drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Il dramma dell’uxoricida

di Gianluca Stefani
  È stato così
Data di pubblicazione su web 15/04/2012  
 

Portare in scena un monologo implica sempre una buona dose di coraggio. Quando poi i monologhi si presentano uguali a sé stessi dall’inizio alla fine, senza un fremito, senza un cambio di passo o un colpo d’ala di regia, allora il coraggio diventa temerità. Parrebbe il caso di È stato così di Valerio Binasco, adattamento dell’omonimo romanzo breve di Natalia Ginzburg, protagonista Sabrina Impacciatore.

 

Una noia, verrebbe da pensare. Non tanto per il testo della Ginzburg, che pure dimostra gli anni che ha (la prima edizione Einaudi è dell’immediato dopoguerra); quanto per la regia volutamente statica di Binasco. Che non concede nulla, in apparenza almeno, allo spettatore.

 

Si entra a teatro e il sipario già aperto svela tutto ciò che si vedrà per un’ora filata di spettacolo: un pannello rivestito con una tappezzeria a fiorami pastello, una sedia, un microfono con asta collegato a un amplificatore a vista, una lampadina penzoloni, due faretti. Poche note di pianoforte ed entra la Impacciatore, si siede. Spalanca occhi e bocca, le gambe leggermente divaricate scoperte dal vestito corto, le braccia aderenti al corpo. Immobile, senza mai scomporsi, apre il rubinetto della coscienza in una confessione fiume interrotta appena da pause strozzate. È una donna che ha amato, non corrisposta. Una donna-bambola sporca di trucco, immobilizzata nel fatalismo di quel gesto, l’omicidio, compiuto sul marito, da sempre innamorato di un’altra. E ancora: un figlio perso, e bocconi amarissimi mai davvero inghiottiti.

   

È stato così di Valerio Binasco con Sabrina Impacciatore
 

Bruciato nell’incipit l’unico colpo di scena (lo sparo di pistola), il monologo procede tutto di gola, senza virgole né sorprese, in un climax al contrario, che riavvolge il nastro del racconto per poi avvitarsi, di nuovo, sul gesto clou iniziale. Un ritmo circolare che sottende la paranoia. L’eterno fermo immagine di ciò che è già avvenuto. Perché è stato così, appunto.

 

Eppure, se per tutto il tempo dello spettacolo in sala non vola una mosca, se alla fine gli applausi scrosciano fragorosi, un motivo ci deve essere. Sarà che la drammaturgia, apparentemente assente, c’è eccome. Binasco, che proviene dal “teatro di narrazione” di Vacis, che conosce bene la forma del monologo (si pensi alle Crociate), dimostra di saper padroneggiare i trucchi del mestiere: azzecca il plumbeo maquillage della protagonista; fa entrare in scena, al momento giusto, la musica di Arturo Annecchino; drammatizza il finale con il crescendo del pianoforte e la voce, in dissolvenza, della donna, che ripete, come il ritornello di una logora canzonetta, la sua storia daccapo. Sarà che la Impacciatore (messa in campo in sostituzione della indisponibile Rohrwacher) di pathos ce ne mette, al punto da piangere, in preda alla commozione, a spettacolo finito, dando prova di stare dalla parte di Stanislavskij.
 

Sarà, infine, che quella maschera tragica e quella protagonista rimandano ad altri personaggi, ad altre storie: ad altro pathos. Ci viene in mente – non fosse altro che per quelle scarpe rosse, coi tacchi alti, unico squillo di orgoglio in un corpo desolato – la Penelope Cruz-Italia del Non ti muovere di Castellitto-Mazzantini. Quel volto sbaffato di colore, quegli occhi cerchiati di blu e di nero, quelle labbra ingrossate di rossetto carminio caricano la donna di una drammaticità debitrice di immaginari filmici. Del resto, per un artista a tutto campo come Binasco, il cinema ha un peso decisivo (e la scelta della Impacciatore, attrice del piccolo e grande schermo, giunge a riprova).

  

Sabrina Impacciatore in una scena dello spettacolo
 

In breve. Il monologo funziona. Se infatti è lecito chiedersi l’utilità di riportare in vita un testo sorpassato come quello della Ginzburg (ma molte spettatrici mi smentiranno, avvinte dai muliebri sentimenti profusi), piace sottolineare come, con pochi tocchi, Binasco riesca a portare a casa il risultato. A volte basta un’intuizione per far grande uno spettacolo. E l’immagine di quella donna svociata, costretta a ripetere all’infinito la sua storia di dolore, inchiodata al suo peccato e dannata per l’eternità come nelle spire di un girone dantesco, pare degna di fissarsi nella memoria di ogni spettatore.



È stato così
cast cast & credits
 
                        
                    

La locandina
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

È stato così di Valerio Binasco al Teatro Puccini di Firenze



 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013