Le intenzioni dichiarate dai responsabili di questo incisivo e divertente spettacolo sono confermate dai risultati sulla scena. Riconoscendo nellopera di Roberto Cossa (autore argentino di ascendenza italiana) la compresenza di realismo storico e metafora della contemporaneità, Giorgio Gallione annota: «Ho gestito il rapporto che cè fra il tragico e il comico, senza andare alla ricerca di una loro mediazione stilistica o narrativa, ma lasciando che gli opposti convivano proprio nella loro contraddizione, sino alle estreme conseguenze». Così La nonna si impone quale vigorosa e pregnante immagine del potere folle e distruttore, incarnato nelle sue forme più aberranti e luttuose. Il caso del generale Videla nellArgentina degli anni Millenovecentosettanta è rievocato nella sua spaventosa evidenza, se pure traslato a una situazione italiana nella quale si specchia per elementi meno drammatici, ma non meno inquietanti; per cui lattualità del testo si verifica nelle risate frequenti e nella partecipazione dello spettatore e nel senso di progressivo svelamento della realtà abnorme che la situazione esilarante presuppone.
Il genere drammaturgico, definito propriamente grotesco criollo, può corrispondere a certe forme di Teatro dellassurdo francese ed europeo. In particolare, nella commedia di Cossa si verifica lo svuotamento progressivo dello spazio scenico dai mobili e suppellettili, in analogia con la pièce di Ionesco Le nouveau locatarie, in cui al contrario i mobili si accumulano a saturazione. Nellambiente dellemigrante, insediato o precario, è vivo il tema del lavoro e del denaro, che lautore enfatizza. I suoi personaggi esprimono «maschere», più che ruoli, sebbene le stratificazioni sociali e psicologiche di ciascuno emergano piuttosto nettamente e conformino persino rapporti da dramma dambiente e di costume, riuscendo a conferire dimensioni a tutto tondo a figure tuttaltro che allegoriche, salvo quella della Nonna. Lattualizzazione sensibile deriva dalla nuova traduzione di Ernesto Franco che ammette allusioni (mai pedanti o didascaliche) alla nostra storia recente. Del resto la contemporaneità spiccava anche nella creazione italiana del 1987, diretta da Attilio Corsini, in cui il ruolo dellorrenda matriarca era sostenuto dallattore Nestor Garay, in funzione forse di una più direttamente riconoscibile connotazione dittatoriale.
Nellallestimento di Giorgio Gallione – dove non si dà per scontata lallegoria, ma la si svela progressivamente e quasi a suspense lungo i due tempi – i moventi più stravaganti e assurdi dellazione, a partire dal mostruoso personaggio, appaiono iperrealistici nei dettagli visivi e surreali nellillogica comportamentale, così applicati ai rapporti familiari dominati dalla figura totemica, simbolica e primitiva della Nonna, onnivora insaziabile.
Foto Bepi Caroli
Lambientazione scenica è concepita da Guido Fiorato nellunico grande vano adibito a cucina-tinello, piastrellato geometricamente e ingombro soprattutto di frigoriferi, contenenti le vettovaglie destinate alla fame della Nonna. I costumi depoca marcano i tipi con note coloristiche accese e accessori vistosi, eccessivi. Stivali rossi e rete da capelli (o fiore allocchiello), ad esempio, per Chico, guappo siciliano recitato da Ugo Dighero, quasi tautologico nellottimismo impotente e nei capricciosi espedienti per la sopravvivenza. Un reliquario a collana segna zia Angela, zitella un po bigotta: sono alcuni distintivi, nella modestia e nel generico cattivo gusto degli altri.
La vicenda inizia a crisi già in corso e avanza per sequenze indirizzate alla rovina e suggellate dalla tragedia. Il regista organizza il gioco dei personaggi accordandolo al ritmo di unurgenza crescente, commisurata al panico che li invade man mano e li disorienta. Usa il tango come catalizzatore musicale nei cambi, a vista e in penombra, delle scene. Così è scandito il crescendo di sgomento e disperazione che a tutti si propaga, specialmente dal secondo tempo. Esclusa la Nonna, una Simona Guarino dalla goffa tracotanza; esuberante, invadente e sfuggente, che terrorizza e condiziona lintera famiglia con le sue ossessive richieste di cibo. Ella grufola e inghiotte, sbraita parole dordine come «Fame» e «Appetito» e sgrana stentorea litanie di vivande. È così selvaggiamente avida, da manifestare lenergia dun elemento naturale fatalmente incontenibile. Un nemico che rende man mano impotenti (e poi annienta) tutti i parenti, a partire da Carmelo (Enzo Paci) onesto laborioso immigrato siciliano che provvede alla moglie Maria e alla figlia Marta, alla zia Angela (Barbara Moselli) e al fratello Chico. Questi, pure nellignavia del suo carattere, si dimostra lagente più importante nello scontro con la forza avversa. Rappresenta lelemento a sua volta irrazionale e fantasioso e costituisce il polo alternativo negli scambi di gruppo. Vanta talenti di compositore di tango, ma poltrisce; rifugge da fatica e responsabilità. Virtuosistico parassita, escogita varie paradossali soluzioni per arginare e poi eliminare la malefica presenza della Nonna. Organizza le sue nozze con un amico commerciante, convincendolo con unallettante promessa di eredità; propone di condurla a «passeggiare» sulla tangenziale per sfruttarla. Indi, ricorre allavvelenamento. Frattanto, col crescere dellindigenza, il mobilio è pignorato; la giovane, cagionevole Marta si prostituisce, coperta dalla pietà della madre e dallonta del padre. Zia Angela muore accidentalmente per il veleno, al quale la Nonna resiste, infischiandosene anche dellictus che paralizza il promesso sposo e lo riduce a mendicare sulla carrozzella (un Mauro Pirovano dalle risibili velleità amatorie), della morte del figlio Carmelo e della nipote (Mariagrazia Pompei), silenziosa nel generoso sacrificio. Costretta ad abbandonare la casa, sola, resta Maria, scolpita in mestizia esemplare da Rosanna Naddeo. Infine Chico esegue al pianoforte un ultimo tango, funebre, e si impicca col cavo dun lampadario. La grande stanza ormai vuota risuona di un macabro squallore, in cui è più lancinante la nostalgia per la piccola comunità dispersa. La stessa che poco prima, nel marasma, nel conflitto e nel bisogno era stata, a modo suo, felice.
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