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Un tocco di noir

di Elisa Uffreduzzi
  Il paradiso degli orchi
Data di pubblicazione su web 14/11/2013  

Tratto dall’omonimo romanzo di Daniel Pennac (1985), Il paradiso degli orchi racconta le vicende di Benjamin Malaussène (Raphaël Personnaz), un giovane piuttosto bizzarro che abita a Belleville con la sua allegra e strampalata famiglia, composta da due fratellastri e due sorellastre, più una nipote in arrivo. La madre vive da qualche parte in giro per il mondo, salvo poi tornare a Belleville per partorire, mentre la sorella maggiore Louna (Mélanie Bernier) studia medicina e poi è incinta e allora a badare a tutti e preoccuparsi del sostentamento della famiglia non rimane che lui, Benjamin, col suo assurdo lavoro di “capro espiatorio” presso i grandi magazzini parigini “Au Bonheur Parisien”. Sempre pronto a subire le lamentele dei clienti e gli insulti del proprio capo, nonostante il suo buon carattere, finisce per mettersi nei guai quando nel negozio si verificano alcune inspiegabili esplosioni, in ciascuna delle quali muore un suo collega. Tutti gli indizi sono contro di lui, per fortuna che ci sono Stojil (Emir Kusturica), guardiano notturno, e la bella “Zia Julia” (Bérénice Bejo), un’avvenente giornalista, ad aiutarlo.

Pur restando sostanzialmente fedele al testo originale, il regista Nicolas Bary ne prende la distanza necessaria ad orchestrare il proprio immaginario, di modo che la storia mentre perde i toni del noir che caratterizzavano la scrittura di Pennac, acquista il caleidoscopico universo visionario di Bary. Ad esempio i personaggi di Clara (un’altra sorella) e Louna vengono fusi nel film in quello di Louna, cosicché le ellissi necessarie alla narrazione cinematografica non inficiano in alcun modo il microcosmo creato da Pennac.

Bary, che afferma di riconoscersi nel romanzo-fonte per motivi autobiografici (ha anche lui come Benjamin dei fratelli più piccoli di cui si è occupato), per l’adattamento del romanzo ha attinto ai propri miti cinematografici, da Fellini a Terry Gilliam, senza tuttavia ricorrere a riferimenti espliciti. Questo gli ha permesso di valicare i confini nazionali - che avrebbero facilmente corso il rischio di limitare il film a un contesto culturale prettamente francese e nostalgico - dando invece al film un respiro più ampio, «cosmopolita».

Se Pennac per i suoi personaggi è ricorso alla filosofia di René Girard (per la teoria del capro espiatorio) e al ricordo di persone incontrate durante la sua vita, Bary ha invece voluto che ciascuno degli attori mantenesse la propria personalità. Il risultato è un altro Benjamin Malaussène, uguale e diverso dall’originale allo stesso tempo, che piace anche a Pennac, positivamente sorpreso dalla nuova forma assunta dalla sua creatura.

Registicamente il principale pregio del film sta nel ritmo, traduzione visiva dell’energia che scaturiva dalle pagine del libro e che emerge qui fin dal montaggio serrato che caratterizza l’incipit. Bravi interpreti (a partire dai bambini), una buona fotografia, la sceneggiatura brillante dai dialoghi serrati e ironici e le accattivanti melodie di Rolfe Kent, completano il quadro di un film piacevole ma francamente molto leggero; forse manca proprio quel tocco di noir che avrebbe reso l’adattamento cinematografico un po’ meno ruffiano, dandogli maggiore spessore. Un film per famiglie.



Il paradiso degli orchi
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