Nel
1985 Italo Calvino scrisse cinque conferenze sulle qualità e specificità
della letteratura da conservare all'alba del nuovo millennio. Non le pronunciò
mai, morì qualche mese prima della partenza per Harvard. Lezioni Americane
diventarono uno spettacolo nel 2000, al Théâtre du Rond Point des
Champs-Elysées di Parigi (regia di Orlando Forioso). Da allora molte
volte Giorgio Albertazzi ha accompagnato gli spettatori in questo
viaggio vertiginoso alla ricerca della leggerezza, in un labirinto di rimandi
tra letteratura teatro video e musica (Arva Pavel al violoncello).
Il
conferenziere Calvino-Albertazzi colloquia con unallieva giornalista (Stefania
Masala) e locchio della telecamera lo insegue fra appunti quadri libri poltrone
di velluto viola. Quasi che il palcoscenico fosse il prolungamento di casa sua:
un luogo dove si viviseziona la scrittura e se ne cercano i segreti, dove la
leggerezza è oggetto di una ricerca senza fine contro «la fitta rete di
costrizioni pubbliche e private che finisce per avvolgere ogni esistenza con
nodi sempre più stretti».
Proprio
come nella vita, Albertazzi-attore ha fatto della leggerezza la sua cifra
espressiva, convinto che il teatro si fondi principalmente su una condizione di
libertà immaginativa, ai margini dellallusività e del non detto. Ritratto
dellartista da vecchio, Lezioni americane sovrappongono allora alla
conferenza calviniana il percorso parallelo di un attore innamorato della
poesia. Come di una donna bellissima e ritrosa, è di lei che parla agli
spettatori (e a se stesso), facendo sue le parole di Lucrezio e di Ovidio,
di Guido Cavalcanti e di Leopardi; aggrappandosi infine ed ancora
una volta ai suoi autori-feticcio Dante Borges Shakespeare. Essere…non
essere…La parola dei poeti si mescola alla sua, diventa summa della
vita. Intanto dal computer frammenti di memoria scorrono in immagini, dal film Lanno
scorso a Marienbad di Alain Resnais di cui Albertazzi fu
protagonista nel 1961, alla sigla di Appuntamento con la novella nella
preistoria della RAI tivù: «È vero che il software non potrebbe
esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware-
riflette il protagonista- ma è il software che comanda…»
Recitare
per esistere. Anzi, non recitare affatto; essere testimone, piuttosto, che è là
sul palcoscenico che ogni sera si esorcizza la morte, sorprendendosi vivi e
desideranti anche a novantanni. Albertazzi ha fatto suo lagile salto del
poeta-filosofo di Calvino, mentre quella che molti credono essere la vitalità
dei tempi, aggressiva e scalpitante, appartiene al regno dei morti come un
cimitero di automobili arrugginite. Il vecchio attore indomito ogni sera saluta
il pubblico come fosse lultima volta. Lo fa con le parole che più ama e che più
lo rappresentano, con la consueta leggerezza senza commozione contro
linsostenibile pesantezza del vivere.
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