A distanza di quasi due anni dal debutto di Spoleto (Teatro Caio Melisso, 24 giugno 2011), arriva anche in Toscana (Teatro Verdi di Pisa, 2-3 marzo 2013) lallestimento ronconiano de La modestia. Lopera, rappresentata per la prima volta nel 1999, è la settima parte dellEptalogia di Hieronymus Bosch scritta dallattore e drammaturgo argentino Rafael Spregelburd, di cui Luca Ronconi ha messo in scena anche Il panico (Piccolo Teatro Strehler, 15 gennaio 2013). Lautore si ispira alla tavola I sette peccati capitali eseguita dal pittore olandese, allinizio del Cinquecento. Ognuna delle commedie che la compongono ha come titolo e argomento principale un “nuovo” peccato che lo scrittore collega in qualche modo al “vecchio” peccato capitale. Alla superbia corrisponde, “per contrappasso”, la modestia.
Paolo Pierobon e Fausto Russo Alesi (Foto di Luigi Laselva)
Prendono così vita i “modesti” delle due storie che compongono la pièce. Una è ambientata in un anonimo Paese dellEst europeo e racconta gli ultimi giorni di vita di uno scrittore tubercoloso e di sua moglie. Un medico straniero offre loro il proprio aiuto in cambio di alcuni manoscritti che alla fine scopriamo essere del padre della donna, la quale li sta completando. Laltra vicenda si svolge in un palazzo di Buenos Aires, ma qui assistiamo a più sketches in cui i personaggi alludono continuamente a episodi del loro passato. Lo spettatore non ha abbastanza elementi per ricostruire, se cè, il puzzle dellintreccio e deve darsi per vinto.
Prima che il sipario si apra, quella che sembra una lavagna gigantesca indica personaggi, interpreti e la durata dello spettacolo (2 ore e 45 minuti, senza intervallo). Ununica scena rappresenta la stanza dove si svolgono le due vicende. Otto protagonisti, quattro attori (Francesca Ciocchetti è Ángeles e Anja Terezovna; Maria Paiato è María Fernanda e Leandra; Paolo Pierobon è Arturo e Smederovo; Fausto Russo Alesi è San Javier e Terzov) che passano dalluno allaltro personaggio senza troppi stravolgimenti fisici. I vestiti, come usciti da una telenovela sudamericana, restano sempre gli stessi per ciascuno dei personaggi assegnati agli interpreti. Come riconoscere le due storie? Come capire dove ci troviamo? Innanzi tutto, grazie alle intonazioni vocali degli attori: due modulazioni, due accenti, due timbri che valgono da segno di riconoscimento. Paolo Pierobon, caratterizza il suo Smeredovo con una divertente cadenza russa. Francesca Ciocchetti, nei panni di Angéles, propone un linguaggio plastico, utilizzando degli acuti che scandiscono la frase e ritmano il dialogo. Lo spettatore riesce così a intuire il passaggio da un personaggio allaltro, da una vicenda allaltra.
Un momento dello spettacolo La modestia per la regia di Luca Ronconi
(Foto di Luigi Laselva)
Non tutto però è sulle spalle degli interpreti. Le luci di AJ Weissbar, puntate sul fondale di mattoni verdi della scena, contribuiscono allingranaggio ora alzandosi, ora abbassandosi. Analoga funzione svolgono gli arredi mobili. Un esempio per tutti: Fausto Russo Alesi, nelle vesti di San Javier, si stende sul divano, che a un tratto si sposta, con il sistema di scorrimento su rotaie sempre stato caro a Ronconi, introducendo alla scena successiva. Cambio di luce. Alesi inizia a tossire. Lo spettatore capisce che si è voltato pagina e che di fronte ha il tubercoloso Terzov.
Molto presto però, non appena locchio dello spettatore si abitua a questo tipo di meccanismo, Ronconi lo inceppa. Dopo neanche unora le luci cessano di segnalare i cambi scena, finendo per creare unatmosfera di penombra. Gli arredi aumentano e danno vita ad un unico set. I pochi effetti sonori culminano nel Concerto per piano, op. 40, di Henryk Górecki e nei rumori di sirene e bombardamenti che attraversano le due vicende. Unangosciante colonna sonora unisce, ma al tempo stesso confonde acusticamente i due blocchi narrativi che prima riuscivamo a tenere separati.
Maria Paiato e Paolo Pierobon (Foto di Luigi Laselva)
È da notare però come il testo per primo inviti al disordine. Le battute di un quadro richiamano infatti motivi dellaltro. Se in uno cè stata una perdita di gas, lodore si sente anche nellaltro. Se si definisce «simpatica» una lettera, laggettivo è ripreso successivamente dal plot dellaltra storia e sottolineato. Gli attori, carichi delle caratteristiche di uno dei due personaggi, si trovano improvvisamente nel quadro successivo a dover giustificare la propria condizione. Così Maria Paiato, nelle vesti di Leandra dice che fuori sta piovendo perché il suo doppio (María Fernanda) è stata bagnata nella scena precedente. Nel modo e nel tono con cui si esprime però, la Paiato non nasconde il fatto che quella battuta è stata creata appositamente per giustificare non tanto lo stato del personaggio, quanto quello dellattrice.
Per Spregelburd poi, l'universo muove inesorabilmente verso la catastrofe. Non esiste un processo causa-effetto che governa il mondo (e il teatro). Dalla regia di Ronconi questo concetto trapela, in una chiave che è di ironia disillusa nei confronti dellesistenza, ma anche dello stesso fare teatro. Come a dire che luomo cerca affannosamente e per tutta la vita un perché. Se non lo trova, prende e se lo inventa.
Un momento dello spettacolo con gli attori Maria Paiato, Paolo Pierobon e Francesca Ciocchetti
(Foto di Luigi Laselva)
Lelemento che cattura lattenzione ne La modestia è quindi il lavoro degli attori sul testo, di cui si alimenta e da cui si sviluppa la regia. Il testo teatrale offre la battuta, ma gli attori la distorcono. Lo spettatore è costantemente portato fuori pista da frasi importanti che gli attori invece buttano là o “seminano” rivolti verso il pavimento. Alcune battute concluse di per sé, essi le lasciano aperte. I personaggi si parlano a uneccessiva distanza di sicurezza o innaturalmente vicini. A volte scandiscono la frase come se il resto del mondo fosse sordo, o meglio, stupido; altre ancora la dicono con un tono opposto al senso che, generalmente, una frase di quel tipo ha. María Fernanda rivolta a Terzov minaccia: «Lei si curi!». Nel labirinto della stanza in cui si trovano conducono movimenti tanto precisi quanto inutili, spostandosi tra una poltrona e laltra come le palline di un minigolf domestico.
Alla fine, tra pistole che sparano e non sparano, tra vasi di fiori che si rompono (o che almeno dovrebbero), si capisce perché la modestia è stata eletta a peccato. Anja si confessa: «Io mi sono mortificata [...] mi sono rimpicciolita perché credevo che lui avesse bisogno di brillare. [...] Quando lui ha brillato, finalmente, io ho cominciato a credere di meritare meno di ciò che avevo. [...] quando vado al mercato scelgo la frutta più marcia, quella che non prenderà nessuno». La moglie di Terzov ha vissuto al di sotto delle proprie capacità per far risaltare quelle, se ve ne erano, del marito. Così, si comprende che, come lei, i “modesti” sono coloro che si “rimpiccioliscono”, che vivono uno scalino sotto rispetto a quello che potrebbero, che non si misurano per paura di sbattere nei confini, di testare i propri limiti.
Francesca Ciocchetti (Foto di Luigi Laselva)
Quella di Bosch, di Spregelburd e di Ronconi finisce per essere una sfida allo spettatore italiano. Chi è che non pecca di modestia? Chi dopo unora di spettacolo rinuncia e lascia la sala? Chi resiste, ma fatte due chiacchiere sul marciapiede con gli amici, va a mangiare un boccone? Chi scrive che è normale capire solo una parte? Chi il giorno dopo tenta di farne la recensione, tralasciando attentamente ciò che non ha capito? Nessun assolto.
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