La qualità della compagnia di canto costituisce il fattore principale del successo che ha accolto alla Scala la prima del Don Giovanni e ha accompagnato la serie delle repliche. Una compagnia che mostra, innanzi tutto, i suoi meriti vocali e scenici in una dote comune e non troppo diffusa: lesatta pronuncia del testo italiano. Il cantante che pronuncia bene il testo, diceva Richard Strauss, anche se ha meno voce, perfora il diaframma dellorchestra e giunge al pubblico in modo assai più efficace di chi spara note sontuose ma non fa capire le parole. La coscienza della lingua illumina il canto, lo rende naturalmente espressivo dei significati drammatici: quindi chi pronuncia bene è anche un buon attore.
Peter Mattei (Don Giovanni), Bryn Terfel (Leporello)
(Foto di Marco Brescia & Rudy Amisano)
Ed ecco dunque Peter Mattei, alto e irresistibile, muoversi sul palcoscenico della Scala con tutto largento vivo di Don Giovanni, Anna Netrebko dare senso profondo ad ogni parola di Donna Anna, bellissima e dolente nel suo canto luminoso, sonoro e meravigliosamente sfumato, Bryan Terfel scolpire ogni parola con pronuncia perfetta, e un mordente baritonale che sembra nascere spontaneamente dalla birbantesca vivacità della recitazione. Barbara Frittoli è una Donna Elvira sobria, commossa, e meno lamentosa del solito; Giuseppe Filianoti un accettabile Don Ottavio, parte che richiederebbe, però, una tornitura vocale ancor più raffinata, Štefan Kocán un Masetto dallo spessore volutamente contadino, Kwanghul Youn un impressionante commendatore.
Anna Prohaska (Zerlina), Petter Mattei (Don Giovanni)
(Foto di Marco Brescia & Rudy Amisano)
Daniel Baremboim guida magistralmente la compagnia di canto e imprime allopera tempi giusti, senza offrire angolature interpretative inconsuete. Lorchestra suona bene, ma talvolta troppo piano: parecchi disegni essenziali si perdono sotto le voci, per cui il ruolo di deuteragonista, che lorchestra mozartiana assume in ogni pagina dellopera, sbiadisce un poco. Ma tutto si mantiene a livello di unalta routine.
Geniale, invece, e sorprendente, come sempre, la regia di Robert Carsen che intende, evidentemente, esaltare il mito di Don Giovanni nella sua profonda istanza genetica, che è quella di essere nato e cresciuto come prodotto squisitamente teatrale. Il teatro rappresenta quindi la cornice dellazione: un grande specchio mobile e fluttuante riflette, sin dallinizio, la sala della Scala, il che non sarebbe una novità, perché questeffetto si è già visto parecchie volte; se non che, a poco a poco limmagine del teatro nel teatro si frantuma in una vertiginosa moltiplicazione di allusioni e di significati.
Anna Netrebko (Anna Donna), Giuseppe Filianoti (Don Ottavio),
Barbara Frittoli (Donna Elvira) (Foto di M. Brescia & R. Amisano)
A partire dal momento in cui Don Giovanni cambia i propri abiti con quelli di Leporello e lequivoco perdura, trascinando tutti gli altri personaggi in una caccia alluomo sbagliato, un secondo palcoscenico si crea sul palcoscenico della Scala, e Don Giovanni assiste allazione degli altri seduto di schiena, insieme alla cameriera di Donna Elvira (che a un certo punto se ne va graziosamente, mostrando le terga completamente nude, dalle caviglie al collo). Ma, col procedere dellazione, limmagine del teatro si moltiplica. Ogni tanto si apre un siparietto dietro il quale compare un altro boccascena del teatro alla Scala, con le quinte di tappezzeria rosso e oro, poi un altro ancora, finché i boccascena diventano quattro, sette, dieci, quindici, venti, in una fuga di quinte e proscenii che si perdono, sempre più piccoli, sul fondo. Questa moltiplicazione di un ambiente che replica se stesso allinfinito come in una serie di scatole cinesi, si carica di allusioni vertiginose: simboleggia il labirintico inseguirsi dei personaggi alla caccia di Don Giovanni, ricorda linafferrabilità del demonico protagonista attorno a cui ruota lintera azione, anche quando non è presente, ma lui invece è lì, che guarda il dramma degli altri seduto di schiena come se stesse assistendo al Don Giovanni di Mozart, perché in questo spettacolo la vicenda di Da Ponte e il mito di Don Giovanni come prodotto culturale sono presenti contemporaneamente, senza che lazione perda di vitalità o si irrigidisca in una sterile astrazione didascalica. Don Giovanni, che è uscito dallarte per entrare nella vita, percorre questo tragitto in un andirivieni continuo. Allinizio passa dalla vita allarte: saltando sul palcoscenico, e lacerando il sipario, dà inizio alla rappresentazione; alla fine guarda gli altri sprofondare in una nuvola di fumo, fumando una sigaretta, e alludendo al fatto che, senza di lui, i personaggi che lo contornano non sono nulla e che lui, nonostante la punizione divina, vivrà eternamente nellimmaginario di ciascuno di noi.
La scena del ballo (atto I)
(Foto di Marco Brescia & Rudy Amisano)
Questa sembra essere lidea centrale dello spettacolo di Carsen, che si avvale della scena di Michael Levine e dei costumi di Brigitte Reifenstuel, e ha anche i suoi difetti: troppo insistito, ad esempio, il gesto di cambiarsi labito, scegliendolo da attaccapanni semoventi; eccessivamente prosaica la sottoveste di Donna Elvira rispetto ai sontuosi costumi di Donna Anna, la quale rovescia un certo numero di sedie per esprimere la propria collera durante laria del primo atto. Ma, soprattutto, è grave il fatto che manchi del tutto limmagine della morte, e che lambiente del cimitero,in cui Don Giovanni sbeffeggia la statua del Commendatore invitandola a cena, si riduca al palcoscenico nudo e vuoto, mentre il Commendatore prende posto nel palco reale: trovata utile a coinvolgere gli spettatori nella macabra ironia mozartiana, ma del tutto estranea al realismo ambientale della scena. In compenso, quella del ballo, accesa di rosso scarlatto, è bellissima, e perfettamente regolata nellincastro musicale e coreutico delle tre danze sovrapposte. Insomma, nonostante alcuni nodi irrisolti, questo spettacolo, forte e incisivo, rimarrà tra quelli che non si dimenticano.
|
|