Tratto
dallomonimo romanzo di Daniel Pennac (1985), Il paradiso degli orchi racconta le vicende di Benjamin
Malaussène (Raphaël Personnaz), un
giovane piuttosto bizzarro che abita a Belleville con la sua allegra e strampalata
famiglia, composta da due fratellastri e due sorellastre, più una nipote in
arrivo. La madre vive da qualche parte in giro per il mondo, salvo poi tornare
a Belleville per partorire, mentre la sorella maggiore Louna (Mélanie Bernier) studia
medicina e poi è incinta e allora a badare a tutti e preoccuparsi del
sostentamento della famiglia non rimane che lui, Benjamin, col suo assurdo
lavoro di “capro espiatorio” presso i grandi magazzini parigini “Au Bonheur
Parisien”. Sempre pronto a subire le lamentele dei clienti e gli insulti del
proprio capo, nonostante il suo buon carattere, finisce per mettersi nei guai
quando nel negozio si verificano alcune inspiegabili esplosioni, in ciascuna
delle quali muore un suo collega. Tutti gli indizi sono contro di lui, per
fortuna che ci sono Stojil (Emir
Kusturica), guardiano notturno, e la bella “Zia
Julia” (Bérénice Bejo),
unavvenente giornalista, ad aiutarlo.
Pur restando sostanzialmente fedele al
testo originale, il regista Nicolas Bary
ne prende la distanza necessaria ad orchestrare il proprio immaginario, di
modo che la storia mentre perde i toni del noir che caratterizzavano la
scrittura di Pennac, acquista il caleidoscopico universo visionario di Bary. Ad
esempio i personaggi di Clara (unaltra sorella) e Louna vengono fusi nel film
in quello di Louna, cosicché le ellissi necessarie alla narrazione
cinematografica non inficiano in alcun modo il microcosmo creato da Pennac.
Bary, che afferma di riconoscersi nel
romanzo-fonte per motivi autobiografici (ha anche lui come Benjamin dei
fratelli più piccoli di cui si è occupato), per ladattamento del romanzo ha
attinto ai propri miti cinematografici, da Fellini a Terry Gilliam, senza
tuttavia ricorrere a riferimenti espliciti. Questo gli ha permesso di valicare
i confini nazionali - che avrebbero facilmente corso il rischio di limitare il
film a un contesto culturale prettamente francese e nostalgico - dando invece
al film un respiro più ampio, «cosmopolita».
Se Pennac per i suoi personaggi è
ricorso alla filosofia di René Girard (per la teoria del capro espiatorio) e al
ricordo di persone incontrate durante la sua vita, Bary ha invece voluto che
ciascuno degli attori mantenesse la propria personalità. Il risultato è un
altro Benjamin Malaussène, uguale e diverso dalloriginale allo stesso tempo,
che piace anche a Pennac, positivamente sorpreso dalla nuova forma assunta
dalla sua creatura.
Registicamente il principale pregio del
film sta nel ritmo, traduzione visiva dellenergia che scaturiva dalle pagine
del libro e che emerge qui fin dal montaggio serrato che caratterizza lincipit.
Bravi interpreti (a partire dai bambini), una buona fotografia, la sceneggiatura
brillante dai dialoghi serrati e ironici e le accattivanti melodie di Rolfe Kent, completano il quadro di un
film piacevole ma francamente molto leggero; forse manca proprio quel tocco di
noir che avrebbe reso ladattamento cinematografico un po meno ruffiano,
dandogli maggiore spessore. Un film per famiglie.
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