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L.A. Dance Project al Festival dei Due Mondi di Spoleto

di Gabriella Gori
  L.A. Dance Project
Data di pubblicazione su web 27/08/2013  

 

Il grande pubblico lo ha conosciuto nel 2010 come coprotagonista di Natalie Portman nel film Black Swan di Darren Aronofsky, il mondo del gossip ha versato fiumi d’inchiostro sulla sua storia d’amore con la bellissima attrice, conosciuta sul set e poi sposata, lo stuolo di ballettomani e ballettofili già sapevano chi era Benjamin Millepied.

Il ballerino e coreografo francese oggi trentaseienne ma già enfant prodige della scena  coreutica per essere arrivato in pochi anni al top di un’invidiabile carriera coronata dall’ambitissima investitura a direttore del Balletto dell’Opéra di Parigi da settembre 2014.

Un’escalation incredibile che dalla nativa Bordeaux lo ha visto approdare a New York nel 1992, entrare nel 1995 nel New York City Ballet, diventarne nel 2001 principal dancer, lasciare il blasonato organico nel 2011 dopo aver collezionato continui successi come interprete di Balanchine, Robbins, Martins, Preljocaj, Bigonzetti, Ratmanski, Weeldon, e essersi cimentato nella coreografia e ultimamente nella regia.

Una seconda vita artistica grazie alla quale Benjamin ha firmato lavori per il New York City Ballet, l’American Ballet, il Mariinsky Ballet, il Ballet de Genève, l’Opéra di Parigi, è stato coreografo residente al BAC, il Baryshnikov Arts Center di New York e creato per Baryshnikov Years Later, ha affrontato la regia con cortometraggi confluiti poi nel 2011 nello spettacolo multimediale Portals, ha scelto la strada di direttore fondando nel 2012 la L.A. Dance Project.

Un piccolo “collettivo artistico” contemporaneo – come lo definisce Millepied – nato a Los Angeles dalla collaborazione con il compositore Nico Muhly, il consulente Matthieu Humery, il produttore Charles Fabius e il produttore cinematografico Dimitri Chamblas, che vive con l’aiuto di sponsor e donazioni private e ha un preciso programma artistico. Mettere in scena nuove opere frutto di incontri multidisciplinari tra musicisti, designer, registi, artisti visivi, registi, coreografi, sostenere la creatività di dancemakers affermati ed emergenti, riproporre quelle creazioni che hanno fatto la storia della danza del Novecento.

Logico dunque non perdere il debutto italiano della L.A. Dance Project ospite del Festival dei Due Mondi di Spoleto con un trittico d’autore messo in scena en première  al Teatro Romano e accolto dal pubblico con applausi, a dire il vero poco calorosi, e qualche fischio.

Fischi che si sono sentiti al termine di Winterbranch, una coreografia di Merce Cunningham del 1964, scelta da Millepied in linea con il principio di riproporre pezzi storici del repertorio novecentesco. In questo caso una creazione straniata e straniante frutto di un furor iconoclastico nei confronti della danza classica e moderna e affidata a corpi che si muovono in virtù di una bio-meccanica naturale accentuata dai suoni stridenti di La Monte Young, i goffi costumi di Robert Rauschenberg, autore anche di un allestimento scenico poverissimo, e le luci spettrali di Beverly Emmons.

Un lavoro senza dubbio importante se riferito al contesto degli anni Sessanta quando Cunningham, padre della danza contemporanea e figlio ribelle della modern dance di Martha Graham, voleva scandalizzare i benpensanti del balletto e rompere i ponti con tutta una tradizione coreografica narrativa e partecipativa e per questo ancora oggi punto di riferimento di tanta danza contemporanea controcorrente. Estrapolarlo però così dalla sua temperie culturale per inserirlo in questa serata spoletina lascia perplessi, pur riconoscendo a Millepied il coraggio di portare avanti una scelta ostica e di mettere in conto il possibile disappunto del pubblico italiano. Quello stesso disappunto già manifestato dagli spettatori parigini al Teatro Châtelet di fronte a Winterbranch, con L.A. Dance Project.

Nel trittico spoletino Benjamin ha proposto in apertura Closer, una sua coreografia del 2006 in prima italiana su musica di Philippe Glass, luci chiaroscurali di Roderick Murray e morbidi costumi di Lydia Harmon. Un lungo e fluido passo a due sul rapporto d’amore che allontana e lega gli amanti fra addii e ritorni espressi con una ‘sintassi’ coreografica e una ‘morfologia’ di passi animati dal lirismo di matrice classica trasfigurato dalla dinamica contemporanea.

In chiusura è stata la volta di Moving Parts, una creazione di Millepied del 2012 al suo debutto italiano su musica di Nico Muhly, l’accompagnamento dal vivo del  violino di Aisha Orazbayeva e il clarinetto di Thomas Lessels, l’installazione visiva di Christopher Wool, i costumi di Kate e Laura Mulleavy (Rodarte) e le luci di Roderick Murra.

Pezzo multidisciplinare, in sintonia con il repertorio del “collettivo artistico” di Benjamin, Moving Parts fonde linguaggio classico e contemporaneo all’insegna di uno stile mescidato che punta all’espressività del linguaggio del corpo giustapponendo la nonchalance del formidabile Charlie Hodges, che sfodera accademici virtuosismi tecnici, e il voluto controllo degli altri sei interpreti de L.A. Dance Project nell’eseguire  legati contemporanei.

Un artista Benjamin Millepied che occorrerà tener d’occhio specie da quando il prossimo anno avrà in mano le redini del celeberrimo Ballet de l’Opéra di Parigi e si siederà su uno degli scranni più ambiti dai direttori di compagnie di balletto.   

 

                                                               

L.A. Dance Project
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