Algeri, 2013: la
Casbah, Bab el Oued, Belcourt, Notre-Dame dAfrique, Telemly. Cinque quartieri,
cinque storie diverse che si svolgono in montaggio alternato sulle
caratteristiche terrazze della città. A quarantasette anni da La battaglia di Algeri (1966, Leone doro
a Venezia lo stesso anno), il film di Merzak
Allouache sembra riprendere il filo della narrazione proprio dal punto in
cui laveva lasciata Gillo Pontecorvo -
alle soglie dellindipendenza algerina dalla Francia (1962) - per mostrarci le
contraddizioni e i conflitti interni di una città e di un Paese, lAlgeria, che,
oggi in una situazione apparentemente stabile, sono in realtà fortemente scossi
al loro interno.
Già Pontecorvo nel 1992 era tornato nei luoghi del suo film
per girare Ritorno ad Algeri, un
documentario per la trasmissione televisiva di RAI 2 Mixer, che metteva in evidenza i forti contrasti interni che ancora
agitavano Algeri e il Paese. A cinquantanni dallindipendenza il regista
algerino - nel 1966 stagista sul set
del film di Pontecorvo - avverte lurgenza di tornare a raccontare quella
realtà, amaro testimone di una Casbah che versa in condizioni deplorevoli e di
una città percorsa dalla violenza sotterranea, dove tuttavia emerge anche
unumanità vivace e solidale, della quale sono specchio alcuni dei personaggi.
Nellarco
di una giornata, dallalba al tramonto: un uomo viene torturato perché confessi
qualcosa; un gruppo di giovani musicisti prova la propria musica; unanziana
donna e la sua famiglia vengono sfrattati; un uomo è incatenato in una
minuscola baracca di legno; un altro gestisce il suo piccolo giro di malaffare.
Sui tetti di una città senza tempo, scandite dal ritmo delle cinque preghiere
quotidiane dellIslam, le cinque storie algerine non si risolvono ma si
svolgono, tra cellulari di ultima generazione e tappeti per la preghiera.
Laspirazione alla modernità, il legame inscindibile con la tradizione, la
violenza sommersa, definiscono un ritratto della città crudo e lirico al tempo
stesso.
Luso non esasperato della macchina a mano e più di un riferimento
metalinguistico (la troupe che deve
girare un film sullAlgeri araba; le frasi allusive al cinema) costituiscono il
tramite con il quale Merzak Allouache torna ancora una volta, dopo Naturale! e Il pentito, a portare lattenzione del pubblico sullAlgeri reale,
quella al di fuori dello schermo, cui le sue immagini tentano di rendere
giustizia, nel bene e nel male.
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