Quella
del biopic costruito su una singola tranche de vie in luogo del (noioso)
compendio documentaristico sulla vita di un personaggio celebre, è una formula
cinematografica sempre più frequente nel cinema degli ultimi anni (si pensi al
recente Marilyn, Simon Curtis 2011). Basato
sul libro di Stephen Rebello Alfred
Hitchcock and The Making of Psycho (1990), Hitchcock propone infatti la biografia del regista concentrandosi
sulla realizzazione di Psycho, dalla
scelta del soggetto, alle trattative con la Paramount, le riprese, la battaglia
con la censura e infine linsperato trionfo, cosicché lintero film si
configura come una sorta di fake del making off del film.
Al
di là della cronaca, colto nellintimità del quotidiano, emerge il profilo
umano dietro licona cinematografica, dalle ossessioni personali, allimprescindibile
rapporto con la moglie, che suggerisce la lettura del film pur rimanendo
nellombra, fornì spesso un contributo indispensabile alla filmografia firmata “Hitchcock”.
Molte
le citazioni dellinconfondibile stile registico del protagonista che Sacha Gervasi propone nel suo film:
dalla “cornice” narrativa ricalcata sul modello della celebre serie TV americana
Alfred Hitchcock presenta, alle
inquadrature in plongée care al
regista, che rievocano esempi indimenticabili come quelle della scalinata nel
finale di Vertigo (1958), agli
improvvisi frame in dettaglio,
sinistri presagi della narrazione a seguire, ecc.
Pregevole
inoltre la scelta di inserire nella narrazione anche il personaggio di Ed Gein (Michael Wincott), maniaco omicida che
terrorizzò lAmerica degli anni ‘50 uccidendo donne e riesumando cadaveri per farne
macabri souvenir. Al suo spaventoso caso è ispirato il romanzo di Robert Bloch (1959),
dal quale Hitchcock a sua volta trasse lomonimo film Psycho.
Le
sue incursioni nella narrazione, angosciose proiezioni scaturite dalla mente di Hitchcock, divengono metonimia di tutta la filmografia del regista, nella
misura in cui ne traducono iconograficamente la volontà di esorcizzare i propri
demoni, un supposto e aborrito lato oscuro, respinto a colpi di omicidi: quelli
registrati dalla sua cinepresa.
Gein
diviene così una sorta di amico/nemico immaginario, raccapricciante alter ego del regista, ad esso uguale e
contrario, col quale lo spettatore è portato suo malgrado a empatizzare, in
perfetto stile Hitchcock. Proprio come il Norman Bates di Psycho nel 1960 aveva inizialmente intenerito il pubblico e lignara
Janet Leigh, alias Marion Crane.
Anthony Hopkins nel ruolo del
protagonista, pur mancando inequivocabilmente del physique du r๔le trucco e costumi qui non bastano ad imitare
linimitabile ha lavorato
efficacemente sulla mimica e la postura, riuscendo così a sopperire ai limiti
fisici in modo credibile. Discutibile piuttosto la scelta di affidare una parte
dai connotati inconfondibili a un attore dalla fisionomia altrettanto
riconoscibile. Ammirevole Helen Mirren
nella parte della moglie Alma: ora devota quanto divertita assistente, ora
amante gelosa e risentita. James D'Arcy
aderisce singolarmente al profilo di Anthony Perkins/Norman Bates, condensando
sul proprio volto la stessa combinazione di ingenuità e perversione. Completa
il cast di nomi arcinoti la presenza di Jessica
Biel, qui nei panni di Vera Miles/ Lila Crane, mancata protagonista di Vertigo (rimase incinta durante la
produzione del film), ennesima replicante del tipo femminile adorato da
Hitchcock, amata e odiata dal regista, secondo una visione della carriera
cinematografica piuttosto sessista e improntata al divismo.
La
“bionda alla Hitchcock” incarna lossessione del celebre cineasta per un vero e
proprio tipo femminile, che ritorna compulsivamente di film in film, da Grace
Kelly a Kim Novak, da Tippi Hedren alla stessa Janet Leigh, per citarne alcune,
delineando una lunga serie cui si aggiunge senza soluzione di continuità Scarlett Johansson, qui doppio della Leigh.
Questa come tante altre piccole manie, la gelosia per la moglie, la fame
pantagruelica, le piccole ripicche, lattenzione morbosa ai particolari sul set,
costituiscono altrettanti tasselli composti in un ritratto grazioso e
piacevole, forse non brillante né rivoluzionario rispetto al cliché sul regista britannico, ma
senzaltro piacevole e ricco di una tagliente ironia che sarebbe piaciuta a Sir
Alfred.
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