La vigilia di
Ferragosto il vecchio partigiano Renato Battiston è costretto a
letto, investito alluscita del garage
condominiale dal suo vicino di casa, naziskin
de noantri. Il ragazzo guidava senza patente e per evitare la denuncia
tratta con lui un periodo di assistenza domiciliare. Manuel Solimando ha leffigie del
Duce tatuata sul braccio, è sboccato, parla per slogan, non ha ambizioni né istruzione: cita Facebook e il Grande Fratello,
confonde i rifugiati del Darfur con i clienti del Carrefour, Gramsci con linventore del PC nel
senso di computer. «Spazio per qualche
idea?» gli fa il vecchio con ironia tagliente. Lo scontro risulta
inevitabile e non solo a poker, tra
visioni opposte della vita e del senso della storia. Renato
parla al passato, il suo è il tempo dei bilanci; a Manuel invece mancano le
prospettive: «Ve
siete magnati tutto voi, il futuro!» grida. «Alla fine della partita non
contano le carte che hai avuto, ma come te le sei giocate» riflette il vecchio.
La sfida
fra i due non è priva di bluff e di
inganni, come
quando il ragazzo ruba nottetempo i tremila euro che Renato tiene da
parte. Un telegramma annuncia larrivo della figlia e il suo ritorno
a casa riapre dolorose ferite insieme alla speranza di una riconciliazione. Aurora aveva scelto
la lotta armata e faceva parte di un commando che aveva ucciso un poliziotto; il
padre laveva denunciata senza più rivederla. Trentanni
sono passati; oggi Aurora è un medico convertitosi
allattivismo umanitario. Anche lei racconta di
illusioni, sconfitte e voglia di riscatto, esattamente come
Manuel.
«La Storia
la scrivono i vincitori?» si domanda il vecchio: un passato da tipografo, il figlioletto
morto e la lotta nella Resistenza, le cicatrici sul petto a
ricordo dei fucili tedeschi. Prigioniero in un buio perenne, sognava la luce
del giorno, cui allude il titolo della commedia. Renato porta in
eredità ideali di libertà e di responsabilità che lo hanno condotto durante la vita,
«perché la
libertà si respira come lossigeno». Parla di sé come di un cantante muto che
riesce a farsi intendere da un ascoltatore sordo, mentre si
spoglia di ogni diffidenza rivelando le proprie debolezze; muore sul finale a missione compiuta, quando
Manuel si accorge che può farcela da solo.
Farà giorno è una novità di Rosa Menduni e Roberto De Giorgi, messa in scena da Piero Maccarinelli. Il testo richiama nella struttura drammaturgica
e in alcuni passaggi Visiting Mr. Green dellamericano
Jeff Baron, andato in scena una
decina di anni fa. Gli autori tuttavia si allontanano dal contesto ebraico per
calare lazione nella società italiana contemporanea, non mancando di
sottolinearne le contraddizioni e non censurando alcuni momenti di commozione. I dialoghi
sono serrati, divertenti e ben scritti. Suoni metropolitani scandiscono la ripartizione
in quadri (musiche di Antonio di Pofi); la scenografia realistica è di Paola Comencini: una modesta
stanzetta di pareti azzurre senza finestre con ritratto di Gramsci in bella evidenza,
un letto con spalliera, una poltrona sfondata, foto di famiglia e libri sul
comò.
Lo spettacolo
come è ovvio ruota attorno ad un grande maestro del teatro italiano, linossidabile Gianrico Tedeschi (classe 1920), sempre bravissimo, che presta un
sarcasmo alieno da ogni sentimentalismo al vecchio partigiano comunista.
Con lui Marianella Laszlo nel ruolo
della figlia Aurora e Alberto Onofrietti,
molto convincente nel ruolo del ragazzotto di borgata che dietro la scorza ruvida
è insicuro, tradito dalla fidanzata e dagli amici.
Dal 3 al 23 dicembre 2013 al Teatro Franco Parenti di Milano.
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