Santiago del Cile, 2013. Paulina, ventun anni, vuole diventare assistente sociale. Nel centro di recupero per adolescenti dove svolge il tirocinio incontra Manuel, giovane sbandato. Contravvenendo alletica professionale imposta dallistituto e in barba alla differente estrazione sociale, i due diventano presto amici influenzandosi reciprocamente. Paradossalmente anche quando i ruoli sembrano invertirsi ed è Paulina a seguire il suo giovane amico, è ancora lei a guidare il gioco. È lei, confusa e irrisolta quanto Manuel, a scegliere forse per la prima volta nella propria vita di sfidare le regole e lasciarsi andare alla deriva. Dietro quel gesto liberatorio si nasconde però il dubbio che il suo sia solo il gioco perverso e autolesionista di una borghese annoiata, che ogni tanto si distrae facendo un giro nei bassifondi.
Un dubbio destinato a rimanere senza soluzione: i registi Diego Ayala e Anibal Jofré non forniscono infatti alcun indizio e il finale sospeso sullacme del dramma sembra voler ribadire una volta di più la confusione emotiva di Paulina.
Tecnicamente un po scontato - luso insistito della macchina a mano per “pedinare” la protagonista è un mezzo fin troppo inflazionato - Volantin Cortao è un film semplice, pulito, che con una storia esile riesce a sostenere lo sviluppo di tutti i suoi 77 minuti di durata. Merito dei giovani interpreti e della tranche de vie che racconta: una fotografia delle incertezze di due ragazzi come tanti, storie così particolari eppure universali. Oltre la specificità di unindagine sociale sulla realtà cilena contemporanea, sintravede infatti una crisi generazionale che è senzaltro internazionale. Diego Ayala e Anibal Jofré, al loro secondo lungometraggio dopo Chaiten (2012), dimostrano di avere un talento che ci riserviamo di verificare nella produzione a seguire, augurandoci che sappiano affrancarsi dallo stile documentaristico-neorealista e dalla dimensione minuta del quotidiano, che sono più immediatamente accessibili, ma anche i primi ad esaurirsi.
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