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Algeri, quarantasette anni dopo

di Elisa Uffreduzzi
  Les Terrasses
Data di pubblicazione su web 07/09/2013  

Algeri, 2013: la Casbah, Bab el Oued, Belcourt, Notre-Dame d’Afrique, Telemly. Cinque quartieri, cinque storie diverse che si svolgono in montaggio alternato sulle caratteristiche terrazze della città. A quarantasette anni da La battaglia di Algeri (1966, Leone d’oro a Venezia lo stesso anno), il film di Merzak Allouache sembra riprendere il filo della narrazione proprio dal punto in cui l’aveva lasciata Gillo Pontecorvo - alle soglie dell’indipendenza algerina dalla Francia (1962) - per mostrarci le contraddizioni e i conflitti interni di una città e di un Paese, l’Algeria, che, oggi in una situazione apparentemente stabile, sono in realtà fortemente scossi al loro interno.

Già Pontecorvo nel 1992 era tornato nei luoghi del suo film per girare Ritorno ad Algeri, un documentario per la trasmissione televisiva di RAI 2 Mixer, che metteva in evidenza i forti contrasti interni che ancora agitavano Algeri e il Paese. A cinquant’anni dall’indipendenza il regista algerino - nel 1966 stagista sul set del film di Pontecorvo - avverte l’urgenza di tornare a raccontare quella realtà, amaro testimone di una Casbah che versa in condizioni deplorevoli e di una città percorsa dalla violenza sotterranea, dove tuttavia emerge anche un’umanità vivace e solidale, della quale sono specchio alcuni dei personaggi.

Nell’arco di una giornata, dall’alba al tramonto: un uomo viene torturato perché confessi qualcosa; un gruppo di giovani musicisti prova la propria musica; un’anziana donna e la sua famiglia vengono sfrattati; un uomo è incatenato in una minuscola baracca di legno; un altro gestisce il suo piccolo giro di malaffare. Sui tetti di una città senza tempo, scandite dal ritmo delle cinque preghiere quotidiane dell’Islam, le cinque storie algerine non si risolvono ma si svolgono, tra cellulari di ultima generazione e tappeti per la preghiera. L’aspirazione alla modernità, il legame inscindibile con la tradizione, la violenza sommersa, definiscono un ritratto della città crudo e lirico al tempo stesso.

L’uso non esasperato della macchina a mano e più di un riferimento metalinguistico (la troupe che deve girare un film sull’Algeri araba; le frasi allusive al cinema) costituiscono il tramite con il quale Merzak Allouache torna ancora una volta, dopo Naturale! e Il pentito, a portare l’attenzione del pubblico sull’Algeri reale, quella al di fuori dello schermo, cui le sue immagini tentano di rendere giustizia, nel bene e nel male.


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