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L’ultima partita del vecchio leone

di Michela Zaccaria
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Data di pubblicazione su web 13/11/2013  

La vigilia di Ferragosto il vecchio partigiano Renato Battiston è costretto a letto, investito all’uscita del garage condominiale dal suo vicino di casa, naziskin de noantri. Il ragazzo guidava senza patente e per evitare la denuncia tratta con lui un periodo di assistenza domiciliare. Manuel Solimando ha l’effigie del Duce tatuata sul braccio, è sboccato, parla per slogan, non ha ambizioni né istruzione: cita Facebook e il Grande Fratello, confonde i rifugiati del Darfur con i clienti del Carrefour, Gramsci con l’inventore del PC nel senso di computer. «Spazio per qualche idea?» gli fa il vecchio con ironia tagliente. Lo scontro risulta inevitabile e non solo a poker, tra visioni opposte della vita e del senso della storia. Renato parla al passato, il suo è il tempo dei bilanci; a Manuel invece mancano le prospettive: «Ve siete magnati tutto voi, il futuro!» grida. «Alla fine della partita non contano le carte che hai avuto, ma come te le sei giocate» riflette il vecchio.


La sfida fra i due non è priva di bluff e di inganni, come quando il ragazzo ruba nottetempo i tremila euro che Renato tiene da parte. Un telegramma annuncia l’arrivo della figlia e il suo ritorno a casa riapre dolorose ferite insieme alla speranza di una riconciliazione. Aurora aveva scelto la lotta armata e faceva parte di un commando che aveva ucciso un poliziotto; il padre l’aveva denunciata senza più rivederla. Trent’anni sono passati; oggi Aurora è un medico convertitosi all’attivismo umanitario. Anche lei racconta di illusioni, sconfitte e voglia di riscatto, esattamente come Manuel.


«La Storia la scrivono i vincitori?» si domanda il vecchio: un passato da tipografo, il figlioletto morto e la lotta nella Resistenza, le cicatrici sul petto a ricordo dei fucili tedeschi. Prigioniero in un buio perenne, sognava la luce del giorno, cui allude il titolo della commedia. Renato porta in eredità ideali di libertà e di responsabilità che lo hanno condotto durante la vita, «perché la libertà si respira come l’ossigeno». Parla di sé come di un cantante muto che riesce a farsi intendere da un ascoltatore sordo, mentre si spoglia di ogni diffidenza rivelando le proprie debolezze;  muore sul finale a missione compiuta, quando Manuel si accorge che può farcela da solo.


Farà giorno è una novità di Rosa Menduni e Roberto De Giorgi, messa in scena da Piero Maccarinelli. Il testo richiama nella struttura drammaturgica e in alcuni passaggi Visiting Mr. Green dell’americano Jeff Baron, andato in scena una decina di anni fa. Gli autori tuttavia si allontanano dal contesto ebraico per calare l’azione nella società italiana contemporanea, non mancando di sottolinearne le contraddizioni e non censurando alcuni momenti di commozione. I dialoghi sono serrati, divertenti e ben scritti. Suoni metropolitani scandiscono la ripartizione in quadri (musiche di Antonio di Pofi); la scenografia realistica è di Paola Comencini: una modesta stanzetta di pareti azzurre senza finestre con ritratto di Gramsci in bella evidenza, un letto con spalliera, una poltrona sfondata, foto di famiglia e libri sul comò.


Lo spettacolo come è ovvio ruota attorno ad un grande maestro del teatro italiano, l’inossidabile Gianrico Tedeschi (classe 1920), sempre bravissimo, che presta un sarcasmo alieno da ogni sentimentalismo al vecchio partigiano comunista. Con lui Marianella Laszlo nel ruolo della figlia Aurora e Alberto Onofrietti, molto convincente nel ruolo del ragazzotto di borgata che dietro la scorza ruvida è insicuro, tradito dalla fidanzata e dagli amici.



Dal 3 al 23 dicembre 2013 al Teatro Franco Parenti di Milano.


Farà giorno
cast cast & credits
 

foto di Pietro Pesce


il video dello spettacolo:
http://www.youtube.com/watch?v=EKJVP35ngr8
 
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