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Mumford & Sons

di Michele Manzotti
  Mumford & Sons
Data di pubblicazione su web 20/03/2013  

 

Le note di Babel accendono l'entusiasmo degli oltre settemila spettatori del Mandela Forum di Firenze. Solo che non ci sono le chitarre elettriche e le sonorità tipiche dei grandi concerti rock; ma banjo, mandolino, violino, fisarmonica e chitarra acustica, ovvero tutti gli strumenti del folk di stampo anglo-americano tipici del suono dei Mumford and Sons, i protagonisti della serata di ieri che ha visto i biglietti esaurirsi in poco tempo già in prevendita.

 


Mumford & Sons (Foto di Luca Moggi)

 

È un fenomeno particolarmente interessante quello dei Mumford & Sons, che oltretutto hanno dato ossigeno a un’industria discografica sempre meno ricca di risorse e soprattutto di idee. Solo quattro anni fa i giornali londinesi del pomeriggio parlavano di quattro ragazzi promettenti che arrivavano alle interviste in ritardo dopo essersi buttati giù dal letto. Su YouTube giravano le loro esibizioni nella Terrace Tv di Dublino dedicata esclusivamente agli artisti folk. Ma nessuno, nemmeno loro del resto, aveva messo in conto il successo di Sigh no More. L’album di debutto, che poneva inizialmente il gruppo come uno dei tanti ottimi prodotti della scena folk-acustica londinese insieme ad artisti come Laura Marling e Noah and the Whale, aveva qualcosa di più. Riusciva infatti a intercettare i gusti di molti spettatori oltremanica e specialmente oltreoceano: le sonorità degli strumenti ricordati erano usate con l’energia tipica del rock. I tempi veloci, la ritmica sottolineata dalle corde del banjo o della chitarra dobro piuttosto che da basso elettrico e batteria e un uso dei testi tutt’altro che banale, con citazioni colte.


Questa la ricetta giusta per Sigh no More che si è ripetuta in Babel, uscito a fine 2012 e che presenta un ospite d’eccezione come Paul Simon. Un album forse meno spontaneo, più studiato da parte della produzione della band stessa, per non compromettere un suono personale con errori di valutazione e di presunzione tipici di coloro che devono dare una conferma del talento creativo. Una formula che ha funzionato nuovamente, con il successo di copie e di spettatori nei concerti e che ha portato alla realizzazione di un dvd girato negli Stati Uniti. Niente male per una formazione che pensava che il successo, seppur gradito, non durasse più di qualche mese.


È dunque facile per Marcus Mumford (cantante e chitarrista), Ben Lovett, Country Wiston Marshall e Ted Dwane preparare un repertorio che ha come unica condizione quella di integrare al meglio le canzoni di due album di successo. Ed ecco quindi che da Babel, oltre al brano iniziale che dà il titolo al disco, c’è la proposta di I Will Wait, Whispers in the Dark, Holland Road, Hopeless Wanderer e Lover of the Light con il suo inizio che ricorda le migliori ballate country. Mentre da Sigh no More, ci sono Little Lion Man, Dust Bowl Dance, Awake my Soul, Roll Away Your Stone e The Cave che, nel finale, è uno dei migliori esempi di incontro musicale tra i suoni popolari inglesi e americani. Firenze, abituale meta di tour importato, ha risposto come sempre per i grandi momenti musicali, con l’entusiasmo di chi sa attendere e giudicare i musicisti di razza. Specialmente se vengono dai piccoli club per esplodere nei grandi spazi.


 

Mumford & Sons



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