Grandi aspettative, al
Petruzzelli di Bari, per la “prima” italiana del penultimo spettacolo ideato,
coreografato e diretto da “Pina”, come è ormai usuale chiamare la grandissima Pina Bausch, dopo che Wim Wenders le ha reso lomonimo,
commosso, asciutto omaggio cinematografico.
Sweet Mambo (2008) è in piena sintonia con la poetica e gli intenti
dellultimo periodo artistico della Bausch: meno grigie e dolorose
introspezioni psicologiche come, ad esempio, per Blaubart (1977), tratto dal melodramma Il castello del principe Barbablù di Bela Bartók, o per il celebrato Cafè
Müller (1978).
A Bari, il Tanztheater Wuppertal
Pina Bausch, che porta in giro per il mondo le opere della compianta coreografa
di Solingen, ha optato per una realizzazione che presenta tratti caratteristici
più eterei e leggeri.
Il focus è sulla figura femminile, come quasi sempre per la Bausch, ma
qui esso è portato alle estreme conseguenze, con ruolo totalmente ancillare dei
pur bravissimi interpreti maschili. Nella prima parte dello spettacolo, ogni
danzatrice presenta a rotazione se stessa al pubblico, attraverso passi “a
solo” o, più raramente, “a due”, con richiamo perentorio agli spettatori a
ricordare bene il proprio nome e cognome, come per marcare una differenza di
base rispetto alle altre signore in scena.
© Cofano.
Subito dopo questa fase iniziale,
assistiamo a un elegante muoversi di corpi femminili, quasi sempre fasciati da
bellissimi e colorati abiti lunghi di seta (meravigliosi costumi di Marion Cito), ognuno dei quali attiva
la propria cifra espressiva con modi personali e coinvolgenti. Si comprende e
apprezza il lungo e difficile lavoro di Pina Bausch nel comporre uno spettacolo
in cui è la storia personale, il vissuto di ognuna, i differenziati aspetti
psicologici, a divenire psico-dinamici, a proporre una visione unica e
articolata di ciascuna delle grandi personalità umane (prima che artistiche)
dei meravigliosi ballerini del Tanztheater Wuppertal.
Il gioco è impari: sette donne
contro tre uomini. Ma le danzatrici, ognuna a suo modo, esprimono completamente
se stesse proprio in rapporto ai ballerini: ecco allora la sofferenza di una
violenza subita, attraverso unazione dinamica sul vestito e sui capelli, quasi
tirati in un movimento “a compasso” (lei è la bellissima e, inutile rilevarlo,
bravissima Julie Anne Stanzak, in
coppia con Daphnis Kokkinos); oppure
lespressione corporea dello straziante grido di dolore di Julie Shanahan – forse colei che dal punto di vista cinesico e
prossemico più ricorda Pina – nel voler accorrere al richiamo di qualcuno,
essendo però bloccata cinicamente e ripetutamente da due uomini; operazione che
fa il paio con unaltra omologa, nel secondo tempo dello spettacolo, in cui i
soliti due ballerini passano e ripassano con un tavolino sul corpo della stessa
danzatrice.
©
Cofano.
A questi momenti “forti” si affiancano
altri più sereni ed eterei. Complici le scenografie molto “aeree” di Peter Pabst (antico collaboratore della
Bausch), costituite da proiezioni del film tedesco in bianco e nero Der Blaufuchs (1938) e da lunghi teli
bianchi, scossi perennemente da una brezza che movimenta molto la scena, si
agita il gioco della seduzione, a cui le ballerine si lasciano più volte
andare.
Sono i ragazzi a scoprire lentamente
loro le schiene e ad accarezzarle, abbracciarle, baciarle delicatamente, in un
gesto complessivo che risulta essere molto sensuale e naturale e fa emergere
lessenza della vita e il senso del nostro essere al mondo, così come è
tenerissimo, e molto sexy, laccoccolarsi delle donne in comode poltrone,
costituite dai loro partner accovacciati e coperti dai soliti teli. Le stesse
lenzuola che, gonfiate adeguatamente da un potente getto daria, improvvisamente
materializzano una bolla entro la quale vediamo sinuosamente ballare Regina Advento.
Anche alcuni (pochi) momenti di
insieme vengono proposti da Sweet Mambo,
come i movimenti carponi (quasi delle flessioni) con una maschera sui visi
femminili, o lelegante brindisi in abiti da sera, in cui ancora la Stanzak, in
italiano, invita il pubblico a celebrare il momento dicendo a fior di labbra
una parola il cui suono appare più che altro onomatopeico: «brush».
© Cofano.
La seconda parte dello spettacolo
appare un po più vivace della prima, sia grazie a una scelta musicale
(peraltro, come sempre in Bausch, eccezionale nella qualità: da Brian Eno a Tom Waits, da Renè Aubry
a Mari Boine, da Jun Miyake a Ryuichi Sakamoto) in cui i ritmi sono più sostenuti e accentuati, sia
in ragione di una calcolata ripetizione di temi e gesti che il pubblico
riconosce subito, essendo già apparsi nel primo tempo.
Non mancano, in questo inno
allimpalpabile, i riferimenti alla natura e agli elementi più concreti: alcuni
ballerini si rovesciano sul corpo dei recipienti colmi dacqua, precipitando
così in quanto di più consistente e materico possa esserci, cioè corpi, capelli
e abiti zuppi di “vita”.
Il finale è destinato, non a
caso, proprio a Julie Shanahan, il cui corpo si adagia in braccia e veli che
laccolgono in una sorta di meditata e serena pacificazione.
E sono tutti i ballerini (oltre a
quelli citati: Andrey Berezin, Clémentine Deluy, la nostra Cristiana Morganti, Helena Pikon, Michael Strecker e Aida
Vainieri) a venire in proscenio rivolti direttamente agli spettatori per
segnare, in una sorta di meta-comunicazione, la fine dello spettacolo.
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