António (João Perry) è più che un collega e un capo per Hugo: un padre, un amico, un mentore. Quando questi gli comunica limminente ricovero in ospedale per lennesima operazione che non promette nulla di buono, Hugo (Filipe Duarte) - poco incline ai cambiamenti, per nulla alle sorprese - sente vacillare il proprio mondo, fatto di piccole certezze quotidiane. In quelle parole di commiato intuisce un messaggio più profondo, che solo più tardi riuscirà ad afferrare.
La lentezza estenuante con cui si dipana A Vida Invisível rischia di ottenebrarne la malinconica poesia, afflitto comè dalla sindrome neorealista, della quale si ravvisano tutti i sintomi: dal proverbiale pedinamento del personaggio al gusto per il gesto quotidiano, ecc. Occorrerà non poca pazienza al pubblico per aspettare un finale rivelatore non tanto di inattesi colpi di scena, quanto piuttosto della semplice verità di una vita vissuta a metà, come la rotta di una «barca che anela al mare eppure lo teme», per dirla con Edgar Lee Masters.
Girato in una penombra a tratti al limite della visibilità, traduzione visiva di una “male di vivere” che va oltre il dolore per la contingente perdita dellamico, il film di Vítor Gonçalves ha il raro pregio di attingere a una profondità introspettiva che vale tutta la lentezza di cui si avvale.
Tra le larghe maglie di una trama in sé povera e di una sceneggiatura che si spinge fino al limite dellafasia, emergono la dipendenza dalla figura della madre scomparsa; la paura di affrontare il futuro con la donna che ama, lincapacità di accettare il cambiamento quale componente intrinseca della vita; il conseguente rifugiarsi nei rassicuranti Lari familiari - la madre, António - gli unici al riparo dal rischio di deluderlo, semplicemente perché passati a miglior vita.
Leitmotiv di un film così rarefatto sono le immagini in super 8 girate da António che Hugo trova nella casa ormai vuota dellamico. Esse - courtesy of Julie Brook al di fuori della finzione scenica - imbastiscono infatti con le sequenze del film una sorta di muto dialogo, dando forma ai tormenti interiori del protagonista. Quei paesaggi disabitati, senza volto, gli restituiscono la nuda verità, il messaggio dellamico rimasto inespresso: il vuoto di una vita - quella di António - speculare alla sua. Esse assumono così le sembianze di un monito, un memento mori che è insieme un implicito sprone alla vita. Efficace effigie di questo sottile e struggente dialogo interiore è il volto immobile di Filipe Duarte, i cui primi piani rivelano nello sguardo tutta la malinconica angoscia di cui vive il protagonista, fino al fermo immagine finale, che si annulla simbolicamente in un bianco accecante. È la vita che continua, anzi comincia, per Hugo.
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