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Giù la maschera

di Vincenzo Borghetti
  Un ballo in maschera
Data di pubblicazione su web 16/07/2013  

Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi è l’ultima opera in cartellone alla Scala prima della pausa estiva. L’attenzione per questa produzione è stata altissima, condita con tutte le polemiche del caso. Ma raccontiamo le cose per minuto. È noto che Un ballo in maschera è un titolo molto caro al pubblico, e che il pubblico milanese non ha avuto molte occasioni di frequentare negli ultimi anni: se, per esempio, dal 1968 al 1977 l’opera è stata presente alla Scala in cinque diverse stagioni, questo del 2013 è il primo allestimento dopo quello diretto da Riccardo Muti con la regia di Liliana Cavani del 2001. L’attesa non è però il frutto solo di una dieta forzata. La Scala non sarebbe più La Scala se la nuova messinscena di un’opera importante di Verdi non fosse accompagnata da nervosismi, malumori e magari anche aperte proteste dei proverbiali e, quindi, prevedibili loggionisti. Oltre alla solita ansia intorno ai cantanti, che famosamente oggi non hanno più le voci (verdiane) di una volta (mi verrebbe da aggiungere «signora mia!»), c’era anche quella legata alla regia, affidata a Damiano Michieletto, un regista 'moderno' (qui un «signora mia!» ci vuole proprio), colpevole poi di presentarsi alla sua prima prova scaligera dopo aver già mietuto successi a livello internazionale. Questo è troppo, «signora mia!».

un momento
Oscar (Patrizia Ciofi) e Marcelo Alvarez (Riccardo).
Credits:Marco Brescia & Rudy Amisano.

E quando si raggiunge il limite, alle “prime” alla Scala arrivano i prevedibili cori di buuu, accompagnati stavolta però anche dal lancio di volantini auspicanti rispetto per un povero Verdi ingiustamente bistrattato, «signora mia!»Che cosa avrà mai combinato il regista per scatenare questo putiferio? Michieletto ha messo in scena il Ballo in America, come prevede il libretto dopo i famosi problemi con la Censura, ma dal XVII secolo ha trasferito l’azione al giorno d’oggi. Lo spostamento temporale è utile al regista per riportare la vicenda in un contesto più vicino a quello originario di una corte e dei suoi intrighi, come fu invece impossibile realizzare all’epoca della creazione dell’opera. Con Michieletto, Riccardo non ritorna certo Gustavo III di Svezia, ma diventa un candidato alle elezioni circondato da un codazzo di sostenitori e collaboratori; Oscar da paggio diviene la sua giovane segretaria; Renato è il capo della sicurezza, Amelia, sua moglie, è ora una signora middle class in pelliccia; Ulrica non è una zingara, ma una predicatrice/guaritrice con le meches rossicce stile Sally Spectra di Beautiful; il campo solitario del secondo atto è un’orribile periferia frequentata da prostitute; il ballo che dà nome all’opera è una convention elettorale con tanto di folle osannanti, palloncini colorati, scritte al neon, e così via (scene di Paolo Fantin, costumi di Carla Teti, luci di Alessandro Carletti). In sostanza Michieletto riporta sulla scena tutto quello che aveva spaventato la censura e la società ottocentesche, facendo cioè del protagonista un contemporaneo uomo di potere (il 're moderno', la cui abiezione e il cui omicidio erano vietatissimi sui palcoscenici dell’Italia preunitaria), e svelando al contempo il cinismo e lo squallore etico che a questo potere e ai suoi rituali si accompagnano (la convention politica come discendente iper-cialtrona dei balli mascherati di una volta). Essere messi di fronte a quello che non si vuole vedere di solito genera reazioni decise e finanche violente: della censura, nell’Ottocento; di una parte del pubblico, che di quella censura è l’erede, oggi.

un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo.
Credits:Marco Brescia & Rudy Amisano.

Lo spettacolo di Michieletto ha diversi pregi. Innanzitutto i cantanti recitano tutti con disinvoltura e convinzione assolute, merito della direzione attenta del regista, e della sua scelta di trasporre la vicenda, elemento che ha sicuramente facilitato sia gli interpreti nel fare proprie le emozioni e la psicologia dei personaggi, sia, in una parte del pubblico, l’identificazione con quelle emozioni e quella psicologia. L’amore, la disperazione raccontati dalla musica di Verdi assumono così una grande forza drammatica, perché riguardano non solo i protagonisti, ma donne e uomini che sono scopertamente come noi, e mostrano le nostre stesse paure e fragilità, come accade con l’imbarazzo un po’ snob di Amelia costretta dalle vicende a ricorrere alla guaritrice trash Ulrica, o il suo panico di signora perbene nel trovarsi in un bordello a cielo aperto; o come il dolore di Renato di fronte al tradimento della moglie, cantato davanti allo schermo di un PC in uno studio che potrebbe essere quello di chiunque. In alcuni casi Michieletto imposta la sua lettura contro la musica, con risultati à la Stanley Kubrick parimenti efficaci, come nel «Saper vorreste» del Terzo atto, i couplets “leggeri” di Oscar, cantati con rabbia dal personaggio, in risposta alla violenza insistente dei congiurati. Insomma, si tratta di un’ottima regia sotto molti punti di vista. L’unica osservazione che mi sentirei di fare è che a volte sulla scena c’è troppa azione, cosa che impoverisce l’effetto di alcune idee molto convincenti. Per esempio, nella seconda parte del Primo atto, le controscene al canto di Ulrica potrebbero essere ridotte: qualche movimento del coro, qualche crisi epilettica e qualche guarigione di storpi e paralitici in meno, secondo me, gioverebbe alla definizione dell’atmosfera e del personaggio principale, oltre che alla resa drammatica della sua aria. 

un momento
Riccardo (Marcelo Álvarez), Renato (Zeljko Lucic).
Credits:Marco Brescia & Rudy Amisano

Qualche perplessità, devo confessarlo, mi è venuta dalla parte musicale. Nonostante l’abbia molto ammirata in diverse occasioni precedenti (sia sinfoniche sia operistiche), stavolta la direzione di Daniele Rustioni mi è sembrata uniforme e in generale poco ispirata, non incline a trarre vantaggio dalla ricchezza di sfumature della partitura verdiana, caratterizzata quant’altre mai da un’estrema varietà di scrittura. Meglio, invece, la parte vocale, in particolar modo le voci femminili. Sondra Radvanowsky ha offerto un’ottima prova come Amelia. Il ruolo richiede mezzi vocali considerevoli ed elevate capacità espressive. Il soprano ha dominato le difficoltà tecniche del ruolo (Amelia canta per tutto il secondo atto quasi senza interruzioni) mettendosi in mostra anche per la sua statura interpretativa. Patrizia Ciofi ha regalato tutte le finezze e sfumature musicali di cui la cantante è giustamente famosa al ruolo di Oscar. Buona l’Ulrica di Marianne Cornetti, sempre a suo agio anche nella ingrata tessitura grave del personaggio. Meno entusiasmanti le voci maschili. Marcelo Álvarez (Riccardo), nonostante sia migliorato nel corso della serata dopo un inizio difficile, è comunque sembrato non in ottima forma. Non ci sono mai stati problemi, e il cantante ha cantato e recitato con generosità; tuttavia la sera del 12 luglio la voce mancava del corpo che in genere la caratterizza. Gabriele Viviani (Renato) ha bella voce ed è intonato, ma la grande aria del terzo atto, con quella tessitura spaventosa, è ancora troppo difficile per lui. Molto bene Alessio Arduini (Silvano), giovane basso-baritono dallo strumento importante e dalla recitazione spigliatissima.

Buono il successo. Vista la bagarre alla 'prima' il 9 luglio, alla recita del 12 la direzione ha pensato di evitare le uscite singole degli interpreti, decisione che ha fatalmente accorciato gli applausi del pubblico. Alla fine, comunque, una voce (dai palchi? dal loggione?) gridava: «Bravo Michieletto! Basta con Paolo Isotta!». In molti applaudivano. «Signora mia», sarà un segno?

Un ballo in maschera
Melodramma in tre atti


cast cast & credits



(Sondra Radvanovsky)

Amelia (Sondra Radvanovsky)e
Riccardo (Marcelo Álvarez).

Credits:Marco Brescia & Rudy Amisano. Teatro alla Scala di Milano.







 
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