Nei primi anni settanta, gli studenti di un liceo parigino si confrontano con londa lunga del maggio 1968 e le contestazioni studentesche che caratterizzarono quella stagione. Fortemente influenzati da quegli ideali, tenteranno di imitarne le modalità di protesta. Entusiasti di quella mitologia, con larrivo delle vacanze estive intraprenderanno un lungo viaggio con pochi programmi e tante aspettative. Finite le vacanze, per tutti arriverà il tempo di pensare al futuro. Qualcuno saprà trovare un compromesso tra realtà e ideali; qualcun altro resterà vittima delle proprie illusioni.
Olivier Assayas realizza un film incentrato sulle utopie post-sessantottine, carico di tutti i luoghi comuni del caso, dallabbigliamento alla musica, allarte e alle pseudo-correnti artistiche che in quegli anni abbondavano. Ma anche la droga, lalcol, la libertà sessuale e in generale la controcultura che si andava sviluppando, con tutto quello che letichetta sottintende.
Accurato nella ricostruzione di ambientazione storica e costumi, con una fotografia azzeccata dai colori pastello come quelli di una vecchia polaroid, non si può dire che Après mai sia mal confezionato, ma un film così carico di cliché finisce per risultare insincero e mettere in ridicolo gli stessi ideali che celebra. In realtà si avverte lintenzione registica di sfatare in parte quei miti, nello stesso momento in cui vengono esibiti; come se lAssayas adulto guardasse con disincanto e una certa tenerezza una vecchia istantanea dellAssayas adolescente, cresciuto negli stessi anni che qui ci racconta. Ne è prova il fatto che dal radicalismo di partenza, ciascuno dei giovani protagonisti dovrà fare in parte marcia indietro e chi non lo farà verrà punito con la morte. Cè insomma indubbiamente una matura consapevolezza dellautore di quanto quei miti, pur non rinnegati, siano in parte stati smentiti e in ogni caso ridimensionati dalle stagioni a venire.
In un film ambientato nella Parigi di quegli anni non poteva mancare la riflessione sul mezzo cinematografico. È lepoca del cinema engagé, con lambizione di “educare” le masse popolari e Gilles (Clement Metayer), il protagonista principale – che si profila dunque come una sorta di alter ego dellautore – mette in dubbio lammissibilità di un linguaggio convenzionale per un cinema che si professa rivoluzionario. Qualcuno risponderà che per il cinema destinato a informare ed educare un popolo limportante non è la forma, ma il contenuto, che non si tratta insomma di una questione di estetica. Sarà, ma Assayas non sembra aver fatto sua né luna, né laltra soluzione: sia la forma che il contenuto restano tuttaltro che rivoluzionari, riproponendo lennesima rivisitazione di una stagione passata.
|
|