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Quando la tradizione significa novità

di Gabriella Gori
  The Firebird
Data di pubblicazione su web 04/09/2012  

 

È inutile nasconderlo ma fa un certo effetto a distanza di pochi giorni trovarsi nei templi della danza classica russa e respirare secoli di storia coreografica e ballettistica. Un’emozione che lascia il segno e fa capire tante cose, prima fra tutte l’amore che i russi nutrono per l’arte tersicorea e il seguito che questa ha avuto e ha tuttora tra il pubblico. Un pubblico entusiasta che corre ad applaudire per l’ennesima volta un dittico in onore di Stravinsky e dei Balletti Russi di Diaghilev al Teatro Mariinsky di San Pietroburgo con il Mariinsky Ballet e un recital di Morikhiro Ivata con il Bolshoi Ballet al Teatro Bolshoi di Mosca. 

 

Due eventi che mostrano quanto in Russia la danza e il balletto siano popolarmente elitari e facciano parte del DNA di una cultura prima imperiale, poi sovietica e ora russa che senza soluzione di continuità riflette una secolare e prestigiosissima tradizione, continua a considerarla il suo fiore all’occhiello e ha il privilegio di vederla generosamente finanziata dallo Stato.

 

Inserita nel XXmo Music Festival delle Stars of the Withe Nigths di San Pietroburgo e sostenuta dal Ministero della Cultura, la serata al Teatro Mariinky ha visto il corpo di ballo portare in scena Le Sacre du Printemps e The Firebird di Stravinsky con l’ottimo complesso orchestrate del Teatro diretto da Mikhail Agrest

 

Nel pieno rispetto della più aulica tradizione dei Balletti Russi i due capolavori sono stati presentati nelle loro versioni originali con la coreografia de Le Sacre di Nijinsky ripresa da Millicent Hodson e l’allestimento scenografico e costumistico di Nikolas Roerich ricostruito da Kenneth Archer. The Firebird di Fokine è stato invece recuperato da Isabelle Fokine e Andris Liepa con costumi e scene di Anna e Anatoly Nezhny realizzati dai bozzetti originali di Léon Bakst e Fokine.

  

Un’occasione per continuare a rendere omaggio alla compagnia diaghileviana che, apparsa al Théâtre du Châtelet di Parigi il 19 maggio 1909, rivoluzionò le regole del ludus scaenicus e in quattro lustri realizzò una svolta epocale nella musica, nelle arti figurative, nella danza e nel balletto.

 

Terza prova d’autore di Nijinski dopo L’Après-midi d’un faune, e Jeux, Le sacre du printemps è la messinscena di un rito propiziatorio nella Russia pagana che debuttò al Théatre des Champs-Élysées il 29 maggio 1913 suscitando scandalo per la tematica, il sacrificio di una vergine, l’Eletta, alla Madre Terra, per la musica, ricca di dissonanze e sonorità stridenti e percussive, e per la coreografia chiaramente dissacrante e antiaccademica. Un’eresia secondo i dettami del balletto ottocentesco a cui contribuirono anche la scenografia e i costumi del pittore Nicolas Roerich che parlò di «quadri della Russia pagana».

 


Una scena da Le Sacre du Printemps
(San Pietroburgo, Teatro Mariinsky)

Nella prima parte del balletto si assiste al fiorire della primavera che coinvolge l’intera comunità con gli uomini che si abbandonano a danze sfrenate, inebriati dalla voluttà di profumi e colori. In questo vitalismo panico il “saggio” viene portato da un corteo festante nel luogo in cui si compirà il rito della fertilità, mentre tutti come in trance percuotono la terra. Nella seconda parte con il buio della notte le fanciulle iniziano i loro balli rituali e tutti attendono l’arrivo dell’Eletta che danzerà fino all’estremo prima di venire sacrificata in un tripudio di vita e di morte.

 

Ancora oggi di fronte a Le Sacre restiamo stupiti dalla novità coreutica e coreografica messa a punto da  Nijinskij che conosceva l’euritmica di Dalcroze ed ebbe come assistente alla coreografia Marie Rambert. Una “dalcroziana” che lo aiutò a realizzare un movimento naturale partendo dall’en dedans e da passi e figurazioni (cerchi, incroci, spostamenti centripeti e centrifughi ripetuti a canone) che presentavano in nuce i futuri cambiamenti della modern dance americana e della Ausdruckstanz europea.

 

Palesi innovazioni che avevano anche una matrice filosofica nell’imperversare dello spirito dionisiaco nietzscheano e nel tema della “fedeltà alla terra e al corpo” che coreograficamente si concretizzarono nel rifiuto della cosiddetta danza en vol per la danza par terre con cui il corpo riprende il proprio peso, appoggiando interamente i piedi sul pavimento.

 

Un formidabile balletto “biologico”, come scrisse il musicologo Jacques Rivière, e anche “nietzscheano“, che riprende vita grazie al Mariinsky Ballet che lo interpreta in modo impeccabile insieme ad Anastasia Petushkova nel ruolo dell’Eletta, a Lyubov Kozharskaya al suo debutto nella parte del Saggio, e a Soslan Kulaev in quella dello Shamano.

 

Ma al di là dei dovuti e doverosi riconoscimenti, quello che colpisce di questa Sagra, come del resto del successivo Uccello di Fuoco, è la maestosa sontuosità dell’allestimento e la perfetta armonia compositiva e performativa. Una magnificenza e al tempo stesso una cura nella restituzione teatrale che sono visivamente frutto di una regia attenta, precisa che rispetta la filosofia diaghileviana della Gesamkunstwerker.

 

“L’opera d’arte totale wagneriana” fondata su una concezione unitaria e paritaria degli elementi che costituiscono uno spettacolo e che nella mise en danse mettono sullo stesso piano coreografia, scenografia e musica per dare vita a creazioni in cui la difficilis facilitas, di origine classica nei presupposti, diventa con i Balletti Russi moderna nei risultati.

 

E la stessa identica percezione si ha di fronte alla sfarzosa mise en espace dell’Uccello di Fuoco, il balletto di Fokine ispirato all’immaginario fiabesco russo e ambientato nel giardino incantato del mago Kaščej dove gli alberi dalle mele d’oro celano le principesse prigioniere dal mago. Il Principe Ivan, entratovi per caso, si imbatte in un Uccello di Fuoco che viene catturato dal Principe. Questi promette di liberarlo a patto di avere una penna che ha il potere di proteggere dagli incantesimi del mago.

 

Nella notte il giovane vede uscire dal castello le principesse che iniziano una danza con i frutti d’oro e si innamora della più che bella che gli narra di come il mago sequestri i viaggiatori e li tramuti in pietre. All’alba la principessa lo prega di lasciarla rientrare al castello per evitare le ire di Kaščej ma Ivan la segue e subito arriva uno stuolo di mostri, le guardie del mago, che aggrediscono il Principe. Kaščej, furioso, lancia il suo incantesimo ma Ivan, memore dei poteri della penna, chiama l’Uccello di Fuoco che costringe i mostri e il mago a danzare fino a che non cadono a terra esausti. Poi svela al giovane che l’anima del mago è dentro un enorme uovo e gli ordina di impossessarsene e di romperla. Ivan rompe l’uovo e come per incanto Kaščej muore, il castello sparisce, le principesse sono libere e Ivan può coronare il suo sogno d’amore mentre l’Uccello si allontana.

 

Un Uccello diventato leggendario grazie a Fokine e al tutù rosso fuoco, che esprime con la sua danza astratta sulle punte e tutta en vol i sentimenti di una creatura umanizzata e si contrappone alla coralità emotiva delle danze delle principesse e dei mostri guerrieri, alla pantomimica caratteriale del Mago, alla consistenza del ruolo maschile del principe Ivan. Non un semplice porteur alla maniera del balletto romantico ma un personaggio che subisce il fascino del magico Uccello nei passi a due e di fronte ai suoi elettrizzanti voli. Voli che Yulia Stepanova rende alla perfezione riuscendo dopo un’iniziale titubanza, forse dovuta al suo debutto nel ruolo, a dare anima ai temibili virtuosismi degli enchaînements infarciti di piccoli e grandi salti, di turbinose pirouettes, di finezze espressive nell’uso della testa, costretta a muoversi mimando la scattosità di quella degli uccelli, o delle braccia che riprendono il movimento delle ali.

 

Una convincente performance a cui risponde quella altrettanto lodevole di Ilya Kuznetsov, il Principe Ivan, di Vadim Belyaev, al suo debutto nella parte di Kaščej, di Yekaterin Mikhailovtseva, la Principessa, e dell’intero corpo di ballo femminile nelle scene delle danze regali o maschile in quelle movimentate ed energiche dell’esercito del mago. Il tutto presentato come da copione con un’accuratezza interpretativa e un’opulenza dell’allestimento scenografico e costumistico da lasciare senza fiato.

 

Una scena da The Firebird
(San Pietroburgo, Teatro Mariinsky)
 

E se al Teatro Mariinsky di San Pietroburgo è stato il rispetto per la tradizione a farla da padrone, al Teatro Bolshoi di Mosca è stato il desiderio di festeggiare con gioia e un pizzico di malinconia l’addio alle scene del quarantaduenne. Il formidabile ballerino giapponese in forze al Bolshoi Ballet dal 1996, sposato con la ballerina Olga, padre di due figlie e ormai – come dicono i suoi compatrioti – “russizzato”.

 

Famoso per le sue incredibili doti tecniche fra cui il sorprendente ballon e la notevole vis scaenica che lo hanno portato ad interpretare con naturalezza il repertorio accademico, Morikhiro ha affiancato alla carriera di danzatore quella di coreografo che gli ha consentito di realizzare il felice incontro tra le regole e il codice della danza classica e quelli delle arti marziali. Un raffinato connubio particolarmente apprezzato da moscoviti e giapponesi accorsi in gran numero al Bolshoi per questo emozionante adieu immortalato da numerose telecamere nel foyer, in platea e nei palchi.

 

Intitolato Stars of the Stars: Recital di Morikhiro Ivata con il Bolshoi Ballet, di cui è stato a dir poco rocambolesco riuscire a decifrare il programma in caratteri cirillici e senza traduzione in inglese, il recital ha visto nella prima parte la presentazione di una coreografia di Ivata, mentre nella seconda sono stati proposti in un piacevolissimo ed elegante divertissement una serie di pezzi classici, neoclassici e moderni con i ballerini del Bolshoi e lo stesso Morikhiro.

 

Ad aprire la serata è stata Tamashi, una celebrazione del samurai e dei principi che regolano la sua filosofia di vita attraverso un intenso melologo recitato da un bravissima attrice russa, l’accompagnamento dei tamburi giapponesi del gruppo Kodo e la danza maschile di samurai “russizzati”.

 

Diviso in quadri, il balletto nelle atmosfere, nelle luci e nelle video proiezioni, richiama la spiritualità dei guerrieri giapponesi ma al tempo stesso rende la loro forza fondendo danse d’école e arti marziali in un turbinio di salti, giri, pose, che esaltano la virilità e la nobiltà dell’anima samurai. Anima interpretata dai formidabili danzatori del Bolshoi capitanati dall’energico Ivata, autore della coreografia.

 

La seconda parte della serata ha avuto inizio con una “classe maschile” in onore e ricordo del maestro Bondarenko con dieci ballerini, compreso Morikhiro. Accompagnati dal vivo da un pianista i ‘bolshoiniani’ hanno presentato il centro di una master class mostrando l’altissimo livello di preparazione in un crescendo di difficoltà culminato nei grandi salti, nei manèges e nelle variazioni del repertorio ottocentesco che hanno esaltato il pubblico.

 

Terminata la “classe” è iniziato un gala vero e proprio con passi a due e soli in cui si sono avvicendati i ballerini e le ballerine del Bolshoi in ben undici pezzi a cominciare dal delizioso duetto classico Valzer di Moskovsky con due sopraffini interpreti. Sopraffino è stato anche il danzatore che ha ballatto un solo eroico su musica di Skriabin, seguito da un liricissimo passo a due neoclassico su musica di Tursunov suggellato dal bacio finale tra i due magnifici protagonisti.

 

Non è mancato neppure il tocco folclorico con Gopak, la strepitosa e acrobatica danza del cosacco interpretata da Ivata su musica di Soloviev-Sedoy, a cui ha fatto seguito un magnifico duetto classico-contemporaneo intitolato Acero di Lovland, l’intenso solo intitolato Prigioniero su musica di Mendelshonn con un interprete superlativo e il frizzante Fiamme di Parigi di Asafiev con due eccezionali protagonisti che con brio e nonchalance regalano strabilianti virtuosismi accademici.

 

E in questa serata di addii, omaggi e ricordi non è mancato il tributo a Visotski famoso e amato cantautore russo ricordato da un ballerino che “piega” l’algida danza classica ad esprimere intense emozioni accompagnato dalla roca voce di Visotski e dal suono inconfondibile della balalaika. Un suggestivo intermezzo seguito da un bel passo a due di sapore balanchiniano su Il Secolo d’Oro di Shostakovich e dal celeberrimo solo di Paganini di Rachmaninov interpretato da un favoloso danzatore e dalla sua Musa.

 

In chiusura Morikhiro Ivata ha danzato Grumo, un fuoco di fila di salti acrobatici classici e marziali che strappano applausi a scena aperta e decretano lo straordinario successo di questo spettacolo. Uno spettacolo che resta impresso anche per il modo caloroso e sincero con cui alla fine Morikhiro è stato sommerso da una nuvola di fiori dei colleghi e per quello spontaneo e genuino di lui che si è congedato dicendo “Spassiba Bolshoi”.

Le Sacre du Printemps, The Firebird, Stars of the Stars


Le Sacre du Printemps. Scene dalla Russia pagana in due parti
cast cast & credits
 


The Firebird. Fiaba russa in due scene
cast cast & credits
 


Stars of the Stars
cast cast & credits
 


Le Sacre du Printemps con il Mariinsky Ballet


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 


Il ballerino Morikhiro Ivata


 

 

 

 

 




 

 
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