulti nel sangue», e ancora, rosso della passione “per” il potere di cui si fa protagonista l’unica donna della pièce, Ruth puttana-madre (Arianna Scommegna) nonché moglie del primogenito Teddy (Andrea Nicolini).

 

La prima sensazione che il quadro scenico suscita è quella di un fastidioso naturalismo a cominciare dall’effetto ingannevole della scenografia. Questi personaggi poi mangiano e masticano, bevono e sorseggiano, fumano e tossiscono continuamente. Poi però si fissano quasi in delle maschere, si bloccano nelle proprie nevrosi, esasperando gesti e posture (come nel caso dell’iperattività del figlio più piccolo). Sono questi i tratti che caratterizzano la particolare recitazione degli attori i quali intrecciano differenti registri stilistici, caricando infine la loro interpretazione di un risvolto prevalentemente grottesco. Ed è in questo senso uno sforzo enorme quello che la pièce richiede agli attori: corpi al macello.

 

Con questa carne da macello Pinter alimenta una macchina teatrale che prende avvio dal “ritorno a casa” di Teddy e Ruth dopo anni di assenza. Teddy è ormai un affermato professore di filosofia in una Università americana, la moglie non conosce la famiglia del marito ma, si intuisce, fa parte anche lei di quei sobborghi londinesi di cui ci è offerto un panorama esclusivamente notturno. È probabile che Teddy si sia voluto emancipare da questa famiglia, ma qualcosa di malato lo lega alla casa della sua infanzia e lo costringe a ritornarvi.

 

Il dramma è essenzialmente una esemplificazione di rapporti insani tra uomini malati che non riescono a parlarsi, o meglio, dialogano ma in fondo ognuno segue solo il filo di un suo personale discorso. I personaggi si scagliano contro dichiarazioni e rivelazioni, insulti e confessioni, racconti e ricordi che non seguono però il senso logico della conversazione a cui partecipano.

 


Ruth (Arianna Scommegna) e Lenny (Alessandro Averone).

Foto di Pino Le Pera. 

Ognuno è schiavo di una patologia ed è su queste che Stein fa leva, spremendo il succo di tutte le tematiche accennate dall’autore. Vecchiaia: Max è un vecchio padre, evidentemente frustrato nella sua virilità dal matrimonio con una moglie, già morta da tempo, anch’essa vittima o carnefice dalla moralità compromessa. E allora assistiamo agli intermittenti scatti arteriosclerotici di uno straordinario Paolo Graziosi, violento sì, ma di una violenza che si manifesta nel linguaggio e nelle intenzioni, come forza che carica le azioni del personaggio. Esemplare il momento in cui inveisce contro il fratello Sam e lo colpisce brandendo un bastone. Il movimento è lento e sofferto, l’esito del colpo è atroce, si crea così un’evidente sfasatura tra azione e reazione.

 

Disagio sociale, disonestà, servilismo: sono i temi che possono invece essere accostati agli altri inquilini della casa. Joey-Lisma soffre senza dubbio di una forma di autismo che lo blocca nell’incapacità di instaurare rapporti sani col mondo. Oscilla tra il mutismo e l’iperattività ed è schiavo, più di tutti, del potere sessuale della donna; paradossale il fatto che sia lui a far ridere, più di tutti, la platea. Lenny-Averone è un dandy malavitoso, meta-regista tra gli altri attori, spaccone affetto però da infantilismo, schiacciato com’è dall’invidia per il fratello più grande. Sam-Schilton, personaggio apparentemente buono, si macchia di servilismo e connivenza, soffre probabilmente di una leggera invalidità, ma non si ribella allo status-quo, fino al punto da non riuscire neppure a morire: l’indignazione non gli basta! Teddy-Nicolini poi è ripugnante nel suo ruolo di vittima, figlio che non riesce a staccarsi dall’influenza del padre, che ha di certo circuito la sposa facendo leva sulla propria superiorità intellettuale e che non difende la propria virilità, facendosi voyeur – con noi – della carica sensuale della moglie. Va via, è vero, ma molto probabilmente tornerà.

 

E infine Ruth-Scommegna, personaggio complesso per un’attrice non scontata. La scelta del regista si inserisce nel quadro di un discorso più sottile sul femminile, sul potere della donna nella famiglia e nella società. In questa donna si concentrano pulsioni non censurate e rancore esploso: sottomissione, sfruttamento, prostituzione ma anche rivincita intellettuale (come nell’ipnotico e sensualissimo movimento di una sola gamba), giochi di potere e di ruoli all’altezza del Balcon genettiano. Infatti anche Il ritorno a casa, come il Balcon, vuol costituire una riflessione sull’uomo proponendo uno scenario didascalico più che realistico (come i quadri religiosi del nostro medioevo e come i quadri metateatrali di Genet), quasi come si volesse mostrare l’allegoria dello sfacelo, senza cedere ad alcun intento moralizzatore.

 

Il fermo immagine finale ci mostra Ruth, sulla poltrona del potere, troneggiare su un tappeto di uomini. Sceglie di restare in quella casa sacrificando il proprio ruolo di madre, ma assumendone un altro, probabilmente quello che era stato della moglie di Max, puttana, ma rispettata in quanto madre. Ruth è il vero colpo di scena della pièce in quanto rifiuta il “suo” ritorno a casa, per soddisfare questa volta la una “sua” personale pulsione, di vendetta o di riscatto.


Il ritorno a casa
cast cast & credits
 




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 


Ruth (Arianna Scommegna) e Teddy (Andrea Nicolini).

Foto di Pino Le Pera.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Max (Paolo Graziosi). Foto di Pino Le Pera.


 

 
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