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Così fan tutte in crociera sul Mediterraneo

Giovanni Fornaro
  Così fan tutte. La scuola degli amanti
Data di pubblicazione su web 16/05/2013  

 

Per il nuovo spettacolo del Petruzzelli di Bari, dal 6 al 14 maggio scorsi, l’allestimento del regista Davide Livermore ha innescato i soliti meccanismi pseudo-critici che scattano, indipendentemente dagli esiti finali, ogni qual volta, in Italia, ci sia chi, come lui, si sforza di attivare uno sguardo “altro” su opere di repertorio, come in questa Così fan tutte.

 

Il problema, ovviamente, è altro che non di rispettare una presunta filologicità anche per gli allestimenti, oltre che per la partitura: questione superata da tempo, e risolta con la semplice constatazione che i parrucconi e le alabarde, oggi, rischiano quasi sempre di annoiare un pubblico che, se da un lato è sempre più affamato di spettacolo dal vivo, dall’altro si aspetta di assistere a rappresentazioni che, in qualche maniera, non si declinino solo al passato ma riescano a leggere e interpretare il presente, gravido di tali problemi - che incombono anche sul teatro e la musica, in specie quando le due arti ne partoriscano, unendosi, una sola - da divenire davvero urgenti e improcrastinabili, anche sul palco.

 

L’opera di Da Ponte-Mozart è, nel senso ora descritto, un ottimo case study: sentimenti di amore e di amicizia vi si intersecano con considerazioni e constatazioni (in finale) sul senso profondo del vivere, in una cornice sospesa di apparente, aulica serenità (villa e giardino delle sorelle Fiordiligi e Dorabella). In realtà, nei rapporti delle signorine con i loro fidanzati covano tensioni profonde, legate alla umana natura di quelle e di questi, che il vecchio filosofo don Alfonso riuscirà a far deflagrare, in un gioco di decostruzione e ricostruzione in cui il dubbio su “chi ama chi” rimane, forse, più allo spettatore che ai personaggi.

 


Foto di Carlo Cofano

 

In questa prospettiva, per Livermore ha senso trasferire il tutto in quello che per i contemporanei è uno dei pochissimi luoghi in cui si riesce a mantenere una sorta di ecologia della mente, essendo “lontani da tutto”, compresi (in primis!) telefonia mobile e reti sociali: una nave da crociera, con partenza da Napoli (ove originariamente si svolge la vicenda) e in tour nel Mediterraneo.

 

L’artificiale alternanza (non presente nel libretto) di albe e tramonti, cioè il dispiegarsi della narrazione in più giorni, è coerente con il percorso narrativo perché appare più verosimile che le due “fedelissime” (e in particolare la riluttante Fiordiligi) impieghino un po’ di tempo e qualche remora nel tradire i due ufficiali Guglielmo e Ferrando con i loro “doppi”, invertiti nello scegliere l’oggetto del desiderio e presentati, da don Alfonso in veste di ammiraglio e da Despina (cameriera e sua complice), come «nobili albanesi». D’altra parte, nel libro di sala, molto ben curato da Guido Barbieri, il famoso musicologo Giovanni Carli Ballola rileva come la storia «prescinde totalmente dalla credibilità realistica e chiede allo spettatore una adesione di tipo intellettuale, il gusto per il puro gioco, per la simmetria, per l’effervescenza delle battute di un testo delizioso, per il capriccioso avvicendarsi delle situazioni, piuttosto che di tipo affettivo e sentimentale».

 

Per tradurre tutto ciò in scenotecnica (curata da Santi Centineo) il regista torinese inventa una sorta di Love boat molto televisiva, con tanto di sigla iniziale proiettata, in ambientazione sottomarina, sul grande schermo-sfondo che poi, per tutta la durata dell’opera, vedrà succedersi in varie forme il mare digitale, i faraglioni capresi e altri scogli, il Vesuvio e una meravigliosa spiaggia, enormi lune e tempeste lampeggianti. La ripresa del mare imita il beccheggio della nave e certamente è intendimento di Livermore che il pubblico si senta parte integrante della scena, come se davvero fosse ospite della nave sulla quale osserva le schermaglie degli amanti mozartiani.

 


Foto di Carlo Cofano

 

L’idea dinamizza di molto l’azione di Così fan tutte, la quale subisce una ulteriore accelerazione grazie a una continua serie di scherzi e facezie fra i personaggi (come di prassi nelle realizzazioni di Livermore), come quello del medico di bordo che viene accidentalmente defibrillato e quindi, deceduto, è gettato in mare, o la scena in cui Despina, travestita da notaio Beccavivi per celebrare il falso matrimonio con gli albanesi, si presenta in travestimento con gambe e vocina artefatta, mentre volto e corpo sono di don Alfonso: un vecchio ed esilarante espediente teatrale che tutti associamo al geniale Dario Fo di Mistero Buffo.

 

I costumi della brava Giusi Giustino sono molto colorati e virano decisamente su gli anni ’50, mentre ha avuto il suo daffare, per mantenere l’equilibrio fra schermo e palco, il light designer Giuseppe Ruggero.

 

Sebbene le messe in scena di Davide Livermore veicolino sempre la discussione, nel bene e nel male, sugli aspetti scenici del melodramma, mai dimenticare quale gioiello prezioso sia la partitura mozartiana di Così fan tutte, nel suo perfetto equilibrio tra bellissime arie, ora sognanti e delicatissime, ora brillanti e scherzose, e recitativi secchi di una tale qualità da rivaleggiare con quelle melodie. Non lo fa Roberto Abbado nel dirigere la rinnovata orchestra del Teatro Petruzzelli, con particolare rilievo degli archi, ottenendone suoni vivi e incredibili e dal vibrante timbro settecentesco, sebbene senza strumenti d’epoca (fortepiano a parte).

 

Il direttore presta estrema attenzione e precisione nell’interpretare la musica del genio di Salisburgo, dalla straordinaria ouverture al fulminante incipit del I atto «La mia Dorabella», dall’andante cantabile di Un’aura amorosa (atto I, scena 12), con una incredibile orchestrina jazz sul palco e un crooner, che in effetti ha la voce di Ferrando, a mimare il canto, fino a reintrodurre la delicata aria del secondo atto (scena 8) Ah, lo veggio: quell’anima bella, di solito espunta dalla prassi consolidata.

 


Foto di Carlo Cofano

 

Poi c’è un meraviglioso Coro del teatro Petruzzelli che, in linea con la filosofia di Abbado, risulta molto “in parte” nelle figure di contorno e perfetto negli attacchi e nell’espressione musicale.

 

Le voci soliste sono assolutamente coerenti con quanto ora rilevato. I migliori sono apparsi Anna Bonitatibus (una perfetta e sensuale Dorabella) e Yijie Shi (Ferrando, bravo anche nella dizione), gli altri sono stati intensamente ed efficacemente impegnati per la buona riuscita dello spettacolo: Elena Monti (l’interessante Fiordiligi della recita cui ho assistito, che si è alternata con Anna Kasyan), Mario Cassi (Guglielmo), Veronica Cangemi (Despina) e Paolo Bordogna (un Don Alfonso corretto vocalmente, molto bravo  e “frizzante” dal punto di vista attoriale).

 

L’unico appunto possibile, strettamente strutturale e comune a qualunque edizione del Così, potrebbe riguardare la durata che, nel complesso e con un solo intervallo, supera le tre ore e mezza. Certo, esistono opere (händeliane, grand-opera, wagneriane, ad esempio) più estese, ma qui l’azione scarseggia, al di là delle seduzioni incrociate, e molto si filosofeggia, con Despina che svolge, per Livermore, la funzione di libero battitore multiplo e don Alfonso sul vero ponte di comando. Comunque, la nave va.



Così fan tutte. La scuola degli amanti



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