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Il Paisiello tra Oriente e Occidente

di Giovanni Fornaro
  Corporalità
Data di pubblicazione su web 10/09/2012  
                                 

Fa piacere constatare come una situazione dello spettacolo dal vivo ormai degradata e quasi priva di risorse, come quella locale e nazionale, possa produrre un impegno straordinario, foriero, nei casi più virtuosi, di esiti di alto livello artistico e umano.

 

È quanto viene da considerare assistendo allo spettacolo inaugurale del Giovanni Paisiello Festival 2012 inserito, come anche l’anno scorso, nella rete dei festival di musica antica (musicaanticainpuglia.it) curata da Puglia Sounds. Si tratta, tra l’altro, di una prima assoluta per quanto attiene le connessioni fra coreutica e repertorio di Paisiello, benché Corporalità, su brani in parte differenti, sia stata rappresentata a Gmünd già dal 2008.

 

La pièce è uno spettacolo sperimentale di teatro-danza: un’espressione che tende alla più profonda interrelazione fra mente e corpo, fra volontà e possibilità. 

 

La coreografa, regista e danzatrice Yvonne Pouget, artisticamente residente a Monaco di Baviera e apprezzatissima sulla scena internazionale, attiva un sincretismo polimorfo fra le esperienze nel teatro giapponese contemporaneo, in particolare nella sua articolazione Butoh, e tecniche di danza classica e contemporanea, in una chiave altamente suggestiva perché colpisce al cuore del fattore umano, sul palco come in sala, in modo da creare un fil rouge emozionale teso costantemente fra danzatori e pubblico. La pièce si svolge in continuo dialogo fra due ballerini-attori (con lei, il bravo David Russo), articolato in una serie di quadri, in parte autonomi, in qualche caso connessi fra loro senza soluzione di continuità.

 

Il primo quadro, con la sola Pouget, concentra l’attenzione (anche delle luci in sala, nel magnifico chiostro del Museo Diocesano di Arte Sacra di Taranto) su alcuni aspetti tipici del Butoh: il corpo completamente dipinto di bianco, i ghigni grotteschi derivanti dal teatro classico giapponese, il susseguirsi di movimenti, lentissimi e controllati, ad altri velocissimi e frenetici, in una sorta di catarsi, che parte da una nera maschera, sottolineata da una rumoristica musica elettronica, sul modello di Karlheinz Stockhausen. Si passa poi a Russo, solo sul palco, a danzare, sempre con lentissimi ma muscolari gesti, la bellissima e struggente aria iniziale dell’opera di Paisiello Il Pulcinella vendicato nel ritorno di Marechiaro, con la straordinaria voce di Pino De Vittorio a creare un’atmosfera sospesa e rarefatta, rotta solo dalla sezione di veloce tarantella del brano, in cui il ballerino compie evoluzioni virtuosistiche, ma più ortodosse dal punto di vista coreografico.

 

Yvonne Pouget dedica, in alcuni suoi spettacoli, particolare attenzione al barocco, non solo in musica ma anche nei costumi. È il caso del quadro successivo, ove la sua mimica facciale a tratti estrema si coniuga con movimenti austeri e flemmatici, compressi in una palandrana con mostrine e bottoni in quantità, utile, però, a mimare prima il dolore, poi una sorta di parto (col ballerino che emerge da sotto, in chiara posizione fetale) che molta emozione ha suscitato tra il pubblico. La genialità è, altresì, nella scelta dell’accompagnamento musicale: una nota tarantella del Gargano, sempre con la magnifica voce del cantante di Leporano, parzialmente rielaborata e seguita da una seconda aria dal Pulcinella di Paisiello.

 

Lo spettacolo prosegue poi con gli altri quadri, in cui i due artisti si alternano a figurare ora il repertorio barocco, ora quello più legato alla tradizione folklorica pugliese, con ampi inserti di musiche elettroniche, ma sempre passando attraverso una urgenza espressiva che muove dai recessi profondi della psiche e dell’emozione: dalla staticità di Russo, in una sorta di minatore in costante posizione inclinata, al rotolio perenne, in posizione orizzontale, di Pouget, quasi completamente nuda e dipinta di bianco in tutto il corpo, che sfocia in un’intensa emissione di dolore oscuro, col contrasto sonoro della tradizionale Io tengo nu’ suricillo.

 

La pièce termina con un movimento in duo, in cui il dialogo coreografico, lento e intenso, è sottolineato da una delle più dolci canzoni napoletane So’ le sorbe le nespole amare di Leonardo Vinci che, sebbene sia stata scritta per l’opera buffa Lo cecato fauzo (1719), è una delle canzoni che il pubblico ha consacrato nel generoso olimpo della tradizione più acclamata, qui esaltata dalla voce di Pino De Vittorio e dalla chitarra classica e violoncello.

 

Un lunghissimo applauso ha segnalato l’alto gradimento del pubblico per questo spettacolo inaugurale del festival, diretto da Lorenzo Mattei sotto l’egida dell’Associazione Amici della Musica “Arcangelo Speranza”, per il quale esprimiamo un solo, sincero rammarico: che non fossero presenti in vivo De Vittorio e i suoi splendidi musicisti. Sarebbe stata una grande possibilità aggiuntiva di godere di una realizzazione di grande rilevanza artistica e umana.



Corporalità



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