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E la chiamano estate… perché?

di Elisa Uffreduzzi
  E la chiamano estate
Data di pubblicazione su web 15/11/2012  

«E lo chiamano film?»: così esordisce uno dei giornalisti in sala, raccogliendo i consensi di buona parte della platea che assiste alla proiezione riservata alla stampa, già a metà film esasperata oltre ogni limite da un film che si accartoccia su se stesso dopo solo pochi minuti di proiezione.


Isabella Ferrari e Jean-Marc Barr in una scena del film

Dino (Jean-Marc Barr) e Anna (Isabella Ferrari), quarantenni, stanno insieme ma non fanno sesso. Si consolano come possono. Lui frequentando locali di scambisti e prostitute, lei trovandosi un toy boy, giusto il tempo di pentirsene. Dino e Anna parlano poco e anche quando lo fanno non comunicano, però – ci e si dicono – si amano tanto. E allora perché fanno così? Non lo sanno. Ricapitoliamo: non parlano, non fanno sesso, non sanno perché… e allora ci chiediamo anche noi il perché del film. Se il fantasma dell’incomunicabilità antonioniana aleggia sulla non-storia narrata, tuttavia ciò che altrove il maestro ferrarese ha saputo dire magistralmente, qui non sussiste. In conferenza stampa il regista Paolo Franchi chiosa laconico che l’Arte è egoista e quindi il suo film non è fatto per essere capito da tutti. Ci sembra francamente un po’ troppo comodo sottrarsi a ogni dovere esplicativo, facendosi scudo del proprio presunto statuto artistico. Del resto se un film costato più di un milione di euro, che vanta un cast di professionisti di tutto rispetto (Isabella Ferari, Jean-Marc Barr, Filippo Nigro, Luca Argentero), naufraga nelle sue stesse acque e se durante la proiezione tre quarti della sala ride sfacciatamente di fronte a scene che si vorrebbero drammatiche, evidentemente qualcosa non ha funzionato. Poiché la regia di Franchi, insieme con la fotografia di Cesare Accetta e Enzo Carpineta, sono di notevole pregio, per non dire brillanti – vedi la soluzione del flou, che torna ogniqualvolta Dino e Anna si trovano insieme, a tradurre in immagine la dimensione onirica nella quale ciascuno trasfigura ed idealizza l’altra, ma anche le inquadrature pittoriche di Anna sulla spiaggia, bagnata dalla luce della luna – non rimane che una risposta.


Eva Riccobono e Anita Kravos in una scena del film

Per esclusione diremo che evidentemente la falla va ricercata proprio nei dialoghi, che effettivamente destano il riso proprio dove vorrebbero essere drammatici. Un esempio per tutti: Anna a Dino «Sei stanco?» e lui le risponde «Non sai quanto!»… peccato che lo scambio di battute avvenga subito dopo un’orgia alla quale Dino ha partecipato. Il titolo E la chiamano estate rievoca l’omonima canzone (1965) di Bruno Martino, sottolineando così l’assenza dei protagonisti l’uno per l’altra: fisicamente nella stessa stanza eppure lontani anni luce e incapaci di fare l’amore insieme. L’uno in un locale per scambisti, lei a casa ad aspettarlo consapevole delle sue perversioni, lontani fisicamente, eppure spiritualmente vicini: «mi sono sempre sentita sua, anche quando ho scoperto le porcate che faceva», dirà Anna allo psicanalista. In questo gioco di sottrazione, di presenza-assenza, sta tutto il dramma psicologico ed emotivo di Dino e Anna. Un nucleo narrativo di per sé solido e fecondo di riflessioni, eppure esso stesso non funziona, proprio per il modo in cui lo sviluppa la sceneggiatura, “ammazzandolo” con dialoghi al limite del ridicolo. Così anche la ripetizione dell’inquadratura della lettera che Dino scrive ad Anna prima di suicidarsi – con la voce di Dino in sottofondo intento a leggere le sue stesse parole – che torna ossessivamente nel corso del film, invece di assumere il chiaro profilo di una cifra stilistica – volta, come spiega lo stesso Franchi, a restituire una temporalità “che ritorna”, debitrice di Bergson – finisce banalmente per esasperare il pubblico e annoiarlo, perché non supportata da una struttura semantica sufficientemente convincente. E poi anche la ripetizione ha un limite… Resta ancora quella domanda in sospeso: perché?




E la chiamano estate
cast cast & credits
 


La locandina



 
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