A.Semu tutti devoti tutti? di Roberto Zappalà è una pièce engagée, unopera impegnata e impregnata di contenuti socio-culturali in cui la danza, nella sua dimensione più propriamente teatrale, rievoca la megafesta di SantAgata a Catania e denuncia la deriva mafiosa di questa affollatissima “tre giorni” in onore della patrona della città siciliana.
Uno spettacolo coraggioso firmato da un coreografo altrettanto coraggioso che non ha paura di demistificare lantico culto religioso della Santa ormai trasformato in un lucroso businesse per organizzazioni malavitose che controllano il giro daffari dellevento e snaturano lo spirito della devozione popolare.
Nato nel 2009 A. Semu tutti devoti tutti? fa parte di Re-mapping Sicily, un ambizioso progetto in cui Zappalà con le armi espressive a lui più congeniali coniuga ricerca coreografica e difesa della legalità in nome di una militanza artistica che gli ha fatto vincere nel 2010 il premio Danza&Danza e ottenere nel 2012 il successo al prestigioso Théâtre de la Ville di Parigi.
Foto di Gianmaria Musarra
Non poteva dunque passare inosservata la presenza nella Rassegna di Danza del Teatro Verdi di Pisa di questo applaudito lavoro che strania, ovvero rende strana la sincera venerazione della Santa siciliana in un contesto in cui altri sono i valori e i motivi che soggiacciono alla messinscena cittadina di una liturgia popolare che, agli inizi di febbraio, si sviluppa tra luminarie, processioni, canti, urla e folklore etneo.
Una sorta di sacra rappresentazione del martirio di SanAgata alla rovescia di cui il coreografo catanese cura la coreografia, la regia metateatrale e lallestimento avvalendosi del supporto drammaturgico, testuale e video di Nello Calabrò e della motivata Compagnia Zappalà Danza.
E lo straniamento è visibile fin dallapparizione di una danzatrice magrissima e nuda, Maud de la Purification, che impersona Agata e viene letteralmente manipolata dalle possenti braccia e mani di sette uomini, Gaetano Badalamenti, Adriano Coletta, Alain El Sakhawi, Roberto Provenzano, Salvatore Romania, Fernando Roland Ferrer, Massimo Trombetta, che la sollevano in trionfo, ladagiano a terra, la fanno rotolare, la cullano, rievocando il supplizio della giovane e la mutilazione dei seni. Seni che campeggiano per le strade di Catania e che Zappalà ricorda appendendo reggiseni bianchi sui fondali e sulle quinte marcando labissale distanza tra antica devozione ‘agatiana da una parte e moderna realtà catanese dallaltra.
Una lacerazione profonda sottolineata dalla morbida voce di Carmen Consoli, che in video e con la chitarra elettrica esegue “il canto delle consacrate” della processione, e dalle brutali immagini dello Stadio di Catania. Un barbarico tifo calcistico richiamato dalla violenza e dal parossismo del ballo tarantolato del settetto maschile che in abiti borghesi di Marella Ferrera e Roberto Zappalà si scatena sulla musica rock dei Dire Straits.
Foto di Gianmaria Musarra
La danza allora diventa protagonista di una pièce in cui la sapiente regia teatrale di Zappalà accoglie volentieri leloquente linguaggio fisico per straniarlo con la furia viscerale con cui i danzatori, in un corpo e corpo continuo, rendono inusuale il vocabolario e il fraseggio contemporaneo e mostrano il paradosso insito nella domanda A. Semu tutti devoti tutti?
Interrogativo che recupera la litania dei fedeli durante le processioni della festa per SantAgata e a cui fa eco con un ennesimo tocco di sicilianità la musica originale eseguita dal vivo dai “Lautari” di Puccio Castrogiovanni con corde, marranzani, fisarmonica, chitarre, basso e percussioni. Nobile presenza acustica di un folklore musicale straniato dalle frasi a raffica, apparentemente senza senso, pronunciate allinizio dello spettacolo da un indemoniato danzatore che, flagellandosi, ripete insistentemente “Dio lo sa” e dà avvio ad una tensione visiva ed emotiva che si scioglie nel finale con lapparizione di Zappalà.
Roberto, rompendo lillusione scenica, legge un articolo di giornale in cui si denunciano le infiltrazioni mafiose nella festa di SantAgata di Diolosà. Il potente capo clan catanese che “facendo sistema” – per usare lespressione di Roberto Saviano - ha trasformato la ricorrenza religiosa siciliana in uno spregiudicato businesse devozionale.
|