Il
grande pubblico lo ha conosciuto nel 2010 come coprotagonista di Natalie
Portman nel film Black Swan di Darren Aronofsky, il mondo del
gossip ha versato fiumi dinchiostro sulla sua storia damore con la bellissima
attrice, conosciuta sul set e poi sposata, lo stuolo di ballettomani e
ballettofili già sapevano chi era Benjamin Millepied.
Il
ballerino e coreografo francese oggi trentaseienne ma già enfant prodige
della scena coreutica per essere arrivato in pochi anni al top di
uninvidiabile carriera coronata dallambitissima investitura a direttore del
Balletto dellOpéra di Parigi da settembre 2014.
Unescalation
incredibile che dalla nativa Bordeaux lo ha visto approdare a New York nel
1992, entrare nel 1995 nel New York City Ballet, diventarne nel 2001 principal
dancer, lasciare il blasonato organico nel 2011 dopo aver collezionato
continui successi come interprete di Balanchine, Robbins, Martins,
Preljocaj, Bigonzetti, Ratmanski, Weeldon, e
essersi cimentato nella coreografia e ultimamente nella regia.
Una
seconda vita artistica grazie alla quale Benjamin ha firmato lavori per il New
York City Ballet, lAmerican Ballet, il Mariinsky Ballet, il Ballet de Genève,
lOpéra di Parigi, è stato coreografo residente al BAC, il Baryshnikov Arts
Center di New York e creato per Baryshnikov Years Later, ha
affrontato la regia con cortometraggi confluiti poi nel 2011 nello spettacolo
multimediale Portals, ha scelto la strada di direttore fondando
nel 2012 la L.A. Dance Project.
Un
piccolo “collettivo artistico” contemporaneo – come lo definisce Millepied –
nato a Los Angeles dalla collaborazione con il compositore Nico Muhly,
il consulente Matthieu Humery, il produttore Charles Fabius e il
produttore cinematografico Dimitri Chamblas, che vive con laiuto di
sponsor e donazioni private e ha un preciso programma artistico. Mettere in
scena nuove opere frutto di incontri multidisciplinari tra musicisti, designer,
registi, artisti visivi, registi, coreografi, sostenere la creatività di dancemakers
affermati ed emergenti, riproporre quelle creazioni che hanno fatto la storia
della danza del Novecento.
Logico
dunque non perdere il debutto italiano della L.A. Dance Project ospite del
Festival dei Due Mondi di Spoleto con un trittico dautore messo in scena en
première al Teatro Romano e accolto dal pubblico con applausi, a dire
il vero poco calorosi, e qualche fischio.
Fischi
che si sono sentiti al termine di Winterbranch, una coreografia di Merce
Cunningham del 1964, scelta da Millepied in linea con il principio di riproporre
pezzi storici del repertorio novecentesco. In questo caso una creazione
straniata e straniante frutto di un furor iconoclastico nei confronti
della danza classica e moderna e affidata a corpi che si muovono in virtù di
una bio-meccanica naturale accentuata dai suoni stridenti di La Monte Young,
i goffi costumi di Robert Rauschenberg, autore anche di un allestimento
scenico poverissimo, e le luci spettrali di Beverly Emmons.
Un
lavoro senza dubbio importante se riferito al contesto degli anni Sessanta
quando Cunningham, padre della danza contemporanea e figlio ribelle della modern
dance di Martha Graham, voleva scandalizzare i benpensanti del
balletto e rompere i ponti con tutta una tradizione coreografica narrativa e
partecipativa e per questo ancora oggi punto di riferimento di tanta danza
contemporanea controcorrente. Estrapolarlo però così dalla sua temperie
culturale per inserirlo in questa serata spoletina lascia perplessi, pur
riconoscendo a Millepied il coraggio di portare avanti una scelta ostica e di
mettere in conto il possibile disappunto del pubblico italiano. Quello stesso
disappunto già manifestato dagli spettatori parigini al Teatro Châtelet di
fronte a Winterbranch, con L.A. Dance Project.
Nel
trittico spoletino Benjamin ha proposto in apertura Closer, una sua
coreografia del 2006 in prima italiana su musica di Philippe Glass, luci
chiaroscurali di Roderick Murray e morbidi costumi di Lydia Harmon.
Un lungo e fluido passo a due sul rapporto damore che allontana e lega gli
amanti fra addii e ritorni espressi con una ‘sintassi coreografica e una
‘morfologia di passi animati dal lirismo di matrice classica trasfigurato
dalla dinamica contemporanea.
In
chiusura è stata la volta di Moving Parts, una creazione di Millepied
del 2012 al suo debutto italiano su musica di Nico Muhly,
laccompagnamento dal vivo del violino di Aisha Orazbayeva e il
clarinetto di Thomas Lessels, linstallazione visiva di Christopher
Wool, i costumi di Kate e Laura Mulleavy (Rodarte) e le luci
di Roderick Murra.
Pezzo
multidisciplinare, in sintonia con il repertorio del “collettivo artistico” di
Benjamin, Moving Parts fonde linguaggio classico e contemporaneo
allinsegna di uno stile mescidato che punta allespressività del linguaggio
del corpo giustapponendo la nonchalance del formidabile Charlie
Hodges, che sfodera accademici virtuosismi tecnici, e il voluto controllo
degli altri sei interpreti de L.A. Dance Project nelleseguire legati
contemporanei.
Un
artista Benjamin Millepied che occorrerà tener docchio specie da quando il
prossimo anno avrà in mano le redini del celeberrimo Ballet de lOpéra di
Parigi e si siederà su uno degli scranni più ambiti dai direttori di compagnie
di balletto.
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